«‘The Last of Us’ è una tragica commedia umana»: parla il creatore Craig Mazin | Rolling Stone Italia
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«‘The Last of Us’ è una tragica commedia umana»: parla il creatore Craig Mazin

I cambiamenti nella stagione 2, le differenze rispetto al videogioco, il nuovo rapporto tra Joel (Pedro Pascal) ed Ellie (Bella Ramsey) e la crescita – in tutti i sensi – della seconda. La parola allo showrunner

«‘The Last of Us’ è una tragica commedia umana»: parla il creatore Craig Mazin

Bella Ramsey (a destra) nella seconda stagione di ‘The Last of Us’

Foto: HBO

«Se c’è qualcuno che dovrebbe sapere che le commedie sono una cosa seria, sono gli italiani. La commedia dell’arte è una cosa molto seria. Ed è bellissima». Facile finire a parlare di questi argomenti con Craig Mazin, che è sì lo showrunner e sceneggiatore di The Last of Us, ma anche di Chernobyl, una delle miniserie migliori degli ultimi anni, targata ovviamente HBO come lo show tratto dal gioco nato dalla mente di Neil Druckmann. La seconda stagione – partita da noi il 14 aprile su Sky e NOW – era attesissima e com’è venuta ve lo raccontiamo a parte. Con Craig Mazin parliamo invece di come si è arrivati alla realizzazione di uno show che, partendo da una fonte già di altissimo livello letterario e cinematografico come l’omonimo videogioco, tocca con straordinaria efficacia temi universali e di fondamentale umana importanza. Ma cosa c’entra la commedia? «La commedia è la più cupa di tutte le nostre pratiche. Lavorare nella commedia significa fissare l’oscurità, il vuoto e la miseria della condizione umana e poi riderne».

Parole di uno che non ha fatto altro per gran parte della sua vita. Già, perché è difficile pensare che l’uomo di Chernobyl e The Last of Us sia lo stesso che ha apposto la sua firma su parodie come Scary Movie 3 e 4 e Superhero Movie, per non parlare di Una notte da leoni 2 e 3. «La commedia sottolinea quanto sia tutto assurdo, e il modo in cui gli esseri umani riescono a trovare il riso nei momenti più bui è ciò che ci rende umani. È la nostra prerogativa esclusiva. Nessun’altra creatura sul pianeta sa far ridere. Siamo gli unici. Come sia arrivato da quello che facevo a quello che faccio oggi è una conseguenza. Ho tanti interessi e volevo scrivere di cose che mi sembravano coerenti. C’è qualcosa di così cupamente, tristemente divertente nel modo in cui le persone si sono comportate, ad esempio, a Chernobyl. È un tipo di commedia diverso da quelli su cui ho lavorato. Ma il rigore e la disciplina di quel genere sono stati per me una grande lezione. Ora che sono più vecchio, questo potrà sembrare strano, ma volevo che le cose fossero più facili. E il dramma è più facile. Quindi mi sono concesso una pausa lavorando a drammi molto seri».

The Last of Us S2 | Trailer ufficiale

Per ragioni di publicity, possiamo parlare solo del primo episodio, omettendo molte delle cose che accadono. Quindi parliamo d’altro. Per esempio: quando si lavora a una serie che ha così successo nella prima stagione, la seconda è una scommessa, anche potendo attingere al materiale originale. Qual è stata la sfida principale?
È sempre una scommessa, e chi scommette è la HBO perché spende un sacco di soldi per realizzare questo show. Quindi il mio compito è quello di essere il più coraggioso possibile dal punto di vista artistico, e la sfida è assicurarsi che la qualità rimanga la stessa, mentre la portata cresce enormemente. E non abbiamo deciso di rendere la serie più grande perché è la seconda stagione: sei semplicemente obbligato, quindi la sfida era farlo davvero, ed è stato estenuante e incredibilmente difficile. L’avevo detto alla fine della prima stagione e alla fine della seconda stagione me lo ripeto: “Come abbiamo fatto?”. Non ne sono sicuro, ma sono contento che l’abbiamo fatto.

Avete deciso di cambiare tono e genere. Fin dal primo episodio capiamo che questa è una stagione più cupa. Poi c’è l’elemento generazionale. Come avete costruito il contrasto tra Joel (Pedro Pascal) ed Ellie (Bella Ramsey) e soprattutto come avete gestito la crescita di quest’ultima?
Come sempre, mi faccio guidare dal materiale originale, che adoro. Neil Druckmann e Halley Gross, che hanno scritto il secondo gioco, decisero di spostarlo cinque anni nel futuro, il che per la maggior parte di noi non significa molto, tu o io saremo più o meno gli stessi tra cinque anni, magari ci farà solo più male la schiena. Ma entrambi ricordiamo ancora cosa significava avere 14 anni e poi 19, quei cinque anni sono enormi. Ed è stata una scelta intelligente, perché abbiamo visto Joel ed Ellie messi alla prova dal mondo che li circonda. Ora sono messi alla prova da cose che tutti capiamo, non da zombi che escono fuori dal nulla. Il che vuol dire non solo essere un bambino che diventa un giovane adulto e sente di voler essere sé stesso, ma anche, e non so se sei un genitore, guardare i figli crescere e vederli scomparire in un adulto. C’è una perdita, e porta dolore. La prospettiva della crescita mi fa più paura degli zombie.

Pedro Pascal è Joel. Foto: HBO

Non sono un genitore, ma ricordo il disastro che ero. C’è un altro elemento molto importante e attuale. Parlate di rifugiati in una società in crescita. E vorrei sottolineare, in questo momento.
È sempre stato importante. Lo è ancora di più in questo momento. Perché sono americano, questi sono personaggi americani, la storia è molto americana. Fa parte della nostra identità nazionale, e ha un che di ironico detto oggi. Ma gli Stati Uniti sono stati fondati e costruiti da rifugiati e schiavi. È una nazione diventata una potenza industriale grazie ai rifugiati. E nel corso di tutta la sua Storia, ha avuto al suo interno persone che volevano lasciare fuori i rifugiati. Questo fa eco a una parte intrinseca della condizione umana. Fa parte della nostra strana debolezza. Vogliamo disperatamente unirci e diventare parte di qualcosa. Quando lo facciamo, allora, per definizione, sentiamo che ora siamo parte di noi e loro sono loro. E l’idea di comunità come qualcosa di bello e di esclusivo mi affascina. Quindi i rifugiati e il concetto di esseri umani che lottano per essere animali sociali senza essere crudeli o esclusivi è per me universale. Quando abbiamo iniziato a lavorare allo show, non c’era molta enfasi sui rifugiati nei notiziari, ma è simile a quello che è successo quando lavoravo a Chernobyl. Scrivo di cose che sono universali. E poi, incredibilmente, l’attualità l’ha riflettuta. Succede sempre così.

Non possiamo dire nulla su ciò che accadrà, ma la maggior parte delle persone sa cosa è successo nel gioco. Quanto è diversa questa seconda stagione dal gioco?
È molto simile alla prima stagione. C’è il materiale originale, il nostro compito è di adattarlo fedelmente e riconoscere che siamo in un media diverso, il che significa che alcune cose funzionano nel videogioco ma non pensiamo che funzionerebbero altrettanto bene in uno show televisivo. Ci sono cose che pensiamo funzioneranno allo stesso modo, e poi ci sono questi meravigliosi spazi in cui possiamo crescere e adattarci. Le cose accadranno esattamente come nel gioco se sei un fan del gioco? Spesso no. Nel gioco accadono cose che non accadono nello show? Esatto. Alcune cose saranno uguali? Sì. Quindi ci concentriamo nel realizzare la migliore serie possibile. Ovviamente, vogliamo che il pubblico che non ha giocato apprezzi il la serie in sé. Ma chi ha giocato e ha visto la prima stagione, sa che non abbiamo paura di cambiare le cose.