La mattina dopo gli Academy Award, Taika Waititi – vincitore dell’Oscar per la sceneggiatura non originale con Jojo Rabbit – sta bevendo una bevanda elettrolitica reidratante. Ma per quanto sia in hangover, il post-sbornia non impedisce al regista di scatenarsi durante il servizio fotografico. Si contorce sul divano di una stanza d’albergo, si infila in un armadio e mostra la statuetta con un’espressione di finto terrore sul viso, come se stesse scacciando un vampiro con una croce.
Jojo Rabbit, liberamente ispirato al romanzo di Christine Leunens del 2008 Il cielo in gabbia, racconta la storia di Johannes Betzler (Roman Griffin Davis), un sensibilissimo bambino di 10 anni durante la fine della seconda guerra mondiale in Germania. Sebbene abbia Adolf Hitler (Waititi) come amico immaginario, non è fatto per diventare il nazista che vorrebbe. E infatti gli viene affibbiato il soprannome del titolo quando i ragazzi più grandi della Gioventù Hitleriana lo spingono a strangolare un coniglio, e lui non ci riesce. Il fervore fascista di Jojo viene messo alla prova quando scopre che sua madre, Rosie (Scarlett Johansson), ha nascosto una ragazza ebrea, Elsa (Thomasin McKenzie), in un’intercapedine della loro casa. Rosie crede in suo figlio e gli dice “l’amore è la cosa più forte del mondo”. E, a quanto pare, ha ragione.
Jojo Rabbit è una commedia provocatoria, un racconto di formazione su un bambino alle prese con gli orrori del nazismo.
Dopo sei lungometraggi, Waititi, 44 anni, si è costruito una carriera come sceneggiatore, regista e attore, alternando film indie (Selvaggi in fuga del 2016) e roba mainstream da studios (Thor: Ragnarok del 2017).
La star di Thor Chris Hemsworth – che presto lavorerà di nuovo con Waititi in Thor: Love and Thunder – spiega via e-mail a Variety che “essere sul set con Taika non è mai come lavorare”. Sottolinea che Waititi applica gli stessi principi che usa nei suoi progetti più piccoli a film dal grosso budget come Thor, concentrandosi su “personaggio, cuore, umorismo, storia. … Gli effetti speciali e la produzione imponente non sembrano distrarlo in nessun modo. C’è una purezza nella sua concentrazione e nelle sue intenzioni che è irremovibile”.
Waititi ha anche alcune peculiarità degne di essere raccontate – ad esempio, devo fare un pisolino almeno una volta al giorno. Carthew Neal, produttore di Jojo Rabbit e partner di Waititi presso la Piki Films, afferma di averli programmati nella schedule produttiva. “So che devo fare un pisolino di 20 minuti all’ora di pranzo”, dice Neal. “E poi, è come se nel pomeriggio per lui iniziasse un nuovo giorno! Ha un’energia infinita”.
Waititi aveva bisogno di quell’energia durante questa estenuante e singolare stagione dei premi. Con la cerimonia anticipata, la campagna per gli Oscar è stata di una velocità impressionante e le nomination sono state un po’ turbate da chi non è stato riconosciuto, vale a dire attori di colore e le registe donne. Queste mancanze sono state in qualche modo mitigate nella notte degli Oscar, quando Parasite di Bong Joon-ho è diventato il primo film in lingua non inglese a vincere Best Picture e Best International Feature Film, e Waititi – di origine maori – ha vinto il premio come miglior sceneggiatore.
Dopo la fine dello shooting di Variety all’h Club di Hollywood, Waititi parla di Jojo Rabbit e dei suoi progetti futuri. Poi scompare in una delle camere dell’hotel. Sì, è l’ora del pisolino.
Durante il tuo discorso, hai dedicato la vittoria ai bambini indigeni del mondo. Quando l’hai deciso?
Ci pensavo da un po’. In Nuova Zelanda, ballare e fare arte non era visto bene, alla gente sembrava strano. Le cose sono cambiate parecchio, ma ci sono ancora gruppi di bambini lì e nel mondo che pensano di dover rinunciare a raccontare storie o a essere creativi. Volevo provare a comunicare con i ragazzini che sono cresciuti come me o che stanno crescendo come ho fatto io. Per dire loro: è OK voler fare l’artista da grande.
Com’è stato essere una persona non bianca che lavora a Hollywood?
La gente trova affascinante il fatto che venga dalla Nuova Zelanda. Pensano: “Oh, quelle persone stravaganti con quegli accenti strani!”. Non credo che quando i maori vengono in America, vengano visti con gli stessi occhi dei messicani o degli ispanici. Non ho mai sentito pregiudizi nei miei confronti qui a Los Angeles, anche se so che esistono. Probabilmente sono fortunato ad avere un accento strano!
Cosa ne pensi del successone di Parasite?
Ero così felice. Il fatto che sia il primo film in lingua non inglese a vincere miglior film e miglior film straniero è incredibile. Adoro Bong Joon-ho: Memorie di un assassino è nella mia top-five.
Nel 2012 Jojo Rabbit era nella Black List, ma ci è voluto parecchio tempo per farlo. Ora che hai vinto questo Oscar, come vedi la strada dalla scrittura del film a oggi?
È l’unico copione che ho cominciato a scrivere dalla prima pagina. Di solito parto dalla fine, e poi cerco di trovare un inizio e qualcosa nel mezzo. Ma qui no. È come se fossi stato aiutato in qualche modo. C’è chi dice di essere influenzato dalla musa o qualcosa del genere. In questo caso è successo tutto così in fretta. Penso di aver scritto la sceneggiatura in un paio di settimane. Non ero stressato, è semplicemente uscito tutto. Non so come spiegarlo.
Nel libro non c’è Hitler come amico immaginario. Perché è così importante per la storia?
Ho pensato: “Prenderò quella storia e aggiungerò delle cose alla Taika”. Come posso mostrare un bambino in conflitto tra le due parti della sua coscienza? Non voglio girare delle inquadrature di lui che cammina fra i campi di grano, come fa la maggior parte dei cineasti. Potrebbe esserci un modo più intelligente per far vedere come si manifesta la sua coscienza.
Quindi il personaggio di Hitler era una cosa alla Taika?
Sì, non l’ho programmato. Mi è venuto in mente mentre scrivevo.
In un Ted Talk che hai tenuto nel 2010, hai parlato della tua ossessione infantile per il disegnare svastiche e dipingere baffi e capelli di Hitler su altri oggetti. È in qualche modo confluita nel personaggio?
Può essere! Se ti viene detto di non fare qualcosa, di solito finisci per farlo. Se le persone ti dicono di non disegnare una svastica, a un certo punto quando sei solo nella tua stanza, lo fai solo per vedere com’è. E poi ti senti davvero in colpa, ed è quello che mi è successo. Trasformavo lo schizzo in una finestra o lo scarabocchiavo. Forse qualcosa è trapelato nel film.
C’è una scena in cui Rosie ed Elsa parlano del fanatismo di Jojo e Rosie dice che sa che suo figlio è lì, da qualche parte. Per me è uno dei momenti più stridenti da vedere oggi, perché il mondo in cui viviamo in questo momento mi sembra spesso così sbagliato – eppure sento che il mondo che pensavo di conoscere è qui, da qualche parte.
Non è così strano, vero? Sai che il mondo è buono. Sai che intrinsecamente gli esseri umani sono buoni. Ma anche venendo in auto agli Oscar, siamo passati su Highland Avenue e c’erano tutti questi sostenitori di Trump che ci urlavano contro e ci mostravano il dito medio: “Altri quattro anni!,” strillavano. “Altri quattro anni!”.
Guardavo fuori dal finestrino e pensavo: “Mio Dio!”. Ci vuole parecchia forza di volontà per alzarsi dal letto, scendere in strada e aspettare i SUV neri per dire alle persone che lavorano nell’industria cinematografica che sono cattivi e che i gay dovrebbero andare all’inferno. È un bello sforzo! Una parte di me pensa: “Se lo fanno loro, potrei sforzarmi anch’io”. È troppo facile pensare: “Oh, beh, sono degli idioti. Non farò nulla”. Loro contano su quello.
Nel backstage, hai parlato di come i nazisti siano un dato di fatto anche adesso. Come siamo arrivati qui?
È da pazzi. Ho vissuto in Germania alla fine degli anni ’90, e c’erano partiti politici neonazisti di destra. A che punto è cambiato tutto e quando abbiamo improvvisamente dimenticato le regole? Se odi un’altra razza, sei una persona terribile.
Pensi che le critiche al film sarebbero state più soft se usassi ancora Taika Cohen come nome e se la gente sapesse che sei ebreo?
Sì! Hanno fatto una proiezione per la stampa con tanti giornalisti ebrei, e molti hanno commentato: “Vorrei aver saputo che era ebreo prima di aver visto il film”.
Disney ha acquisito Fox Searchlight mentre stavi finendo Jojo Rabbit. Ti ha mai preoccupato il fatto che il film sarebbe stato distribuito da loro?
No. Avevamo già girato, stavamo montando, abbiamo ricevuto note da Searchlight. A loro stava bene tutto. Ho sentito una cosa tipo: “Qualcuno della Disney è preoccupato per Jojo Rabbit“, ma sospetto che fosse una bugia. Perché i vertici di Disney sono sempre state di grande aiuto. Hanno visto il film e lo adorano.
Ho sempre pensato al film per una visione assistita (Parental Guidance, ndt). Ho usato solo una parolaccia.
Dove?
“Fuck off, Hitler”, quando Jojo lo calcia fuori dalla finestra. Volevo che lo vedessero bambini e adolescenti.
Questa è stata la tua prima grande campagna per gli Oscar. Com’è andata?
È più stressante che fare un film. Almeno quando stai girando, ogni giorno è diverso. È quello che è: una campagna. Alla fine, se qualcuno mi avesse dato in braccio un bambino, avrei scattato una foto con lui e l’avrei baciato.
A che punto sei con il tuo prossimo film, Next Goal Wins?
Devo montarlo. Penso che ci prenderemo il tempo che ci serve e lo consegneremo per la fine dell’anno.
Anche quello è un film che potrebbe aspirare a grossi premi?
È più una commedia. Probabilmente è abbastanza presuntuoso da parte mia suggerire che assomigli a Quasi amici (il film francese del 2011 diretto da Olivier Nakache e Éric Toledano, nda), ma quel film mi ha davvero ispirato: persone che superano barriere culturali. Bisogna fare cinema che sia anche edificante! A volte la vita è già abbastanza deprimente nella quotidianità.
C’è parecchio fermento per Natalie Portman nel prossimo Thor. Quanto resterai fedele ai fumetti? Il suo personaggio, Jane Foster, avrà il cancro?
Non lo sappiamo. Quella serie di fumetti è stata una grande fonte d’ispirazione e ha influenzato le prime bozze. Ma alla Marvel cambiamo sempre tutto. Potrei dire una cosa in questo momento e, tra due anni, sarà l’esatto contrario – o magari non esisterà nemmeno più. Continuiamo a scrivere anche in post-produzione.
Sulla base di quello che vuole la Marvel?
Sulla base di quello che vuole il pubblico. Testiamo il film. Per Thor abbiamo fatto due settimane di riprese con i nostri pickup. Ci sono stati enormi cambiamenti nel personaggio, nella storia. Abbiamo girato di nuovo intere scene. È per questo che fanno un buon lavoro. Sono implacabili nel perseguire la buona riuscita di un film.
Non ti infastidisce girare di nuovo le scene?
Mi è successo per ogni singolo film che ho fatto: inserisco i reshoot nei miei budget, mi piacciono. Non bisogna vergognarsi.
Vorresti che la Valchiria di Tessa Thompson fosse esplicitamente queer nel prossimo film?
Direi di sì. La proprietà intellettuale non è mia, ma supporto sempre qualunque cosa faccia sentire gli attori a proprio agio – sia che percepiscano la questione come una scelta naturale, o un percorso naturale per quel personaggio. Se Tessa volesse farlo, io ci sto.
Lavorando a The Mandalorian ti sei ritrovato al centro della conversazione su Star Wars. A che punto è?
Mettiamola così: vorrei che ci fosse una storia migliore da raccontare. C’è dibattito su Star Wars? Sì, ho discusso con i miei amici nel 1996 di quanto fosse bello. E questo è tutto quello che c’è da dire.
Davvero non bolle proprio niente in pentola?
La gente mi vede uscire con alcune persone, soprattutto con quelle coinvolte nell’universo di Star Wars, e immagina che stia portando avanti importanti trattative. Mi piacerebbe molto.
Ti piacerebbe fare un film di Star Wars?
Se avesse un senso. Farei qualunque tipo di film se avesse un perché e se non lo percepissi come qualcosa che può uccidere la mia carriera.
E invece che succede con il remake live-action di Akira?
È tutto in sospeso. Continuavamo a spostare le date, e ora la mia schedule è invasa dalle scadenze di Thor, che sono scritte sulle pietra. Quindi Akira ha finito per spostarsi due anni più avanti.
Dopo Thor?
Dopo Thor. E non sono sicuro che tra due anni… cioè, non so cosa farò tra due giorni.
Vuoi dire che potrebbe non succedere?
Penso che alla fine accadrà. Ma non sono sicuro che lo farò io.
Quando pensi ai film che hai realizzato, qual è il fil rouge che li collega?
Riguardano la famiglia. I miei film precedenti parlavano di padri. Sto entrando nella fase delle madri ora. Quello che amo delle famiglie è che non importa da dove vieni, hanno tutte la stessa dinamica. Ci sono gli eroi e ci sono i cattivi. Ci sono i due tizi brontoloni tipo Muppet: gli zii e le zie che sanno tutto, fanno gli stronzi, si lamentano. C’è il coro greco. Nelle famiglie ritrovi ogni dinamica e ogni stereotipo possibile. Ecco perché continuo a tornarci sopra. Sono una fonte infinita di intrattenimento per me. La mia famiglia è esilarante. E io rubo sempre le loro storie per inserirle nei film.
Questa intervista è stata pubblicata sul numero di Variety del 12 febbraio 2020. Tutti i diritti riservati.
Per Taika Waititi
Styling Jeanne Yang/The Wall Group
Grooming: Su Naeem/Oribe/Dew Beauty Agency
Abito: Dior
Scarpe: Tods
Gemelli: David Yurman
Spilla: Nikos Koulis
Orologio: Panerai
Location: H Club Los Angeles
Statuetta: Oscar ® Statuette © AMPAS ®