The Policlinico Ambrosiano Dispatch: cronache dal set di ‘DOC – Nelle tue mani 2’
Prima o poi doveva succedere: siamo stati in esclusiva assoluta nei mega studi della serie-fenomeno. E fra dribbling tra gli spoiler e momenti di ordinaria follia abbiamo passato una giornata con il cast
La scena è solenne, quasi mucciniana per coralità e livello di pathos in campo: è una delle pochissime volte in cui, nella seconda stagione, vedremo quasi tutto il cast interagire insieme. Non dico altro perché qualunque dettaglio di trama sarebbe problematico: «È tipo la sequenza con più spoiler della stagione», mi avverte lo storyeditor Edoardo Gino. Molto bene, mi carico sulle spalle la responsabilità e vado avanti.
«Sai che ci sono i cecchini con i mitra puntati, non mi ammazzerebbero ma mi stordirebbero, perché gli servo ancora per un po’…», mi avverte Matilde Gioli mentre chiacchieriamo poco dopo. Data anche l’impossibilità di descrivere qualunque dettaglio, quello che ci importa è la premessa a questo ciak, courtesy of Pierpaolo Spollon (who else?), che ci viene ad accogliere già carichissimo insieme ad Alberto Malanchino per spiegarci che: «Nella prima fila si svolge tutto il drama, ma tu guarda dietro, dove stiamo noi, le nostre facce. Sembra in tutto e per tutto una puntata di LOL». Malanchino intanto sarebbe stato il primo eliminato. Ma, a dire le verità, tutti avrebbero avuto vita breve.
Sono più o meno le nove di mattina di una giornata di fine novembre, ma loro sono sul set dalle sei. E, nonostante alzatacce e ritmi serratissimi, sul set di DOC – Nelle tue mani 2 pare di essere in gita, di quelle dove rincasi distrutto ma gasato: «Siamo tornati come dopo un bellissimo anno scolastico, con la voglia di ritrovare i compagni e più ambizione», continua Gioli. «Voi ora ci siete venuti a trovare verso la fine dove siamo un po’ cotti, quindi c’è la risata isterica, lo svacco su ogni tipo di sedia o divano, però è bellissimo. Io arrivo ogni mattina salutando con un “Buongiorno, meravigliosi!”, perché amo vedere tutti, sono felice di iniziare una giornata con loro, pure se la sera prima magari ho litigato, che ne so, col fidanzato».
Io – lo confesso – non sono come Matilde, nel senso che, nonostante l’hype (e annessa quantità di messaggi di colleghi e amici che forse nemmeno quando sono stata ad Atlanta su set di Stranger Things), dopo la sveglia presto per attraversare Roma con la pioggia e arrivare a Formello, dove sorgono i mega-studi, “meraviglioso” non è esattamente il termine che mi viene in mente. Ma già sul transfer con ufficio stampa & C. l’energia cresce. E al tampone inizia a diventare elettrica: quanti ne abbiamo fatti in questi mesi, eppure come quello al presidio medico – questa volta vero, verissimo – di DOC, nessun tampone mai.
Mentre aspettiamo il referto mi guardo intorno. In Italia quello che è stato creato a Formello è un po’ un caso unico, rifletto insieme a Luca Bernabei, produttore di DOC e amministratore delegato di Lux Vide: «È il concetto di factory: c’è un luogo a Roma Nord dove un gruppo di tecnici e professionisti fa DOC e Blanca (ma anche Don Matteo, Che Dio c’aiuti, Viola come il mare…), un luogo pensato apposta per produrre non la fiction, ma le serie, che sono qualcosa di diverso».
Se ancora non fosse chiara la portata di DOC: «Come Blanca, è frutto di una modalità diversa di fare produzione rispetto ai nostri titoli tradizionali. Abbiamo deciso di produrle con il budget che ci davano emittenti italiane di partenza, quindi non guadagnando, l’investimento è stato superiore. Poi abbiamo deciso di andare a cercare il nostro guadagno in giro per il mondo, per vedere se sarebbero state interessanti per il mercato internazionale. Da una parte è stato un rischio imprenditoriale molto più elevato, dall’altra ci ha aiutato a fare qualcosa che fosse, per vocazione e necessità, internazionale, appunto». Risultato: «Sono state comprate in tutto il mondo, DOC in Francia è stata la serie più vista della scorsa stagione, con il 20% di share. L’abbiamo venduta in America, ma non il format, la serie… e non esiste che una serie italiana venga venduta in America. Questo vuol dire che noi italiani ce la possiamo fare: quello che è stato raggiunto nel nostro Paese negli anni ’60-’70 con il grande cinema e la grande musica si può ripetere. Certo, niente si improvvisa: serve quella factory di cui parlavamo, in cui ci sono un gruppo di lavoro straordinario e un professionismo assoluto».
Da fuori il cosiddetto “cubo” degli studi è impressionante: «1500 metri quadrati green e super tecnologici, costruiti interamente e appositamente per DOC», continua Bernabei. «Era necessario perché è una serie che vive molto di interni, ma non vuol dire che sia meno costosa, anzi. Servono tantissime comparse per far vivere l’ospedale. E per far muovere una macchina del genere, dietro preparazione e gesti ci sono i medici veri, in particolare il professore Raffaele Landolfi, primario di Medicina interna del Policlinico Gemelli di Roma, e Pierdante Piccioni, alla cui storia vera è ispirato DOC».
Segue applicazione del braccialettino all inclusive da villaggio turistico e via, Rolling Stone entra dentro al Policlinico Ambrosiano. Prima o poi doveva succedere. Attraversiamo il tempio del nostro medical drama: prima la hall, poi la leggendaria sala medici, dove i nostri “dottor House” fanno le diagnosi e DOC in persona, Luca Argentero, ci dà il benvenuto con un sorriso dei suoi. Insomma, buongiornissimo. L’impressione è di un luogo molto familiare, ma anche più accogliente di come ci pareva da casa: «L’ospedale è stato rinverdito, ci sono dei pannelli verdi, il giardino d’inverno è molto più rigoglioso, siamo passati a toni più caldi nel complesso, in generale abbiamo dato un’impressione green anche del teatro per dare idea di una cosa più eco-compatibile. Spero sempre, se proprio devo, di finire in un ospedale del genere», continua il nostro storyeditor-guida.
Pronti per girare. Per i primi ciak di quella scena cortissima e spoilerosissima stiamo dentro a una delle stanze dei pazienti, con il letto, le mascherine per l’ossigeno e tutto il pacchetto, che mette ansia tanto è reale. Poi ci avvicineremo all’azione. E tra una ripresa e l’altra chiacchieriamo con il cast, a partire dalle cose importanti: «Siamo una banda di pirati, una ciurma capitanata dal buon Luca», spiega Malanchino. «C’è un bel mix tra la professionalità e il divertimento totale, ti rendi conto che qui hai proprio la possibilità di giocare in un modo assolutamente libero, i registi (per questa stagione Beniamino Catena e Giacomo Martelli, nda) si mettono al servizio della sceneggiatura insieme a noi e questo ci dà la possibilità di spaziare e di stare bene insieme. Poi, vabbè, una delle sfide più belle è cercare di stare seri mentre c’è qualcuno che cerca di farti impazzire dal ridere, perché sono sempre di fianco all’Innominato». Torniamo al LOL di DOC (che pare un rebus). E sì, ovviamente l’Innominato è Pierpaolo Spollon: «In questo momento sta cantando Rosso relativo di Tiziano Ferro come se fosse Pavarotti, dico solo questo», conclude Alberto.
Spollon prova a fare il serio: «Siamo cresciuti rispetto al passato, forse c’è un pochino meno spensieratezza, un po’ più serietà nel lavoro». Ma poi, inevitabilmente, conferma la sua fama con il racconto minuto per minuto di come sia stato impossibile portare a termine alcune sequenze, una su tutte: «Durante la prima stagione, Luca ed io non abbiamo mai avuto momenti di difficoltà nel girare. Quest’anno sì, abbiamo riso tantissimo, ma proprio da stoppare le riprese, un po’ me ne vergogno, ma sono anche ricordi carissimi». Ecco la scena incriminata: «Luca si interfaccia con un nuovo personaggio femminile, chiacchierano e lei se ne va. Io dovevo commentare. Sul copione c’era scritto: “Ah”. Io ovviamente ci ho ricamato sopra, e non solo verbalmente ma anche con dei versi. Eravamo tutti e due di spalle, io facevo questo versetto, poi mi giravo guardando Luca con la mia migliore faccia da idiota, sentendo già lui che non riusciva a trattenersi. Puntualmente c’era Luca con le lacrime, non siamo riusciti a girare il mio primo piano e il suo attaccati, abbiamo dovuto farlo separati. E non ci siamo riusciti lo stesso, nel senso che nel montato un po’ si vede che, almeno io, rido».
non @pierspollon che da la colpa a @Lucaargentero perché non riesce a dire i suoi stessi minuti spollon #DocNelleTueMani2 pic.twitter.com/lPnuRE3X2L
— ᴀᴜʀᴏ ☆ (@anmustdmt) January 9, 2022
Altro giro, altro aneddoto in pieno clima del set, questa volta di Beatrice Grannò, alias Carolina Fanti, la figlia di DOC: «È una sequenza molto drammatica, Luca ed io la rifacciamo tante volte. A un certo punto io scoppio a ridere, e lui di conseguenza. Ma quando la risata è esagerata, è molto simile a un pianto. Luca comincia ad abbracciarmi per coprirmi la faccia e a dirmi: “Coraggio, coraggio”. Il regista dà lo stop e ci dice: “Ragazzi, bellissima, mi sono commosso. Forse piangevate un po’ troppo”».
Pausa, arrivano la pizza bianca e i cornetti, con aneddoto a tema by Matilde: «Quest’anno abbiamo deciso di approfittare di qualunque compleanno per fare festa, un sacco di momenti con banchetti improvvisati. Vedo sempre noi attori, che dobbiamo perennemente stare attenti a non macchiarci di panna, zucchero a velo, crema. Stiamo lì con queste espressioni strane, mentre cerchiamo di calarci il bignè in bocca senza sporcarci. Poi, se si sboccia una bottiglia per festeggiare, noi dobbiamo bere poco perché la giornata è lunga», ride. E conferma: «Sul set i discoli siamo Pierpaolo ed io, nel senso che siamo i più giocherelloni». Spollon apre la porta: «Matilde faccia di ****». Lei sorride, non si scompone, c’è abituata (e probabilmente dopo si vendicherà): «Ecco vedi, per esempio… Questo lavoro va preso anche con un po’ di leggerezza, secondo me». E continua: «Chiaramente Luca ha un ruolo, è quello con più esperienza e ha una calma, una pacatezza che danno molta serenità, quando c’è da concentrarsi e da mettere a proprio agio le persone è roba sua. Anche Sara Lazzaro è un’altra che mi dà un sacco di tranquillità, e poi tutti gli altri partecipano al cazzeggio insieme a noi, ma è sempre un cazzeggio molto rispettoso del lavoro».
Lo dice con altre parole Gianmarco Saurino, aka il dottor Bollore (copyright Rolling Stone): «Quest’anno il set è riuscito ad essere fresco e vitale nonostante una stagione già fatta e nonostante il successo già avuto, che ci ha caricato sì di responsabilità ma ci ha dato anche la voglia e anche un po’ l’audacia di voler e poter fare ancora meglio». Tra i ricordi più cari c’è quello del rientro negli studi: «Ho cominciato un po’ in ritardo rispetto agli altri e sentivo anche un po’ di essere fuori luogo, non so perché, ma prima del primo ciak, appena indossato il camice, Luca ‘Doc’ Argentero chiede a tutti di dare il benvenuto a Lorenzo Lazzarini con un applauso. Sembrava una di quelle cose che vedi nei backstage di serie come La casa di carta e pensi: che sogno sarebbe? E invece dentro quel sogno ci stavo io ed era reale».
I ciak vanno avanti, è ora di fare un giro nel “cubo” in cui ormai ci siamo ambientati benissimo: il reparto di Medicina generale in cui si muovono i nostri è tutto su questo piano, al piano di sopra c’è l’ufficio del primario e quello del direttore sanitario. «Di fianco c’è un altro teatro, dove è stata girata Blanca», spiega pazientemente lo storyeditor. Saliamo le scale verso gli uffici di produzione e regia, un po’ il cervello del set: «Qua si prendono tutte le decisioni, si fanno le riunioni, oggi sono tutti giù perché è una giornata un po’ folle. C’è anche una seconda unità che sta girando un teaser in una location fuori, le forze sono tutte dispiegate sul campo».
Facciamo una capatina nel santuario, ovvero i camerini degli attori: prima di arrivare nel corridoio c’è un ingresso in cui sono esposti i ritratti ufficiali di ognuno dei nostri eroi. Su qualcuno ci sono attaccati bigliettini con dei commenti, che non riporteremo (ma LOL, again). Poi è il momento della sala trucco e parrucco dove ci accoglie Elisabetta Emidi, o meglio Betty, per spiegarci anche come si crea la cicatrice di DOC: «Alle 5:30 arrivano gli attori per prepararsi, qui è il posto dove litigano, si lamentano, chiedono perché le battute sono quelle, parlano male di noi tutte le mattine», ride la nostra guida Edoardo. Ora tocca al reparto costumi: «Il guardaroba è più per i personaggi secondari perché i principali sono sempre in camice, sono in borghese quando giriamo fuori, quindi solo il 10% delle volte». E qui qualcuno farà finalmente un collegamento con la medical-comedy più amata degli anni 2000: Scrubs. Quanti camici usate? «Ogni attore ne ha tre nel suo armadio, quindi almeno una cinquantina per gli attori, e poi quelli delle figurazioni… Gli scrub (che sono i completi pantalone e casacca che stanno sotto, FYI, nda) sono almeno un centinaio sicuramente, i camici sopra invece si sporcano meno».
Ok, è ora di pranzo sotto al tendone in cui la crew si mescola con il cast, mente il regista Giacomo Martelli serve le lasagne per dare una mano. E anche quella di parlare finalmente di questa seconda stagione, che Saurino introduce così: «È tutto quello che non vi aspetterete mai». Come se l’attesa in tutto lo Stivale non fosse abbastanza. Sì, va bene il Natale, ma fatelo passare veloce che il 13 gennaio riparte DOC su Rai 1. Sappiamo già, fuori di spoiler, che la nuova stagione affronterà anche l’argomento pandemia. Approfondisce serissimamente Spollon: «La mossa intelligente degli sceneggiatori è stata quella di attraversare il Covid, perché è imprescindibile, non in stile Grey’s Anatomy che mi mette pure un po’ angoscia, ma con una sfumatura più importante del problema. Cioè affrontare ciò che lascia nelle persone: non solo tutto quello che adesso stiamo ancora soffrendo a livello di malattia fisica, ma anche e soprattutto la questione mentale e psicologica. Anche se non lo si è preso, le persone che si sono perse, il lavoro esagerato dei medici, la crisi sanitaria, la lontananza obbligata di cari e amici… E tutto questo scombussola anche il mio personaggio: Riccardo si troverà un po’ a perdersi, speriamo che si ritrovi».
Mentre il DOC di Luca Argentero, dopo il colpo di pistola che gli ha cancellato dodici anni di memoria, cerca di mantenere l’essenza del suo reparto nonostante quello che si trova intorno e di recuperare il suo ruolo di primario, «Giulia Giordano», spiega Matilde, «continuerà a portarsi dietro questa lotta continua con il fatto che l’uomo di cui era innamorata e di cui in parte resterà per sempre innamorata non si ricorda del loro amore, ma poi all’inizio della nuova stagione decide comunque di andare avanti e di iniziare un nuovo percorso. La vita però la sottoporrà di nuovo a inciampi e dolori, ma lei è un personaggio molto forte. C’è una bella evoluzione, e per un attore è importantissimo».
Dopo la prima stagione in cui stava attraversando una tempesta a livello personale, Simona Tabasco mi racconta di essersi «buttata nella seconda con ancora più gioia ed entusiasmo, ma anche perché sono cambiate un sacco di cose nella mia vita e non vedevo l’ora di rivedere i miei colleghi». Della sua Elisa Russo, dice: «Una volta mi è capitata una signora che mi ha detto: “Ah, ma non sei così stronza”, perché diciamo che il mio personaggio ha delle sfumature abbastanza rigide», ride. «Nei nuovi episodi sarà combattuta, per tutta la stagione rimarrà attaccata a Gabriel Kidane (il personaggio di Malanchino, nda) sotto tutti i punti di vista, ma si darà la possibilità di vivere nuove esperienze».
Insomma, in generale si andrà molto più a fondo nella vita di tutti i co-protagonisti: «C’era il panico che Gabriel partisse, c’erano i gruppi che mi chiedevano se era vero, mi scrivevano: “Ti prego, non partire”», racconta Malanchino. «Sicuramente questo appuntamento che ha con la sua terra d’origine, l’Etiopia, ritorna sempre come eco all’interno di tutta la struttura. Poi l’ombra del Covid inciderà molto sulla vita di Gabriel come in quella di tutti gli altri».
Nella seconda stagione avrà molto più spazio anche la Carolina di Grannò: «Nella prima stagione ero a servizio, nella seconda invece mi sono ritrovata catapultata dentro a 360 gradi. Non me lo aspettavo e sono molto contenta: avrà un arco molto più ampio, verranno fuori di più le dinamiche familiari e ci saranno tante sorprese, spero che la ameranno».
Tocca alla mamma televisiva di Beatrice, Sara Lazzaro alias Agnese Tiberi: «DOC era sulla bocca di tutti, una delle cose più belle sono stati tutti gli operatori sanitari che ci hanno scritto per ringraziarci. Ed era anche una nostra preoccupazione, visto che era un momento difficilissimo per loro: l’idea di mal rappresentarli sarebbe stata una mancanza di rispetto totale. E poi quando a un certo punto andando in farmacia la gente mi riconosceva, anche se ero bardatissima come tutti, dagli occhi e dalla voce… neanche mia madre (ride). E anche quanta gente volesse parlare. un sacco di gente mi ha raccontato la sua vita. Quello è stato incredibile».
Di Agnese spiega: «C’era già in corso un viaggio di perdono, di risoluzione di molti punti con nodi ancora irrisolti. Quei nodi evolveranno, si aggiungeranno altre difficoltà, maiunagioia Agnese insomma, ci saranno tanti livelli, dei colpi di scena, però questa donna cambierà proprio un po’ forma». Il suo è un personaggio molto serio: «E invece dentro di me, delle volte, devo trattenere un circo. Ogni due secondi faccio la versione musical o quella Fleabag dei momenti più strani, c’è questo off che spesso anche il regista apprezza, sfogo un’ironia che non posso esporre».
Il migliore amico di Doc, Enrico Sandri, il personaggio di Giovanni Scifoni, «è una meteora che arriva, ma che spesso sbroglia delle situazioni, è bello perché è sempre molto incisivo e quando c’è succede sempre qualcosa. Eravamo convinti le persone si sarebbero rotte le scatole a vedere medici dovunque, pure nelle serie, era assurda come situazione. E invece. Abbiamo molto stress addosso perché c’è molta aspettativa su questa seconda stagione, tutti a chiedere: “Quand’è che va in onda, quando’è che va in onda?”. Per fortuna poi sul set c’è un’allegrissima cialtroneria traboccante».
E veniamo alle new entry. C’è un nuovo personaggio che, proprio come Enrico, non fa parte del reparto di Medicina interna, ma collabora con i nostri medici: è la psicologa dell’ospedale, interpreta da Giusy Buscemi. In reparto invece ci sono due nuovi medici strutturati: la prima è Cecilia Tedeschi, alias Alice Arcuri. «Il mio personaggio entra veramente a gamba tesa, è tostissima, è una virologa, una donna molto complessa, che ha molta difficoltà a relazionarsi con gli altri. In ambito medico è veramente il polo opposto di DOC, e perciò ci sono degli scontri sia a livello professionale che umano su due visioni diverse della medicina, però questo porterà entrambi a un cambio di prospettive». Alice non aveva mai visto la serie prima di entrare nel cast: «Quando ho fatto i provini e sono stata presa ho deciso di vederne solo i primi 15 minuti, perché Cecilia avrà uno sviluppo abbastanza interessante e volevo mantenere le distanze come lei, non avere pregiudizi anche sul lavoro sui colleghi, sulla trama e ho pensato: “Viviamola così come un’outsider che entra in un gruppo già formato”. E sono stata fortunatissima perché sono dei grandissimi curiosi che sono venuti da me a scoprirmi con molta calma, lentezza. Super professionisti, senza pregiudizi».
È entrato «in punta di piedi, in un gruppo che avevo giustamente idealizzato saldissimo e potentissimo e quindi con un po’ di timore» anche Marco Rossetti, che con il suo Damiano Cesconi arriva a insidiare il ruolo di più amato dalle fan tra i dottorini: «Infettivologo innamorato del suo lavoro, viene dallo Spallanzani di Roma, ma, dopo tutto il periodo Covid e il lockdown, è disilluso da tutto quello che è la medicina in termini pubblici, e quindi arriva a Milano con questo atteggiamento. Ricordo che a un certo punto il Governo disse: “Per lo sforzo dei medici questo mese aggiungeremo in busta paga 80 euro”. E pensi: “Ma che cacchio stanno a fa’?”. È anche questo sentire, quel momento di denuncia che mi è piaciuto molto del mio personaggio». Dei colleghi dice: «Si sono rivelati una famiglia che mi ha aperto la porta in maniera molto calorosa, è stato facilissimo. La giornata di oggi è emblematica: scena impegnativissima, però poi stop e via al cazzeggio. E quella risatina nervosa in cui si deve mantenere la concentrazione ma non ci si riesce è tutto indice di quanto poi ci sia gruppo e unione. È il momento più bello».
Un paio di scene in sala medici, poi si spengono le luci, dal Policlinico Ambrosiano è tutto. Almeno per oggi. E sì, al LOL di DOC pure oggi non ha vinto nessuno.