Tesa Litvan dice che troppe volte, nel copione di Diva Futura, c’era scritto “con gli occhi lucidi”, e di questo parleremo tra un po’. Però si capisce perché. Éva Henger, il personaggio che interpreta nell’opera seconda di Giulia Louise Steigerwalt – e anche il suo film più ambizioso, maturo, rivoluzionario: anche di questo parleremo tra un po’ – e che è portatore di un’intimità che va al di là del corpo. Nel ritratto di Riccardo Schicchi (Pietro Castellitto) e della sua agenzia visto con gli occhi di colei che, per caso o forse per destino, diventò la sua segretaria (Debora Attanasio, interpretata da Barbara Ronchi), dopo Moana (Denise Capezza) e Cicciolina (Lidija Kordic) spunta Éva, l’ultima donna della sua vita e anche la testimone della caduta di quel mondo.
Litvan, croata classe 1996, dopo tanto cinema e teatro in patria aveva esordito in Italia proprio con Steigerwalt nell’esordio da regista dell’ex attrice turned sceneggiatrice, cioè il premiatissimo Settembre. Lì era una prostituta, qui una pornostar, ma si è sempre sentita in mani sicure. «Della nuova idea, cioè di Diva Futura, Giulia mi aveva parlato già alla fine delle riprese di Settembre», mi dice, chiacchierando in inglese, «e poi ne aveva parlato anche con Éva, a cui ero piaciuta. Ma questo succedeva molto prima che il progetto prendesse corpo davvero. Poi c’è stato tutto il processo di casting, molto rigoroso, e solo dopo un po’ ho avuto la conferma da parte di Giulia. Ma sapere che ero piaciuta a Éva fin dall’inizio mi rassicurava, e ha reso tutto più facile».
Poi ci sono state “le domande”. «A Éva ho chiesto tutto, e lei ha risposto a tutto, anche più di quanto mi aspettassi. Il che mi ha aiutato anche più della sceneggiatura, dove, giustamente, mancavano tutte le parti che a me interessavano di più, cioè i dettagli sulla sua vita. Volevo sapere cosa lei pensava di sé stessa, e cosa gli altri pensavano di lei. I suoi rimpianti, se ce n’erano. Il suo punto di vista su quello che era successo. Ho fatto vedere le mie domande prima a Giulia, perché un po’ esitavo. Lei mi ha detto: “Non ti preoccupare, chiedile tutto”. E così ho fatto».
Di Éva come figura pubblica Tesa sapeva poco, e della Éva donna privata ancora meno. «Mi ha sorpreso quanto fosse aperta, e il modo affettuosissimo con cui lei e suo marito Massimiliano (Caroletti, produttore e manager, nda) parlano ancora oggi di Riccardo. Più che un’agenzia, Diva Futura era davvero una famiglia, ed è quello che mi ha stupita più di tutto. Quando parlano di certe cose, tutti e due ancora ridono, il che è commovente. La cosa più difficile da comprendere per me era l’amore che lei ancora prova per Riccardo, e anche l’amore di Massimiliano per Riccardo». C’entra il pregiudizio che in tanti – tutti? – abbiamo nei confronti di quel mondo. «Ce l’avevo anch’io, ma poi quando parli con Éva o con Debora di quei giorni è come se parlassi con me del campo estivo in cui sono andata da bambina (ride). È una storia piena di calore, di amore, poi certo c’erano i problemi, i litigi, ma come in tutte le famiglie. Ma tutti ti raccontano che è andata esattamente così. Giulia dice che per Settembre si è dovuta inventare tutto, invece per Diva Futura la realtà era ancora più folle di quello che avresti potuto inventare».
Al di là di quelle misteriose domande, mi chiedo, e le chiedo, qual è stata la chiave definitiva per entrare nel mondo di Éva. «Non è stato un elemento solo», osserva Litvan, «ma certamente il modo in cui parla e si muove, e ancora di più come sembra entrare dentro sé stessa quando pensa a Riccardo. Quel modo in cui pensa e si concentra quando deve rispondere a una domanda è stato una chiave importante, un piccolo dettaglio che però mi ha fatto rivalutare tutto e capire che, come dicevo, alla base di questa storia c’era solo l’amore. “A quei tempi ero molto naïf, molto ottimista”, mi ha detto Éva, e forse anche per questo ha creduto alle persone sbagliate. Ma questo ottimismo è un lato determinante di lei e di quel mondo, almeno per come lo era allora».
C’è una scena – senza spoiler – che è ancora più hard di tutto l’hard (pardon) che mette in scena. Perché scava nell’intimità, nel disagio, nel sozzume che incontra Éva sul set di un film porno. «Al centro di quel momento c’è la sensazione di essere stata tradita nelle sue speranze, nei suoi sogni. Ed è una ferita profondissima. È lì che realizza quanto era stata al sicuro in Diva Futura, e con Riccardo, e come tutto si sia invece trasformato in qualcosa di orribile e imbarazzante». In mezzo a tutto questo, c’è Tesa l’attrice che deve mettere in scena quel momento, quel passaggio. «Era molto dura per me fingere di essere Éva in quel momento cruciale, concentrare gli alti e i bassi di quei due mesi quando avevo conosciuto una donna con un arco di vita molto più ampio e intenso di così. Ma quel giorno sul set c’era un’atmosfera bellissima. Ed è stato bellissimo quando io e Éva, sedute vicine, abbiamo visto il film per la prima volta a Venezia (dove Diva Futura è stato presentato in concorso, nda). Lei a un certo punto si è messa a singhiozzare e ho cominciato anch’io, e siamo andate avanti così fino alla fine».
La rappresentazione del porno – e dei corpi delle donne – per mano e sguardo di una donna è l’altro punto cruciale del film, e di quello che ci sta dietro. «Giulia aveva un’idea molto precisa, e molto diversa, rispetto al mettere in scena il mondo del porno. Ricordo che mi disse di non preoccuparmi, che avrebbe rispettato tutte le mie richieste, che non mi avrebbe mai fatta sentire a disagio. “Vorrei fare questo film senza mostrare neanche una tetta”, mi disse, “perché Diva Futura non è su quello”. Ed è vero, Diva Futura non è un film sul porno, e in ogni caso quello era il lavoro di Giulia e del suo copione. Il mio lavoro era la vita di Éva, cercare di rappresentarla con onestà, esserle fedele. E il porno era una piccolissima parte di quella vita. C’era l’amore, c’era la famiglia, ma il porno era una parte veramente insignificante».
Raccontare la stagione più (in)gloriosa del porno nel Paese che dal sesso è ancora ossessionato è un altro fatto da considerare, soprattutto in un’annata che, da Supersex in poi, sembra fare oggi finalmente i conti da una prospettiva femminile con l’eredità che quell’industria ha lasciato. «Voi avete il Vaticano, ma non è molto diverso in Croazia e in altri Paesi a forte maggioranza religiosa. Più le cose sono proibite, più la gente le vuole. Di sicuro lavorare a questo film ha cambiato la mia prospettiva sul porno, specie vedendo com’è oggi. Anzi, da un lato vedere come funzionavano le cose ai tempi di Diva Futura mi ha resa più pessimista. Se tutte le persone, come accadeva con Schicchi, avessero un atteggiamento diverso, anche il porno sarebbe migliore. Ma magari, a piccoli passi come coi bambini, ce la faremo, e questo film nel suo piccolo può aiutare. Giulia ha fatto il primo film femminista sul porno, che è un concetto completamente inedito. È un film per le donne, e in questo senso è rivoluzionario».
Aver già lavorato con Steigerwalt su set che Litvan trova «molto più professionali e silenziosi rispetto a quelli croati: lì tutti urlano» (e detto dei set italiani fa sorridere assai) ha facilitato il lavoro. «Settembre è stato più semplice, avevamo più tempo, più pranzi… (ride) Però qui Giulia aveva la mia completa fiducia, che è stato sicuramente un vantaggio. Eravamo in disaccordo su un paio di cose, ma lei mi ha detto “Fidati di me”, e io l’ho fatto. Ha un modo di dirigere gli attori fantastico, forse perché è stata attrice lei stessa. Era una sfida più grande rispetto a Settembre, ma amo mettermi in situazioni non comode, non sicure. Ogni sera dopo il set tornavo nel mio appartamento stanchissima, sia fisicamente che psicologicamente. Chiamavo il mio fidanzato e lui mi chiedeva: “Com’è andata? Hai pianto anche oggi?”. E io gli rispondevo: “Ho dovuto piangere moltissimo, sì, sappi che oggi sei morto moltissime” (ride). Adesso la gente mi dice che nel film non piango così tanto, ma non era tanto il piangere, ma avere costantemente gli occhi sul punto di farlo».
“Con gli occhi lucidi”, dicevamo. «Avevo le lenti a contatto per cambiare il colore dei miei occhi, perciò non potevano “aiutarmi” con le lacrime artificiali: dovevo davvero farlo da sola. Anzi, era ancora più difficile: dovevo fare tutto il processo per arrivare a piangere, e poi fermarmi e restare in quello stato di commozione prima dell’esplosione. È stato emotivamente devastante. Per questo a Giulia ho detto: basta ragazze ingenue che si spogliano, se facciamo un altro film insieme mettimi un lupetto e fammi fare la cattiva».