Nel film Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick, il generale di brigata dell’aeronautica degli Stati Uniti Jack D. Ripper compie un attacco nucleare non provocato contro l’Unione Sovietica. Il capitano della RAF Lionel Mandrake – una voce della ragione nella follia – gli chiede di richiamare i bombardieri B-52 che porranno fine alla civiltà. Ripper si rifiuta. Mandrake gli chiede gentilmente, in un modo arcignamente britannico, perché sente il bisogno di far saltare in aria il mondo. Il generale parla di come forze al di là della nostra comprensione stiano lentamente avvelenando l’America con una sostanza chimica tossica nota come… fluoro.
“Mandrake, ti rendi conto che oltre a fluorizzare l’acqua, ci sono studi in corso per fluorizzare il sale, la farina, i succhi di frutta, la zuppa, lo zucchero, il latte … il gelato. Il gelato, Mandrake! Gelato per bambini!”.
Più di sessant’anni dopo, siamo andati a rivedere la riedizione del Dottor Stranamore firmata Armando Iannucci al Noel Coward Theatre di Londra. Diretto e co-adattato da Sean Foley, vede Steve Coogan nei tanti ruoli resi celebri da Peter Sellers. La battuta sul fluoro suscita qualche risata, ma non da parte mia o di una coppia di americani seduti accanto a me. Si guardano con orrore e contemporaneamente sussurrano: “RFK Jr.” (Robert F. Kennedy Jr., ndt).
Il discorso sul fluoro è una delle sezioni della sceneggiatura originale di Kubrick che Iannucci, il visionario dietro Veep, The Thick of It, In the Loop e Morto Stalin, se ne fa un altro, non ha modificato; era troppo perfetta e troppo attuale così come era stata scritta. «Ho pensato: “È assurdo che tutto questo stia accadendo nella vita reale”», dice Iannucci, un uomo educato e dalla parlantina dolce che ha creato tanti personaggi di culto. Ci incontriamo a Londra in uno dei suoi ristoranti italiani preferiti. Purtroppo non è in forma, quindi è difficile sentirlo al di sopra del ronzio e del rumore della macchina per l’espresso. Alla fine ci ritiriamo nel suo ufficio di Soho, pieno di decongestionanti e comfort food. «Tutto questo parla di una cosa più grande: la messa in discussione della scienza», dice Iannucci. «La “plandemia”, l’idea che la pandemia non c’è stata, era tutta una cospirazione per microchipparci e i vaccini ne facevano parte… C’è gente che dice: “I fatti sono solo una parte dell’argomento, le convinzioni hanno lo stesso peso”».
Quando è stato concepito, Iannucci ha visto questo revival del Dottor Stranamore come una metafora della crisi climatica e delle decisioni prese che avrebbero avuto un impatto irrevocabile sulla Terra. Poi le cose sono cambiate.
«Quando mi sono seduto a scriverlo, Putin minacciava una guerra nucleare contro la NATO», dice Iannucci con uno sguardo a metà tra lo stupito e l’allarmato. «Ora ha una rilevanza ancora più significativa».
Mentre Sellers aveva il vantaggio di poter interpretare i diversi ruoli separatamente sulla pellicola, per lo spettacolo teatrale Coogan deve uscire da una scena e riemergere come un personaggio diverso: un Presidente degli Stati Uniti confuso, il Dottor Stranamore, uno scienziato tedesco con la tendenza a fare il saluto a Hitler, e Mandrake, un residuo del galateo britannico mentre il loro impero si estingue. Aggiunge anche il quarto ruolo di T.J. Kong, il cowboy pilota di B-52 che guida un missile dritto verso l’Armageddon. Coogan vede l’America nel Mandrake di Iannucci, che nel film di Kubrick rappresenta una Gran Bretagna passata di moda ma che cerca ancora di guidare la conversazione globale.
«Penso che l’America sia come la Gran Bretagna di cent’anni fa», mi dice Coogan una sera fuori da un cinema. «Una volta l’America era l’adulto che, come l’Impero Britannico, pensava di poter mettere in riga il mondo. E con l’Afghanistan e l’Iraq l’America si è un po’ disabituata a questo».
Anche lo Stranamore di Coogan – il personaggio basato in parte su Wernher von Braun, che costruì i razzi V-2 per i nazisti e poi aiutò gli americani a sbarcare sulla Luna – è ancora attuale, con un piccolo ritocco di Iannucci.
«I bravi attori stringono alleanze con individui nefasti, è sempre stato così», osserva Coogan. «Ogni volta che faccio il saluto nazista, tutti [sul palco] guardano dall’altra parte, il che è una metafora dell’America e del Regno Unito: non applichiamo il diritto internazionale con nessun tipo di coerenza».
Coogan ha lavorato con Iannucci in maniera saltuaria per trent’anni, iniziando come giovane attore in alcune opere radiofoniche dello scrittore. Conosciuto dal pubblico americano soprattutto grazie al personaggio di Alan Partridge e alla versione di sé stesso nei film della serie The Trip, Coogan si vede oggi come un partner alla pari con Iannucci. «All’inizio era lui il burattinaio, ma ora il nostro rapporto è più una collaborazione», dice Coogan. «Credo di abbracciare il pathos più di lui. Si crea una bella tensione creativa. C’è una sorta di qualità chirurgica in quello che fa».
Questa precisione si vede in Veep, dove ogni personaggio sferra colpi mortali verbali senza pietà o rispetto per la decenza umana. Il mio preferito è quando la Vicepresidente Selina Meyer si rivolge allo sfortunato, idiota e ambizioso Jonah Ryan dopo che lui l’ha ostacolata al Congresso: “Voglio farti sapere che ti distruggerò in modi così creativi che mi onoreranno per questo al Kennedy Center”.
Iannucci è onesto nel suo cinismo nei confronti di chi detiene il potere. Suo padre ha parlato pubblicamente contro Mussolini e i fascisti in Italia prima di emigrare in Inghilterra. Ciò che all’inizio della carriera di Iannucci consisteva semplicemente nello sbeffeggiare politici pomposi è maturato in un esame di ciò che accade quando leader con i piedi nel fango lasciano che il loro ego prenda decisioni che cambieranno la vita di milioni di persone. Si potrebbe dire che il suo approccio è diventato kubrickiano.
«Si tratta di chi è al potere e di cosa succederà quando non lo sarà più», dice Iannucci. «È Succession, è Game of Thrones, è tutto un “chi è il prossimo e cosa devo fare per arrivarci?”. È infinitamente affascinante, ma ora mi sto concentrando sempre di più su cosa fa il potere. Morto Stalin, se ne fa un altro era tutto incentrato su queste ridicole farse all’interno del Cremlino, ma le conseguenze per le persone al di fuori del Cremlino sono devastanti, le uccisioni, i tradimenti…».
È strano che la questione specifica della distruzione nucleare sembri essere svanita, mentre le armi sono tutt’altro che scomparse.
Ci annoiamo. Passiamo ad altro. E i social media hanno esacerbato la situazione. Una settimana ci ritroviamo tutti a urlare contro qualcuno che dice la cosa sbagliata, e la settimana dopo siamo già passati allo scandalo successivo. Vogliamo i nostri successi più velocemente. Siamo diventati dipendenti da questi estremi. Quindi la questione delle armi nucleari è: “Non l’abbiamo risolta? Non è forse caduto un muro tra Reagan e Gorbačëv?”. Ma le armi sono ancora lì.
Tu sei un grande appassionato di Dickens. Hai realizzato un documentario su Dickens nella Gran Bretagna moderna e hai diretto una versione acclamata dalla critica di David Copperfield. Cosa pensa che Dickens farebbe di Trump e del mondo in cui viviamo?
Sarebbe interessante, no? Credo che La piccola Dorrit sia quello che si avvicina di più al presente. C’è Merdle, il banchiere, il finanziere, che è al centro di tutto. È un tipo difficile da comprendere. È il Peter Thiel (l’imprenditore tedesco fondatore di PayPal, ndt) dell’universo di Dickens. Tutto ruota intorno a lui e la gente inizia ad amarlo, a sostenerlo, a pensare: “Potrebbe andare in un modo o nell’altro, ma sono più sicuro se lo sostengo” (Merdle morirà suicida e i suoi piani finanziari manderanno in bancarotta molti, nda). Mi sarebbe piaciuto vederlo scrivere di Trump e Musk. Oppure avrebbe spedito alcuni dei suoi personaggi in America e tutti sarebbero caduti in affari di poco conto. È un materiale così ricco.
Stai lavorando a un nuovo progetto che ha al centro i social media. Cosa ne pensi di questo mondo da quando Elon Musk ha comprato Twitter? E Thiel è lo sponsor di J.D. Vance…
E possiede tutte le cartelle cliniche della Gran Bretagna! (Thiel è il presidente di Palantir, un’azienda di sistemi di dati con profondi legami con il servizio sanitario britannico, nda). È spaventoso, perché l’affermazione di Musk secondo cui X sarebbe una nuova fonte di giornalismo è una cazzata. Non hanno giornalisti. Tutto ciò che fanno è pubblicare le notizie degli altri, ma anche le opinioni e le teorie cospirative degli altri. Sta a voi cercare di capire quali siano corrette. E ora dice che le notizie sono l’aggregato, la somma totale, di ciò che la gente dice. Questo gli ha permesso non solo di comprare Twitter e di trasformarlo in quello che è, ma anche di promuovere sé stesso al di sopra di tutti gli utenti e di promuovere le sue opinioni politiche, anche se lui dice che è stato pensato per essere un portavoce di diversi punti di vista. Il suo algoritmo lo spinge come primo post, la prima cosa che si legge al mattino. Sostiene che l’algoritmo e la metodologia sono neutrali, ma non è vero. Qualsiasi fonte di notizie indipendente deve essere separata dal potere, ma lui è al potere. Allora, come funziona? I giornali hanno tutti un taglio diverso. Ora Musk è il proprietario di un giornale, ma è un giornale che si basa solo su storie di altri e dove al centro ci sono le sue opinioni.
E tutta la parte di lui che si occupa di politica. Sta chiamando in causa i burocrati non eletti quando sta per diventare un burocrate non eletto.
È venuto in America per prendere i loro posti di lavoro! E probabilmente non resterà per gli effetti dei suoi tagli. Una volta che si tagliano le persone, le cose diventano marce e si finisce per avere un governo che non funziona. Ma per allora se ne sarà già andato. Trump e Musk non dureranno. Qualcuno che conosco ha detto che sono come due gatti nella sabbia.
Gran parte del tuo lavoro è incentrato su persone teoricamente intelligenti che commettono una serie di errori e gaffe mentre cercano di capire come gestire i media. E non ci riescono mai. Finisce sempre in un disastro. Ho passato un po’ di tempo a seguire la campagna presidenziale e i candidati erano intenti a non creare momenti alla Veep. Sembra che ci sia un pericolo reale quando ci si impantana in questo modo.
Ci si chiude lì dentro, non è vero? Diventa tutto un: “Oh, non posso dirlo. Volevo dirlo, ma è meglio che non lo dica”. È la paura di ciò che gli altri potrebbero pensare. Non credo che questo passi per la testa di Trump. Non credo che questo passi per la testa di Vance. E il modo in cui i media operano è che sentono l’odore della paura. Diventa quasi una cosa che si autoavvera: il panico di non dire nulla diventa la storia. Da quello che vedo, dopo l’iniziale esplosione di entusiasmo per Kamala Harris, c’è stato il passaggio a: “Dimmi cosa rappresenti. Racconta la tua storia. Raccontaci cosa vuoi fare”.
“Non torneremo indietro”.
Già, ma non è sufficiente. All’epoca, quando Harris è stata nominata per sostituire Biden, ho pensato: “Non passate tutto il tempo ad attaccare Trump, perché ormai tutti conoscono Trump. Hanno deciso. Dite alla gente cosa c’è di sbagliato nelle sue politiche e dite quali sono le vostre politiche”. Ma lei non l’ha fatto. Lo stiamo scoprendo qui con [il Primo Ministro Kier] Starmer. I laburisti sono entrati con una grande maggioranza. Ma sono entrati giocando in modo molto sicuro, e questo gli ha fatto vincere le elezioni. Ma il problema è: cosa facciamo adesso? Perché hanno detto tante cose che non avrebbero fatto. Ora gli restano poche opzioni.
Trump ha un approccio diverso ai media: cerca di fare il prepotente come fa con tutto il resto.
Trump guida un camion della nettezza urbana e lavora da McDonald’s per mezza giornata, facendo intendere: “Sapete che sono un miliardario, ma vi capisco”. Mentre Kamala Harris è sul palco con Beyoncé. In lui c’è qualcosa di reale, nel senso che sai da dove viene. Non devi cercare di analizzare quello che dice per capire cosa farà o cosa vuole fare. Gestire i media è impossibile oggi, perché tutti sono media. Tutti hanno un telefono. Tutti twittano o pubblicano qualcosa. E questo è ciò che ha fatto Internet. Ha fatto sì che tutto sembrasse valutato come tutto il resto. Così il sito web del New York Times, per esempio, sembra altrettanto sembra uguale a quello che riporta fake news. E abbiamo perso quelle figure che rispettavamo, con un alto profilo, che erano in grado di guidarci verso cose perlopiù affidabili. Una delle cose che Trump fa è scegliere il suo tipo di media e sa che è sufficiente: gli fa raggiungere le persone a cui vuole parlare. Quindi usa i podcast, usa Fox News. Già prima delle ultime elezioni abbiamo visto anche qui i parlamentari andare su GB News (l’equivalente britannico di Fox, nda). Ed era il loro modo di dire: “Bene, siamo andati sui media. Abbiamo parlato con un’agenzia affidabile, quindi non abbiamo bisogno di andare sulla BBC”.
Alcuni dei tuoi personaggi migliori sono persone che potrebbero essere descritte come bulli, come Malcolm in The Thick of It o Dan in Veep. Ma il potere vero e proprio è in gran parte fuori dallo schermo, che si tratti del Primo Ministro in The Thick of It o del Presidente nelle prime stagioni di Veep.
(Ride) Non potrei scrivere un personaggio come Malcolm oggi. Verrebbe cacciato dal suo posto di lavoro per bullismo.
Ma con Trump, il bullo è in realtà l’uomo che comanda. Non ha la pretesa di essere “presidenziale” e di lasciare che i suoi tirapiedi facciano il lavoro sporco. Lo fa lui stesso.
Sì, e Trump sta dando a tutti il permesso di comportarsi così, di essere indignati, arrabbiati e aggressivi con le persone che non ti piacciono. Elon Musk l’altro giorno ha twittato su qualcuno [il tenente colonnello Eugene Vindman] dicendo: “È un traditore”. Diceva che è sul libro paga di Zelensky o qualcosa del genere e questo è tradimento, e sappiamo cosa succede alle persone che commettono tradimento. In poche parole, chiede che venga ucciso.
Ma tu torni sempre all’idea dei bulli che spingono per ottenere qualcosa e di cosa questo significhi.
Ho iniziato a cercare di capirlo dopo l’invasione dell’Iraq e dopo che Tony Blair è stato risucchiato in qualcosa che tutti sapevano essere la cosa sbagliata da fare. Volevo sapere: come funziona? Com’è possibile che sia successo quando tutti erano contrari? Ha a che fare con il modo in cui qui il potere è diventato sempre più centralizzato attorno al Primo Ministro. E c’era questa nuova categoria di persone, chiamata enforcer, che andava in giro per i ministeri dicendo loro: “Il piano è questo. Questo è ciò che potete fare. Questo è ciò che potete dire”. E loro eseguivano le istruzioni. Questo è ciò che rappresenta Malcolm. Per me si trattava di portare sullo schermo qualcosa di intrinseco al governo che ora conosciamo nei dettagli. Ed è affascinante quello che le persone fanno per stare vicino al potere. Per Veep, abbiamo fatto un giro nella West Wing. Obama era ancora presidente. La sua spalla, Reggie Love, ci ha fatto fare una visita. Ricordo quanto fosse piccola quell’ala della Casa Bianca. È un labirinto. Ma la gente vuole tornare a casa e dire: “Lavoro nella West Wing”. E ricordo di aver visto un generale a tre stelle in un corridoio su una sedia come questa, con la sua valigetta e il suo computer portatile. Quello era il suo ufficio, ma per lui significava poter dire: “Lavoro alla Casa Bianca”.
Un’altra cosa che mi ha colpito del tuo lavoro è che hai questi personaggi che hanno a che fare con situazioni iper-fluide, e questo porta a decisioni terribili. Alcuni di loro sono dei bulli, altri sono semplicemente impreparati. Magari se la cavavano bene in un altro campo, come quello militare, ma ora supervisionano la politica. E poi si trovano in queste situazioni, come nel conto alla rovescia del Dottor Stranamore, in cui bisogna prendere una decisione in pochi minuti.
Più lo si osserva, più ci si rende conto che molte di queste decisioni vengono prese su due piedi. Perché non c’è tempo per un processo lungo e ponderato. Ed è in parte colpa nostra, perché facciamo così tanta pressione sui nostri leader affinché facciano tutto bene e rispondano di tutto immediatamente. Se mi succede qualcosa adesso, voglio che qualcuno ai vertici del Paese se ne occupi subito. Questo ha reso tutti questi lavori impossibili da svolgere per qualsiasi essere umano sano di mente. Ed è per questo che la maggior parte di loro credo impazzisca dopo circa quattro o cinque anni. Abbiamo reso i lavori dei leader dei lavori folli che vi faranno impazzire. Devi essere pazzo per volerlo fare comunque, e per avere le qualifiche giuste.
È più difficile fare satira su personaggi come Trump o Boris Johnson, perché hanno già un’immagine da clown?
Sono degli intrattenitori. La loro modalità predefinita è quella, ma penso che sia principalmente per ottenere un effetto sulla platea. Per essere performanti. Che siano al potere o meno, questo è ciò che sono, e questo è tutto ciò che otterrai da loro. Ed è per questo che quando sono al potere è frustrante, nel caso di Johnson, perché non ha potuto fare altro che quello che fa sempre, cioè dire: “Sì, come volete, andrà tutto bene”. Be’, avete letto la sua politica? Avete visto i pro e i contro? Li avete pesati? Lui non è così.
C’è stato un momento in Veep che si è rivelato in qualche modo profetico. Quello in cui Selina sta per fare il suo discorso e uno dei collaboratori le dice: “Dobbiamo tagliare tutta la parte sull’immigrazione”. Come vedi il modo in cui l’immigrazione viene affrontata oggi?
È una questione di “o” o “o”, non è vero? O sei contro, o non ne parli. Non si può dire: “Ok, l’immigrazione aiuta davvero la crescita. Molti dei lavori che la gente non vuole fare sono svolti da immigrati e abbiamo cose importanti, come il nostro servizio sanitario, che è gestito da persone provenienti da Paesi stranieri. Si riconosce che per certi aspetti è vantaggiosa, ma anche che, se non controllata, crea un problema di risorse. Quindi, come si fa a giudicare? Ma nessuno è disposto a parlare in modo trasversale. Perciò, ancora una volta, tutti si sono ritirati sulla posizione: “Sbarazziamoci di tutti”. Oppure: “Facciamoli entrare tutti”. Non c’è una via di mezzo. Ci si chiede quale sarà il prossimo “altro”, perché molta della retorica che proviene dalle persone intorno a Trump è che l’altro non è la gente dall’esterno, è la gente dall’interno, è una cosa interna ora. Sono i democratici o i liberali, sono i media tradizionali, è lo Stato. Questo misterioso “altro” è diventato più sinistro. E tutto questo fa sentire i loro sostenitori autorizzati ad accusare chiunque non gli piaccia.
Quindi, con Trump, qual è la domanda a cui dobbiamo ancora rispondere? Dal punto di vista di uno scrittore, come può andare? Quali sono le opzioni più assurde?
La grande domanda è: siamo diventati tutti pazzi? Ho sempre pensato che non lo fossimo, e non sto dicendo che lo siamo, ma ora la questione è aperta. È una domanda che credo troverà risposta nei prossimi due o tre anni. Nelle ultime settimane di campagna elettorale ci sono stati tutti questi riferimenti alla Germania nazista, all’ascesa di Hitler e così via. E mi ha colpito il fatto che pensiamo sempre a quel periodo come a: “Cosa pensavano i tedeschi? Dovevano essere pazzi. Devono essere stati pazzi per aver fatto questo”. E poi vedi [Marco] Rubios e Vance, che un giorno erano contrari e il giorno dopo sono con Trump. E ti rendi conto che non è una cosa immediata. È una cosa che aumenta gradualmente e sottilmente, in modo che sempre più persone si avvicinino a questo punto di vista. E poi acquisisce una massa che attira altre persone solo per il fatto che “be’, se tutti lo pensano ora, dovrei pensarlo anch’io, perché così avrò una vita più facile non dovendo discutere”. Non credo che dovremmo mai dire a noi stessi che arriverà un momento in cui ci guarderemo indietro e diremo: “Non so cosa sia successo”. Perché a quel punto, troppi di noi potrebbero già trovarsi in quella situazione. E potrebbe essere impossibile fare quel passo indietro.