Ha solo cinque film all’attivo nell’arco di quindici anni, e probabilmente è per questo che Joachim Trier, 43 anni, è uno dei più interessanti registi europei al momento in attività. L’anno scorso La persona peggiore del mondo è stato uno dei film più applauditi al Festival di Cannes edizione balneare, con la protagonista, la bravissima Renate Reinsve, premiata per la migliore interpretazione femminile. E dopo sono arrivati tanti altri riconoscimenti, comprese due candidature all’Oscar come miglior film internazionale e miglior sceneggiatura originale, firmata da Trier insieme al suo compagno di avventure cinematografiche Eskil Vogt.
MUBI dedica questo mese una retrospettiva al regista norvegese, sono già disponibili sulla piattaforma streaming per cinefili la sua opera prima, Reprise (2006), Segreti di famiglia (2015) e Thelma (2017), e il 13 maggio arriverà anche Oslo, 31. August. Una maniera per poter scoprire le sue prime opere e poter identificare I molti percorsi che caratterizzano il suo cinema. E di cui ho parlato direttamente con lui, partendo da una serie di parole chiave su cui abbiamo costruito una piacevole conversazione “psicanalitica”.
Joachim, i tuoi film hanno dei punti in comune che, a mio parere, è necessario analizzare uno per uno. Partiamo dall’AMICIZIA. È molto importante per i tuoi personaggi, ma anche per te, dato che hai scritto tutti i tuoi film con Eskil Vogt, che immagino sia un tuo amico.
Hai ragione, l’amicizia conta molto per me. Sono mezzo danese e mezzo norvegese, e nella cultura nordica si usa dire che i norvegesi siano molto timidi, mentre i danesi sono gli italiani della Scandinavia perché parlano tanto. Naturalmente è una battuta. A parte questo, ho sempre avuto la percezione che avere molti amici mi avrebbe salvato la vita, sin da ragazzo. Ero uno skater, facevo parte di una gang, mi sono successe molte cose complicate da adolescente e anche in seguito, diventando più grande. Ma qualunque cosa accadesse, c’erano sempre i miei amici che mi facevano sentire connesso con loro e con me stesso. Eskil e io siamo amici da quando eravamo ragazzi, lavoriamo insieme da vent’anni, adesso siamo stati candidati all’Oscar insieme. Quando abbiamo scritto Reprise avevamo in mente proprio film che parlassero di un gruppo di amici, come Diner di Barry Levinson (in Italia A cena con gli amici, con Mickey Rourke e Steve Guttenberg, nda), American Graffiti, e anche più leggeri come American Pie, ma virando tutto in una forma più drammatica. Abbiamo usato lo stesso processo per La persona peggiore del mondo, siamo partiti da una commedia romantica e l’abbiamo trasformata in qualcos’altro. È un modo di lavorare che piace molto a Eskil e a me. E molte delle persone con cui lavoro sono ormai diventati degli amici. Il montatore con cui lavoro da sempre, Olivier Bugge Coutté, per esempio.
E anche Anders Danielsen Lie, che è il protagonista di tre dei tuoi film.
Guarda, sono tornato da Londra qualche giorno fa, il pomeriggio stesso Anders era a casa mia con la moglie e i figli per far visita a me, la mia compagna e il nostro bambino. Pensa, Anders in realtà è un medico, questo è il suo lavoro, non fa davvero l’attore, e per me è stato incredibile seguire il suo percorso. Quando giravamo Reprise stava studiando Medicina, l’ho visto laurearsi e iniziare a praticare e adesso è un dottore. Dice sempre che di recitare non ne vuole più sapere, ma poi arrivo io e gli dico: “Dài, ancora solo questa volta”. Come hai detto tu, è una questione d’amicizia.
OSLO. È così importante nei tuoi film, ma la sensazione che sia un rapporto di amore-odio è sempre tangibile, un luogo da cui fuggire e in cui inevitabilmente si finisce per tornare. Tu e i tuoi personaggi.
Sei un grande osservatore, ma è vero che è facile tracciare un percorso della mia crescita attraverso i miei film, perché sono tutti molto personali e fatti in momenti diversi della mia vita. Ho scritto Reprise alla fine dei miei vent’anni guardando all’inizio di quel decennio, La persona peggiore del mondo è un film che riflette il mio essere arrivato a metà dei quaranta. Quanto a Oslo, volevo scappare quando avevo vent’anni, era una piccola, stupida città di merda, volevo solo andarmene e scoprire il mondo. Mi sono trasferito a Londra e ci sono stato sette anni, e nel frattempo Eskil era andato a vivere a Parigi, ci vedevamo spesso andando avanti e indietro con l’Eurostar, guardavamo film, seguivamo i corsi delle nostre scuole di cinema. E a un certo punto siamo tornati indietro per fare Reprise. Mi ero reso conto che avevo lasciato indietro delle persone, degli amici, con le loro storie, e molte altre ce n’erano da raccontare. C’era il gruppo dello skate, sai, sono stato campione regionale, ero immerso in quella cultura, c’era il punk che si fondeva con la cultura hip-hop, ascoltavo tanta musica. Alcuni dei miei amici si sono persi con le droghe, altri sono diventati artisti, tutti prendemmo strade differenti. Alcuni sono morti mentre ero all’estero, e questa cosa mi fece arrabbiare, è la ragione per cui ho fatto poi Oslo, 31. August. Lentamente mi sono reso conto che avevo imparato a conoscere ogni diverso aspetto di Oslo, dalla cultura underground a quella intellettuale, conoscevo davvero ogni strada della città, le persone e le loro storie che erano un mondo da raccontare, e in più ci sono un milione di cose che si possono immaginare basandosi sull’osservazione della realtà. Ho capito che non mi vergognavo più del posto da cui venivo e non ne avevo neanche più paura. La vita è sempre un viaggio, e lo è stato anche per la mia città. Oslo è cambiata, da Reprise a La persona peggiore del mondo, la popolazione è cresciuta del 60% in appena 15 anni, la classe media sta conoscendo il periodo economicamente più florido dalla Seconda guerra mondiale. Quindi è diventato un posto diverso, nel bene e nel male, e continua a crescere, come un essere umano.
Questo tuo riappropriarti delle origini ha dato un grosso impulso alla tua CREATIVITÀ, elemento comune a tutti i protagonisti dei tuoi film, persone in cerca del loro talento. E in ognuno di loro c’è una connessione tra la creatività e il sentirsi perduti.
È vero… e non conosco la risposta. Ma fammi provare, perché questa è davvero una domanda interessante. Uso la creatività nelle mie storie come metafora perché è qualcosa che conosco e so cosa vuol dire passare dall’immaginazione alla realtà. Essere creativo è sempre stata la mia via di fuga e mi ha insegnato come funzionare come essere umano. È una grande metafora perché si parte dal nulla per creare qualcosa, ma è anche soggettivo, perché ciò che viene fuori dipende dall’unicità della persona che vuole condividere ciò che sente. Al tempo stesso ha paura di sentirsi giudicato, di non essere compreso, addirittura amato, se non è in grado di creare qualcosa di bello, che abbia un valore artistico. In tutti i miei film c’è questa ambivalenza esistenziale, conosco molte persone che vivono questo dilemma. E credo che questo sentimento stia prendendo sempre più piede nella società contemporanea, di conseguenza è un argomento di cui vale la pena parlare. Quindi sì, credo che tu abbia ragione. Ma c’è un altro aspetto molto positivo nell’essere creativi, ed è il desiderio di condivisione, è un atto di generosità, mettere in comunità idee, punti di vista, emozioni. È la cosa più bella dell’arte.
FAMIGLIA. Nei tuoi film un’istituzione invisibile quando si parla di genitori, pericolosa quando pensi di costruirne una.
Quest’intervista sta diventando una seduta dall’analista. Lo adoro! Sono un grande fan di Freud. In ogni caso, è una bella domanda. Ho raccontato di giovani uomini che vogliono trovare la loro individualità perché è una cosa normale nella cultura in cui sono cresciuto. È un’idea molto naive pensare di liberarsi del passato per trovare la tua futura felicità, è un concetto molto americano e credo che gli europei della mia, della nostra generazione siano stati molto influenzati da questa nozione meritocratica. Ma la vita non è così facile. Immagino la mia sia una visione molto marginale, ho molti amici che a un certo punto della loro vita si sono impegnati per trovare una posizione e crearsi una famiglia, e sono sempre stato di grande supporto, ma la staccionata e il tavolo bianco come una pubblicità della yogurt non credo siano l’unica strada verso la felicità. Nella Persona peggiore del mondo c’è un’ambivalenza in questo senso. Aksel ha superato i quaranta e vuole davvero mettere radici, avere dei bambini, mentre Julie non è così. Ed è la stessa dicotomia che c’è in fondo in Reprise tra il creare ed essere un’individualità o legarti a qualcuno, solo che nei successivi quindici anni sono cresciuto, e oggi credo che sia falsa, perché bisogna essere più ambiziosi del voler fare una sola cosa nella vita. Non credo che vivere in una società in cui avere una famiglia è il fine ultimo sia una cosa salutare. Per tornare a quello che dicevamo a proposito dell’amicizia, forse molte persone stanno meglio considerando i propri amici la famiglia. È una questione molto complessa e delicata.
E condivisa da molti suoi colleghi. Steven Spielberg ha raccontato storie di famiglie disfunzionali in tutto il suo cinema. E, parlando di Spielberg, mi collego a un’altra cosa molto interessante del suo cinema: i GENERI. Thelma è un horror, in cui guarda caso la famiglia ha un ruolo fondamentale. Eskil da solo ha girato uno dei film più belli dell’anno, The Innocents. Ma, come hai detto prima, vi piace partire da un genere per poi stravolgerlo. E sono convinto che Eskil vorrebbe tu facessi più horror.
Oppure abbiamo trovato un buon equilibrio. Thelma doveva soddisfare il mio desiderio di fare un film di genere, mettendo da parte il dramma e il buon gusto. Invece si è trasformato in una storia di famiglia tra De Palma, Lynch e Bergman, con il massimo rispetto per gli artisti che cito e sempre che quello che dico abbia senso. Ma volevo provare, per vedere se ero in grado di fare qualcosa che fosse anche in qualche modo di cattivo gusto, ma alla fine mi sono trovato a raccontare un doloroso percorso di auto-affermazione e di scoperta. E credo di voler approfondire ancora questi temi in futuro, concentrandomi sempre su dei personaggi, mentre Eskil ha la possibilità di fare altre cose che gli piacciono continuando a lavorare insieme, e se fosse qui sarebbe d’accordo con me. Oltretutto anche lui non ha voglia di fare horror classici, ma di piegare il genere a modo suo. Insieme abbiamo fatto il buddy movie, il dramma familiare di Segreti di famiglia, il thriller sovrannaturale, la commedia romantica, ma sempre uscendo dai binari.
Sia Thelma che The Innocents hanno echi del cinema di genere italiano classico, ho visto in entrambi tracce di Dario Argento.
E hai ragione, non hai idea di quanto horror italiano abbiamo visto e di quanto lo amiamo Eskil e io. Dario Argento è un genio per me, così come lo era Mario Bava.
Sono felice di sentirtelo dire, ma purtroppo per la prossima domanda dobbiamo andare da un’altra parte: AMERICA. Dopo due nomination all’Oscar saranno già arrivate delle proposte.
A dire il vero, già Reprise fu un grosso successo negli Stati Uniti, lo prese la Miramax e fece parte del primo lancio di Netflix andando direttamente in piattaforma dove fece numeri formidabili. Da allora ho avuto conversazioni con produttori americani di tanto in tanto, che mi hanno fatto e mi fanno molto piacere, ma sono un regista che fa film personali e che prevedono il totale controllo del montaggio finale. Posso lavorare solo così, e se dovesse esserci la possibilità di collaborare con qualche attore particolarmente interessante a queste condizioni, allora posso prendere in considerazione l’ipotesi. Ma per il momento sto a casa, seduto alla scrivania a scrivere, concentrandomi sui contenuti. La questione è molto semplice, sta sempre in quello che vuoi fare. E io voglio fare film per il grande schermo girati in 35mm, come ho sempre fatto. Voglio fare cinema, quello con cui sono cresciuto, a cui ho dedicato la mia vita cercando di esprimere qualcosa di personale e libero attraverso questa forma d’arte. Quindi, stai tranquillo, non firmerò per girare un film della Marvel o qualcosa del genere. Mi piace fare film e non mi sono pentito di nessuno dei cinque che ho fatto fino ad ora. Sono cresciuto guardando Fellini, Bergman e tutti quei registi che negli ultimi vent’anni hanno frequentato Berlino, Venezia, Cannes con le loro opere, è questo il cinema che mi affascina.
Siamo arrivati alla fine della seduta. L’ultima domanda è quella classica: FUTURO. A cui aggiungo una chiosa. Quando si incontra un personaggio che si ama – o che si odia, come nel caso di Julie – vorresti sempre sapere qualcosa di più, scoprire anche il suo di futuro. Hai pensato che La persona peggiore del mondo potrebbe diventare migliore in un prossimo film?
Adoro Julie, è un personaggio fantastico, quindi trovo bellissimo che tu la voglia vedere crescere, evolversi. Ma non vedo un sequel, diciamo che nel mio universo credo che ci sarà un altro film con Renate Reinsve, ma con un personaggio diverso. Julie si risolve per lo spettatore con la sua assenza una volta finito il film, lascio a voi pensare che cosa le succederà in seguito. Per farti un esempio, ho adorato Un uomo, una donna di Claude Lelouch, i due personaggi erano scritti in maniera straordinaria. Purtroppo c’è stato un sequel. Per quanto riguarda il mio futuro, Eskil e io stiamo scrivendo, abbiamo tante idee, ma purtroppo poco tempo, la campagna per l’Oscar e il successo della Persona peggiore del mondo ci ha fagocitati per mesi. Quando tutto questo sarà finito, ci metteremo alla scrivania e decideremo cosa fare.