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‘The Big Cigar’: se le Black Panther fossero un film di Hollywood

È successo davvero: il leader del movimento politico Huey P. Newton è stato protagonista di vicenda alla ‘Argo’, che curiosamente c’entra con questa storia. E che ora è diventata una (imperdibile) serie Apple TV+

Foto: Apple TV+

Avete presente Argo, il film di Ben Affleck che racconta di come la CIA riuscì a estrarre dall’Iran i cittadini americani dal Paese usando come copertura una finta produzione cinematografica? Ecco, non era quella la prima volta che Hollywood ha fatto la Storia. Era già successo qualche anno prima, e il protagonista di quella che in questo caso fu una fuga era Huey P. Newton, leader delle Black Panther, ricercato all’epoca per il presunto omicidio di una donna. La giustizia fece in seguito il suo corso, Newton non fu mai condannato, anche se attorno a tutta la vicenda aleggiano molte ombre. Fatto sta che nel 1974, quando accaddero i fatti di cui sopra, essere il fondatore e capo delle Black Panther negli Stati Uniti di Richard Nixon certo non assicurava un processo equo. E qui entra in ballo Bert Schneider, il produttore di Easy Rider, L’ultimo spettacolo e altri grandi film di quell’epoca d’oro del cinema americano. Schneider aveva abbracciato la causa di Newton e lo aiutò a darsi alla macchia, ma per riuscire nell’impresa c’era bisogno di un piano. E non esiste al mondo un piano migliore di quello di lavorazione di un film. Una vicenda incredibile, scoperta alla fine degli anni Novanta da Jim Hecht, oggi creatore, insieme a Janine Sherman Barrois, di The Big Cigar, serie che dal 17 maggio è disponibile su Apple TV+ e che racconta come andarono le cose.

«Ho iniziato a lavorare su questa storia nel 1998, era il mio progetto di tesi finale alla USC», mi ha raccontato Hecht. «Ne avevo sentito parlare e così iniziai a fare ricerche, ma poi l’ho messa da parte, perché un po’ ho avuto una carriera completamente diversa. Finché un mio amico, Josh Bearman, non scrisse un articolo su Wired da cui poi fu tratto il film Argo. Allora lo chiamai e gli dissi: “Ho qualcosa che penso sia simile, ma credo anche migliore”. Lui lesse le mie ricerche e ne fu entusiasta, così iniziammo a lavorare a un articolo, ma non riuscivamo a trovare Bert Schneider, era scomparso. La sua casa era bruciata, nessuno sapeva dove fosse. Stavamo per rinunciare, senza quel lato della storia non potevamo andare da nessuna parte. A quei tempi scrivevo spesso di notte in una caffetteria che chiudeva alle due. Una sera, per continuare a lavorare, andai allo Swingers, una tavola calda di Hollywood. Arrivai lì verso le tre del mattino, proprio mentre stavano buttando fuori un anziano senzatetto, credo per intemperanze verso i camerieri. Gli erano caduti dei soldi, ma aveva un deambulatore e non riusciva a raccoglierli. Mi sono chinato per aiutarlo, l’ho guardato negli occhi e ho detto: “Oh, mio Dio, sei Bert Schneider!”. E lui disse: “Sì, e tu chi sei?”. Ci siamo seduti su una panchina e abbiamo parlato tutta la notte, finché non è sorto il sole, e da lì è iniziata la storia».

E ce ne sono dentro almeno un altro paio. A partire da che cosa è successo a un certo punto della sua vita proprio a Bert Schneider, figlio di una ricca famiglia ebrea di New York che il cinema ce lo aveva nel DNA. Il padre era stato presidente della Columbia Pictures, ma Bert nel mondo delle major non ci si trovava bene. Aveva idee indipendenti e fuori dagli schemi, insieme a Bob Rafelson inventò i Monkees, una famiglia pop band protagonista di una serie di grande successo negli anni Sessanta e che poi diventò davvero un gruppo musicale. Fece un fracasso di soldi che gli consentirono di seguire l’istinto. Produsse i successivi film di Rafelson (Cinque pezzi facili, Il re dei giardini di Marvin), ma il vero colpo fu Easy Rider. Qui iniziò la collaborazione con Steve Blauner, suo amico d’infanzia e influente talent agent e producer. E terzo lato di questo strano triangolo.

«Non sapevo nulla di questa storia», mi ha confessato Alessandro Nivola, che in The Big Cigar interpreta Bert Schneider. «Ed è incredibile che anche qui sia coinvolto Josh Bierman, il giornalista investigativo che aveva scovato la storia da cui poi è stato tratto Argo. Josh aveva intervistato Bert un paio d’anni prima della sua morte, avvenuta nel 2011, e mi ha mandato tutti i nastri di quelle registrazioni. E questa è stata la migliore risorsa, perché ha parlato per ore e ore di Huey, della sua esperienza e di tutti gli anni nel mondo del cinema. La sua voce e il suo modo di parlare erano rivelatori del personaggio, dell’ambiente e del periodo».

A interpretare il sodale Blauner è invece P.J. Byrne, caratterista magnifico, lo potete apprezzare in tutto il suo talento nell’opulento Babylon di Damien Chazelle. «Quello che accade ai due produttori che interpretiamo Alessandro e io offre una visione molto chiara di quello che è un set cinematografico. Ovvero un posto dove ci sono problemi ogni minuto e per cui il produttore diventa il tuo migliore amico, perché è costantemente abituato a risolverli, quei problemi. Bert è stato probabilmente uno dei più grandi risolutori di problemi della storia del cinema, ma non solo: era un idealista capace di spendere tutti i suoi soldi per sostenere una causa, come aiutare Huey Newton a lasciare il Paese. E Steve Blauner, il suo migliore amico, è disposto a fare qualsiasi cosa per lui».

André Holland con Alessandro Nivola, alias Bert Schneider. Foto: Apple TV+

Newton fondò le Black Panther insieme a Bobby Seale nel 1966 a Oakland, California. Era un movimento politico nato prima di tutto per contrastare la violenza delle forze dell’ordine nei confronti degli afroamericani, ma ben presto, grazie soprattutto alle idee e agli sforzi dello stesso Newton, si trasformò in un punto di riferimento sociale. Le Black Panther crearono programmi didattici per i giovani, misero su ambulatori gratuiti a disposizione della diverse comunità in cui il movimento operava, mense per sfamare i meno fortunati. Tutto sotto una bandiera ideologica marxista-leninista. Logico che Newton venisse preso di mira dall’ordine costituito. Newton passò due anni in carcere per l’omicidio accidentale di John Frey, un agente di polizia che lo aveva fermato e arrestato nel 1968. L’uomo morì per un colpo partito dalla sua pistola d’ordinanza durante la colluttazione con Newton. Dopo varie revisioni della sentenza e nuovi processi, Newton fu scarcerato, diventando un simbolo per tutta la comunità nera americana. Una voce che oggi sarebbe utilissima, come molte altre il cui sangue è stato versato nella terra degli uomini liberi se ricchi, bianchi e protestanti, fondamentale, soprattutto alla vigilia delle più importanti elezioni della storia degli Stati Uniti.

È la domanda che ho fatto ad Andre Holland, splendido interprete di Huey Newton nella serie. «Sì, penso che la sua voce sarebbe enormemente utile in questo momento. Huey non aveva mai paura di dire la verità. Credo che la sua politica sia sempre stata indirizzata verso una lotta globale per la liberazione e la costruzione di coalizioni multirazziali. Ripensando al programma in dieci punti delle Black Panther, cose come l’accesso all’istruzione, alla casa, al cibo per i giovani prima che vadano a scuola, alla revisione delle politiche carcerarie, ci si accorge che sono tutte cose per cui stiamo lottando ancora oggi. Sì, una voce come la sua sarebbe estremamente utile in questo momento».

The Big Cigar racconta tutto questo e molto di più, e lo fa usando un tono non facile da mantenere, con grande ironia ma anche profondo rispetto nei confronti non solo dei suoi protagonisti, ma anche della Storia in sé. C’è naturalmente una grande drammatizzazione degli eventi per rendere il prodotto un più che piacevole intrattenimento, con una narrazione in continuo movimento nel tempo e nello spazio, e interpretazioni di altissimo livello. Ma la cosa che rende la serie davvero gustosa è proprio l’intreccio tra realtà e finzione, suggestione che da sempre affascina il mondo del cinema, come ci insegnava già Billy Wilder con L’asso nella manica. La vita è spettacolo, grottesco nella maggior parte dei casi, tragico, talvolta divertente. Oggi siamo tutti sotto gli occhi di tutti. Una volta si poteva creare una realtà alternativa, come curiosamente racconta una commedia sentimentale che arriverà nei cinema a luglio, Fly Me to the Moon, in cui, con l’aiuto di Scarlett Johansson e Channing Tatum, si racconta dello sbarco sulla Luna fasullo che sarebbe dovuto andare in onda in caso di problemi della missione Apollo 11. Naturalmente sul romantico satellite ci abbiamo camminato. O forse è davvero un film. Ma chi lo ha detto che i film non sono la realtà? Basta scegliere la pillola del colore giusto.

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