“Siamo rimasti a Phuket sei mesi”, mi dice Michelle Monaghan all’inizio della nostra conversazione a proposito di The White Lotus 3. Per chi non avesse dimestichezza, Phuket è semplicemente un paradiso terrestre. È in Thailandia, è un’isola ed è uno di quei posti, parafrasando una grande rubrica del giornale satirico Cuore, per cui vale la pena vivere. Tutto questo per dire che Mike White è un genio. Non lo è solo perché è un grande sceneggiatore (School of Rock basterebbe per meritarsi lo status), ma anche perché avere l’idea di creare una serie che mette alla berlina le cattive abitudini dell’umanità (e in particolare dei suoi connazionali americani, ambientata soltanto in resort e alberghi di lusso, dove naturalmente si è costretti a passare un lungo periodo di tempo per poter realizzare il prodotto, è veramente l’uovo di Colombo.
Chapeau, direbbe Antonio Cassano ma, a parte questo, The White Lotus è davvero uno specchio dei tempi. Un gruppo di persone, microcosmi che non si sono mai visti prima costretti a interagire in un ambiente di lusso in cui montano progressivamente rancori, invidie, lotta di classe, mentre si dipanano intrighi e misteri. La prima stagione era ambientata alle Hawaii, ma visto il successo, e anche l’incredibile operazione di marketing e la ricaduta sul territorio, si è pensato di osare per la seconda, trasferendo l’azione con un cast completamente rinnovato (la serie è antologica, ogni stagione è autoconclusiva) in quel di Taormina. Un altro successo clamoroso, complice la visione folkloristica dell’Italia che hanno gli statunitensi (e di cui White si fa anche abbondantemente beffe), le bellezze della Sicilia e lo sfarzo del San Domenico Palace, fiore all’occhiello della catena Four Seasons, produttore associato non troppo occulto della serie, che in questa terza stagione ha messo a disposizione lo sfarzoso Resort Koh Samui, che si fonde ai bungalow – non esattamente quelli del campeggio in pineta all’Argentario – del Anantara Mai Khao Phuket Villas. Questo oltretutto è un ottimo periodo per fare una vacanzina in quell’area, la stagione delle piogge ricomincia a giugno e se volete passare i ponti di fine aprile a crogiolarvi in spiaggia o bordo piscina, in due ve la cavate con 7.400 euro per due settimane.
È qui che si ritrova un’assortita compagnia, formata prima di tutto dalla famiglia Ratliff, il cui capofamiglia (Jason Isaacs) è un importante uomo d’affari che però non ha tempo per rilassarsi, dato che qualcosa di molto serio sta succedendo all’interno della sua compagnia, ma anche a sua moglie (Parker Posey) e i suoi figli (Sarah Catherine Hook e i figli d’arte Sam Nivola e Patrick Schwarzenegger). C’è poi l’assai burbero Rick Hatchett (il sempre grandioso Walton Goggins), apparentemente costretto dalla fidanzata giovanissima Chelsea (Aimee Lou Wood) a quella che dovrebbe essere una vacanza rigenerante, anche se Rick, nome che in fondo nasconde sempre dei misteri (come il suo passato d’altronde), sembra avere delle ragioni molto personali per avere intrapreso questo viaggio. Poi abbiamo Belinda Lindsey, unico personaggio che abbiamo già visto nelle precedenti stagioni, la prima per l’esattezza, dato che è la direttrice della spa del White Lotus di Honolulu, in viaggio premio e di aggiornamento nella struttura gemella. Infine, tre amiche che si conoscono dai tempi del liceo, Kate (Leslie Bibb), Laurie (Carrie Coon) e la stella del gruppo, Jaclyn Lemon, attrice di successo che ha deciso di prendersi una pausa insieme alle sue BBF. Ma saranno davvero migliori amiche?
Per scoprirlo, basta non perdersi neanche un minuto di The White Lotus 3, in onda su Sky, e naturalmente in streaming su NOW, a partire dal 17 febbraio. Non svelo niente, se non che questa terza stagione parte col botto sin dalla prima scena pre titoli e si evolve con atmosfere che abbracciano diversi generi, dalla commedia al dramma al giallo, fino al thriller a tutto tondo. Ma Mike White, che non asciuga gli scogli col phon, sa come gestire la tensione, rendere sempre alta la soglia d’attenzione e soprattutto mettere lo spettatore in una situazione emotiva scomoda. Ci sono molte suggestioni prese dal cinema ma soprattutto dalla serialità del passato. Un pizzico – e anche qualcosa di più – di Fantasilandia, Sex and the City in acido, Agatha Christie e, sì, una spolverata di Lost che rende il tutto più inquietante. Raffinatezza, direbbe Lele Adani, così come di gran classe è una delle protagoniste di queste otto puntate, tutte scritte e dirette da Mike White (se la doveva guadagnare la vacanza di sei mesi in Thailandia il ragazzo). Michelle Monaghan, che ricordiamo al fianco di Tom Cruise in tre avventure dell’agente Ethan Hunt nel franchise di Mission: Impossible, ma anche in alcuni gioielli sottovalutati come Kiss Kiss Bang Bang, al fianco di Robert Downey Jr. e Val Kilmer (scritto e diretto da Sua Maestà Shane Black), Source Code di Duncan Jones (il figlio di David Bowie) e soprattutto il bellissimo film d’esordio alla regia di Ben Affleck, Gone Baby Gone. Michelle è a Londra dove sta girando il seguito di The Family Plan al fianco di Mark Wahlberg. E noi abbiamo pensato bene di fare due chiacchiere con lei a proposito di The White Lotus 3.
Michelle, immagino tu conoscessi benissimo The White Lotus. Qual è stata la tua reazione quando ti hanno proposto la parte?
Certo, ho adorato le prime due stagioni, quando mi hanno proposto di fare l’audizione ero molto emozionata, ma ero nel mezzo di un altro progetto, quindi una volta registrato il video provino mi sono ributtata sul set e non ci ho pensato più di tanto. Dopo appena dieci giorni ho scoperto di avere avuto la parte.
Diciamolo, lavorare in un posto fantastico come Phuket ha aiutato un po’ tutti a fare un ottimo lavoro.
Dobbiamo ringraziare Mike per aver ambientato questa terza stagione in un posto così bello. È stata un’esperienza molto profonda, non ho mai fatto niente in modo così creativo e coinvolgente. Ho imparato a conoscere la cultura thailandese in contrasto al modo in cui Mike giustappone quella americana, tanto luccicante quanto grossolana rispetto alla spiritualità che pervade tutto il sud-est asiatico. È stato inquietante e bellissimo, un radicale cambiamento rispetto alle prime due stagioni, qui subentra una forte componente religiosa, il rapporto con la vita e la morte e il loro significato, di cui molti dei personaggi diventano consapevoli nel corso della serie.
Qual è il segreto del successo di The White Lotus, secondo te?
Mike è un maestro del tono, ha una scrittura molto sofisticata. È davvero davvero in grado di attingere allo zeitgeist in ciò che consideriamo normale. Ha un occhio attento al comportamento umano, al commento politico e a quello sociale. È incredibilmente rilevante. Ed è questo che attira la gente. Non ha paura di affrontare argomenti che sembrano un po’ tabù o che sono persino un po’ trasgressivi. È un regista molto audace. E gran parte dei suoi scritti approfondiscono l’intersezione di più generi. Lo show è satirico, cupo, malinconico e drammatico. E poter collaborare con una persona così, che tra l’altro è anche un attore – cosa davvero unica –, lo sceneggiatore e il regista, per trovare tutte quelle sfumature uniche che ha scritto e poterle scoprire insieme a lui in ciascuno dei personaggi, è davvero stimolante dal punto di vista creativo e profondamente soddisfacente.
Jaclyn è stata impegnativa da affrontare?
La mia reazione iniziale è stata: “Merda, è un’attrice”. Mi sembrava di essere a casa. Mi sentivo un po’ in difficoltà e ho pensato: “Ok, cosa posso portare al ruolo, che non sia una versione di me stessa?”. Come attori interpretiamo sempre una versione leggermente diversa di noi stessi. A quel punto è arrivato Mike. In The White Lotus tutto è più intenso, e lavorare con lui per trovare le sfumature in quello che voleva esplorare di Jaclyn, dalla sua natura pettegola al suo modo di flirtare fino al suo essere manipolatrice, mi ha indirizzato verso l’obiettivo.
The White Lotus è una serie anche molto politica e fa un’analisi attenta della società contemporanea. Visto quanto sta succedendo nel mondo, è un racconto che assume un valore ancora maggiore.
Hai ragione, è una serie che funziona come un tessuto connettivo a cui le persone rispondono e ci si confrontano, anche se si tratta di puro intrattenimento. Se così tante persone in tutto il mondo possono identificarcisi, allora Mike è sulla strada giusta.
Tre amiche, e sistematicamente due di loro parlano male di quella che non è presente.
Può succedere in alcune relazioni. La nostra parte nella serie è ispirata a un vero viaggio in cui Mike era il +1 in una reunion tra donne, durante la quale ha visto questo tipo di dinamiche. In scrittura le ha amplificate per approfondire il modo in cui le donne sono condizionate a confrontarsi tra loro per giudicarsi. Lo fa creando una sorta di realtà aumentata, più pettegola e succosa, uno spostamento delle dinamiche di potere che cresce man mano che la serie procede.
E come reagisce Jaclyn a questo processo?
Con il procedere del racconto, ognuna delle tre donne mostra il meglio di sé. Sono amiche d’infanzia, hanno condiviso tanto e poi le loro vite hanno preso strade diverse da adulte. Desideravano ritrovarsi per riavvicinarsi. E se da una parte l’amicizia rimane autentica, dall’altra ognuna di loro nasconde dei segreti. Progressivamente la facciata si scioglie. La dinamica è semplice: una vittima, una pacificatrice e un aggressore, e si scambian i ruolio a ogni episodio.
Se potessi scegliere dove si svolgerà la quarta stagione, dove sarebbe?
In Africa. Sarebbe uno scenario fantastico. Ma potrebbe anche essere la Scandinavia. E ancora non è stata esplorata l’Australia. Chi lo sa. Il mondo è l’ostrica di Mike White.