Voi non avete idea di cosa significhi contenere l’incontenibile Pierpaolo Spollon, che voleva spoilerare su Twitter il fatto di essere sulla digital cover di Rolling Stone due giorni prima. «Lasciatemi dare un piccolo indizio ai miei amici dell’uccellino blu, scrivo soltanto: “Pietra”». Roba da mettergli la camicia di forza di Hannibal Lecter per impedirgli di usare i pollici (e infatti l’abbiamo fatto). È successo più o meno lo stesso con il più grande spoiler dell’inizio della nuova stagione di DOC – Nelle tue mani: la morte del dottor Lorenzo Lazzarini, alias il BFF di Pierpaolo, Gianmarco Saurino. Dopo la messa in onda della puntata, Spollon ha pubblicato un video in cui si fustiga sulla sua tomba: «Ma quanti insulti mi sono preso per quel contenuto? Forse ho sbagliato i tempi, perché la gente era ancora scioccata, però non potevo resistere. Non riuscivo più ad aspettare, era un anno che ce l’avevo sul telefono, pensa che volevo pubblicarlo il giorno in cui l’ho girato!». Siamo vicini alla produzione, chiaramente la pazienza non è la virtù di Spollon.
Tutta italia ora. #DocNelleTueMani2 pic.twitter.com/Relw2Vzpye
— Pierpaolo Spollon (@pierspollon) January 13, 2022
Tornando a questa cover, è la prima della sua carriera: «A parte quelle cinque o sei fake (di cui sono orgoglioso), photoshoppate da chi mi segue e sa che da sempre Rolling Stone è un mio grandissimo desiderio. Ma ho già fatto spazio per metterci quella VERA! Ho preparato un altarino in garage, che è l’unico posto dove posso fare tutto: tenere la musica altissima, suonare la chitarra senza che nessuno mi urli: “Ammazza che sega”. C’è anche un vecchio proiettore Super8 dove proietto dei porno storici anni ’70-’80 tedeschi, meravigliosi. E anche quegli horror poetici, dove ricostruivano le casette e mettevano una mantide religiosa che sembrava enorme e faceva la parte dell’alieno».
Sì, ci siamo presi noi questo onere: chi ha seguito la saga spolloniana, sa come è andata. Per tutti gli altri ecco un bigino: Spollon ha iniziato a condividere i nostri commenti divertiti e politically scorrect a quel fenomeno che è diventato DOC e poi, più o meno un anno fa, abbiamo fatto la prima intervista, dove già la menava con la cover supportato immancabilmente dai suoi follower, un vero e proprio esercito: «E da lì vi siete fottuti», ride. «Con Rolling è stato un po’ come quel feeling che si crea al bar. Io ho un vizio. Tipo stamattina, quando aspettavamo di scattare, sono entrato in un locale e, mentre le gente si faceva i cazzi suoi, ho sentito qualcosa che mi ha fatto partire il “minuto Spollon” e mi è uscita una battuta, ovviamente pseudo-sessuale, sui bignè. E questi signori si sono messi a ridere. Poi la barista mi ha riconosciuto: il mio lavoro da supereroe è finito, non posso più sguazzare nell’anonimato».
Spiegazione, sempre per profani, di come e dove nasca un “minuto Spollon”: «Mi sono domandato che cosa ho fatto per meritarmi questa cover, ma non ho ancora una risposta. O meglio, l’unica sensata che mi viene è questa: rispetto i miei colleghi che chiedono spesso: “Ma secondo voi posso scrivere o dire questo? Come reagiranno le persone?”. Ecco, io sono sicuramente diverso. A me non frega un cazzo, vado diretto. E in un periodo storico nel quale bisogna stare molto attenti, forse alla fine non sono neanche così politicamente scorretto, ma non ho vergogna di apparire più cretino di quello che sono, di ridere e di fare dell’autoironia. Me ne frego, non ho paura di essere etichettato perché mi piace, mi diverto e mi fa stare bene».
Ci arriveremo, Pierpaolo parla tanto da farti venire le vertigini. Intanto diamo noi una risposta: perché Spollon è sulla cover di Rolling? Oltre a quello spirito chiaramente pirata, basti a testimonianza il fatto che – escludendo gli addetti ai lavori, per cui DOC è un cult – anche molti dei cinefili più integerrimi, primo: si sono messi a guardare il medical drama dei record; e, secondo, dicono: “Ma Spollon è bravissimo”. Insomma: Pierpaolo Spollon non si discute.
«Iñárritu ha fatto trilogie di capolavori, io il “trittico dei pali”», come lo chiama lui. Dopo lo specializzando senza una gamba Riccardo Bonvegna di DOC, lo psichiatra infantile Emiliano (detto Emily) inondato di due di picche da Diana Del Bufalo in Che Dio ci aiuti e l’outsider Filip della Porta rossa, è arrivato finalmente un personaggio che l’ha portato fuori dalla sua comfort zone: Nanni in Blanca, apparentemente uno chef stropicciato e tatuato che si innamora dell’aspirante detective non vedente interpretata da Maria Chiara Giannetta, in realtà uno stalker che vuole fargliela pagare dopo essere stato incarcerato ingiustamente («A me, vedi Assange, non viene in mente nulla di più terribile») per omicidio. Insomma, uno psycho villain che ricorda alcuni dei più iconici del cinema. E tutto torna.
«Sul ragazzo della porta accanto ho sfruttato quelli che sono dei dati personali evidenti, a volte mi sono anche un po’ seduto sugli allori: le etichette hanno dei lati positivi perché ti rendono familiare alla gente, ma anche negativi perché ti incarti in quella definizione, e poi hai paura di non riuscire a fare altro. Avevo bisogno di nuovo carburante, di un ruolo che partisse in un modo abbastanza tradizionale per me e poi fregasse tutti. Ne sono felicissimo. Ovviamente ho dovuto fare delle scelte per accettare quella parte, scelte che probabilmente altri non avrebbero preso». E poi di solito vince la tipizzazione, soprattutto in Italia: «Sai che forse sono uno dei primi in Rai a cui affidano sempre ruoli “da buono” e poi improvvisamente uno “da cattivo”? Ti rendi conto di che razza di vittoria?! Cioè io sono allucinato, soprattutto che abbiano dato a me questa possibilità. Pensa se questo innescasse un meccanismo di casting against type: “Spollon ci ha sorpreso, diamo la possibilità anche – che ne so – a Saurino di interpretare il brutto sfigato”».
Non che sia stato facile diventare Nanni: «La sfida più grande per me era togliermi un po’ questi occhi grandi che guardano il mondo, che sembra una canzone di Modugno, e trovare invece uno sguardo che nascondesse qualcosa, forse non scopertamente cattivo ma sicuramente misterioso». Di più, non c’era spazio per il Pierpaolo cazzaro: «Avete visto un “minuto Spollon” in Blanca? Io sono abituato all’interazione libera, a uscire anche dalle battute ogni tanto, mi viene spontaneo. Forse qui mi è stata concessa UNA battuta: “Che figura di merda”, che ormai io cerco di inserire in tutte le serie. Mi sono dovuto limitare: è stato bello, stiamo raccogliendo dei frutti, però mi sono davvero, ma davvero castrato», ridiamo.
Pure per il suo twist dark ha immancabilmente trovato una declinazione degna del suo mood su Twitter, #SpollonCombinaguai: «Quello è l’unico hashtag che può storpiare il mio cognome – si pronuncia con la seconda ó chiusa, a culo di gallina – con #SpòllonCombinaguai, suona meglio».
Sempre pensando al Nanni della svolta, Spollon cita un verso di Loredana Bertè: “Dedicato ai cattivi / che poi così cattivi non sono mai”. «Risentendola ho pensato subito a Joker e a tutti i personaggi simili. È l’operazione che è stata fatta con la rilettura di Joaquin Phoenix: ripercorrere la storia di come il personaggio è arrivato a essere quello che è. Mi interessava quello: non ho potuto mostrare tutto, ma la backstory di Nanni era fighissima, potrebbe diventare davvero uno spin-off, mi piacerebbe un sacco poterla raccontare, non lo faccio perché spero che possa servire in futuro».
Nel frattempo abbiamo dato a Spollon pane per i suoi denti da cinefilo: «Sì, ti prego, scrivilo, così mia madre è contenta». Ma visto che lo volevi dire a mezzo mondo, a lei avevi anticipato della cover? «No no, un po’ perché sono quelle cose un po’ di scaramanzia, che è da cretini, ma chi non è scaramantico chiama la jella, l’ha detto De Filippo. Finché non vedo questa copertina può succede di tutto. Poi arriverò trionfante da mia madre, gliela sbatterò sulla scrivania e le dirò: “Ti prego, guarda solo le foto e non leggere”», ride. «Tra me e lei è un continuo lavoro di accettazione delle rispettive parti, ma ormai non mi formalizzo più sulle cose neanche con lei, sono sempre più senza filtri. Se faccio qualcosa che può offendere qualcuno mi faccio delle remore, ma se va invece a inficiare l’idea che qualcuno ha di me, tipo quella di mia madre, non me ne fotte più una mazza. Le soddisfazioni che le do sono altre. E comunque è una cazzo di cover di Rolling Stone». Si ferma: «Mi raccomando: scrivi “cazzo” tutte le volte che l’ho detto».
La mamma di Pierpaolo è una civile ma lavora nell’esercito, il papà, ora in pensione, faceva il commissario. «Lavoravano molto, alle elementari gradualmente mi hanno dato le chiavi di casa. Tornavo da scuola, che stava a 500 metri, e dovevo aspettarli: mia madre non voleva che guardassi la tv, la accendevo e vedevo film finché non c’erano, poi spargevo i Lego e dicevo: “Ho giocato fino a ora, fatemi guardare un film”. E compravo vhs a manetta». Il colpo di fulmine è stato con L’ultimo dei Mohicani: «Ho pianto a dirotto sul divano. E mia madre, che è molto empatica, era felicemente sorpresa, ti rendi conto che hai un figlio che riconosce l’emozione, che non è insensibile a quello che vede. E questa è una delle mie caratteristiche principali: sono molto attento a quello che vedo, dal punto di vista umano e artistico. Poi se hai il battesimo di fuoco con un film di Michael Mann starring Daniel Day-Lewis, il più grande attore vivente…».
Pierpaolo è la star delle serie Rai infatti (“serie” e non più “fiction”, con tutto il discorso di innovazione e internazionalità che si portano dietro), ma pure un super appassionato di cinema che guarda MUBI e nel concept della nostra cover story ci ha pure messo del suo: il predicatore psicopatico di Robert Mitchum in La morte corre sul fiume, che non è proprio una reference da tutti, pop nel senso più alto: «Figurati se non provavo a metterci becco! E poi stiamo parlando di un genio, Charles Laughton, che da regista ci ha regalato solo quel film. Per me è un capolavoro, la mia formazione fondamentalmente è quella».
Woody Allen dixit: “La differenza tra una persona intelligente e un imbecille è che la persona intelligente può fare l’imbecille, l’imbecille no”. Spollon lo ripete spesso. «Ci sono degli artisti della madonna che sono dei coglioni incredibili, quindi c’è speranza per tutti. Io amo prendermi in giro, fare la parte del cretino, ma – come dice qualcuno – sono un ragazzo “studiato”, è normale che abbia una sensibilità nei confronti di un certo tipo di cinema che non mi fa dormire la notte. Mi guardavo due film al giorno spesso a notte fonda, perché studiavo al Centro Sperimentale, tornavo a casa, mi cambiavo, andavo a fare il cameriere, tornavo di nuovo e mi sparavo uno/due titoli. Ho avuto la fortuna di accedere al bacino del Centro che è infinito, con i suggerimenti delle persone giuste. E quando mi chiedono: “Ma come fai a conoscere tutti questi?”. Niente, parto da un film di un regista, mi piace e mi butto su tutti gli altri, non è che faccia dei corsi universitari, sono solo molto curioso».
Sul set di DOC l’hanno definito nell’ordine (e affettuosamente): disturbatore, discolo, cazzone infernale, persino l’Innominato. Qualcuno chiedeva pure: “Dov’è il tasto per spegnere Spollon?”. C’ero (qui il racconto) e confermo. Una volta di più dopo il nostro shooting: Pierpaolo è arrivato carico a pallettoni con un cappellino alla Peaky Blinders e una macchina vintage per scattare delle Polaroid-ricordo con la crew. Poco gasato. «Adesso ho un po’ di ansia da prestazione, perché c’è quel momento pericoloso che è quello dell’aspettativa, anche artisticamente parlando, di chi ti segue. Rischi di riciclarti, io invece vorrei sempre delle novità. Sì, mi faccio un po’ di seghe mentali».
Il resto è stories (nel senso che abbiamo immortalato i momenti, andateveli a vedere su Instagram): gli dai in mano un bicchiere di latte per le foto stile Arancia meccanica e parte subito la gag della Clerici (se vi state ancora chiedendo quale, Spollon ne sarebbe deluso). Lo vestiamo – appunto – à la Mitchum e via, è subito Yosemite Sam dei Looney Tunes. «Ma che ti devo dire, fa parte di me… Però abbiamo sorriso, si crea questa complicità… Sono fermamente convinto che si lavori meglio quando ci si sblocca un po’, ed è una cosa sottovalutata. So che sul set a a qualcuno può dare fastidio ogni tanto, perché c’è chi ha bisogno di concentrarsi più di altri. Io in questo invece sono un discepolo di Neri Marcorè. Ho lavorato con lui al film Leoni, ho visto che assecondava la sua indole e ho pensato: “Ah, ma allora si può fare anche così”. È tutta colpa sua».
Dal cazzeggio sul set all’incredibile capacità di Spollon di diventare meme: «(ride) Ma hai visto quello sul Covid? Forse è una delle cose che mi ha fatto ammazzare di più».
Hahahah https://t.co/nlOuYJFYtv
— Pierpaolo Spollon (@pierspollon) January 13, 2022
Sono sul set della porta rossa, ho letto perché non resistevo, ho visto questa, ho riso, mi hanno sgridato. Fine. https://t.co/voMRxUylRt
— Pierpaolo Spollon (@pierspollon) December 2, 2021
Pure Nanni intento ad impastare la farina in Blanca aveva invaso Twitter in ogni situazione possibile, su tutte la modalità pole dance: «Che goduria! Però vedi, può succedere solo se riesci a entrare in confidenza con la gente, è questa la parte più incredibile. Saurino mi ha detto una cosa bellissima, in realtà non si ricordava di avermela già detta l’anno scorso, però io ho fatto finta di niente e gliel’ho lasciata ripetere», ride ancora. «Senza fare sviolinate o paragoni, perché sarebbero assurdi, ma il concetto era: “Se leggi le sceneggiature e vedi il personaggio di Riccardo, tu fai la differenza, un po’ come gli attori americani, che non portano solo quello che c’è scritto ma fanno loro il personaggio, come si dice in gergo”».
“Sì, però gli attori americani sono serissimi”, intervengo io: «Ecco, togliendo questo piccolo dettaglio… Quando penso a un personaggi, sono uno di quelli che non solo si concentrano sul tono, ma che riflettono sulla storia, su un sacco di cose. Se quello vuol dire Metodo americano, allora sì: mi piace. È una differenza che si nota: c’è l’attore che fa il compitino e quello che si prende il personaggio e gli fa fare un giro. M piace l’idea di avere accompagnato Riccardo da qualche parte».
A proposito di Saurino, apriamo il capitolo del distacco dei fantastici due sul set di DOC: «È stato traumatico. Ho pubblicato quelle Polaroid dove portavo il suo ritratto in tutte le foto di gruppo perché la mancanza era reale, l’ho sentita tantissimo. Nella prima stagione non avevamo moltissime scene insieme, però quei momenti erano delle boccate d’aria per tutti e due perché abbiamo una certa affinità, quella filosofia di alleggerire che ogni tanto aiuta. Con lui non corro il rischio di essere stoppato come da altri che ogni tanto mi dicono: “Ok, basta”. Che è una cosa che mi imbarazza molto, perché sono rispettoso del lavoro delle persone. Diciamo che chi fa lo scemo come me ha una grossa responsabilità, la gente se lo dimentica ma ci vogliono tantissime energie per essere sempre all’altezza di far ridere gli altri, è un lavoro sociale. E poi c’è il rischio di diventare dei pagliacci a se stessi».
Se su DOC esisteva una certezza incrollabile, era il maiunagioia di Riccardo Bonvegna. E invece la seconda stagione per lui è partita alla grande, sentimentalmente parlando: c’è la relazione con la dottoressina Alba che va a gonfie vele, e pure la figlia di Doc ha un debole per Riccardo. «Ho capito anche che il maiunagioia se lo aspettano, quindi voglio centellinarlo, piazzarlo nei momenti in cui non se lo aspettano più. Voglio dedicarmi alle sorprese, perché ne ho bisogno anche io. “Minuti Spollon” ce ne saranno, ma non tantissimi, stiamo esplorando la fase di Riccardo Bonvegna che resta minchione, ma è anche cresciuto. Paradossalmente il dramma che affronterà quest’anno è psicologicamente più pesante di quello di aver perso la gamba da ragazzino». Dopo Blanca la percezione si è modificata: «Adesso la gente dice: “Oh, ma non è che Spollon è cambiato in senso assoluto?”. In realtà è una cosa che avrei potuto fare anche prima, ma dovevo ricavarmi un nuovo spazio di attenzione. Ora sono davvero più forte e più pronto alla sfide».
Spollon può fare davvero tutto, todo Spollon. Ma cosa vuole fare adesso? «Mi piacerebbe raccontare un personaggio che cambia sesso». Lo avverto che sarebbe come buttarsi in un ginepraio e che poi dovrebbe fare attenzione a qualunque cosa twitti o dica: «Sono in una fase in cui ho bisogno di stimoli, e poi penso che con una parrucca sarei molto femminile. Peccato solo per il naso, ma potrei anche diventare una bella figa. Questo si può dire, sì?». Ecco, appunto.
È la parte viscerale di Spollon, «la vocina che mi sussurra: “Dillo, fallo”. Dovrò preparare un discorso stile Oscar o qualcosa del genere: c’è chi, come Sorrentino, ringrazia Maradona, chi la mamma. Io devo ringraziare la mia Twitter-gang perché è una cosa nata con loro, in maniera indiretta, mi spingono tantissimo dal punto di vista dello spirito cazzaro. Sono il contrario di mia madre, che ormai è rassegnata ma mi rimprovera ancora: “Basta, ma perché devi sembrare più idiota di quello che sei?!”. E invece Twitter mi esorta: “Ancoraaaaa, puoi fare di più, puoi essere più cretino di così!”. Lo devo fondamentalmente a loro».
E continua: «È come quando durante la set visit virtuale per la stampa negli studi di DOC, Luca (Argentero, nda), mi ha offerto dei soldi per fare una cazzata durante le riprese. Io avrei accettato, ma poi è arrivato il produttore e mi sono bloccato, è come se mi fosse improvvisamente comparsa mia madre sulla spalla destra. Il co-watching su Twitter fa questo: mi dà entusiasmo, benzina per il motore, mi stimola. A livello creativo di cavolate è una macchina, ci sono dei geni nascosti in giro. Se facessi davvero un programma alla Graham Norton Show come vorrei, qualcuno lo chiamerei come aiuto-autore».
Intanto, durante i giovedì sera di messa in onda di DOC, non va più in trend solo DOC, ma pure Spollon, tutto il pacchetto. «Mi hanno chiesto di prendere in mano il Twitter della serie, ma non me la sono sentita». Ma come? Fate partire subito una petizione. «Mi fa paura perché non ho molti filtri. Io voglio libertà infinita, e finché la responsabilità è solo su me stesso è un conto, a prendermi il carico per tutta la serie non ce la faccio. Con l’account di DOC avrei mai potuto pubblicare la gif del treno che entra in galleria appena si capisce che la Gioli è incinta del personaggio di Saurino?!».
Doc: “Guarda cosa hai fatto con lorenzo” noi: pic.twitter.com/eTmmEB1Pcv
— Pierpaolo Spollon (@pierspollon) January 13, 2022
In ogni caso, dato il risultato, una concessione ai fedelissimi del cinguettio spolloniano tocca farla: «Direi che possiamo autorizzare una richiesta ufficiale della gang. Visto che mi chiamano il king del Twitter, bene, il king è pronto a fare una concessione: temo, ma mi pare anche giusto. Una roba tipo lo ius primae noctis, ovviamente senza niente di sessuale, però una prima volta devo concederla. Non è proprio il periodo storico adatto, ma se potessi farei una di quelle reunion, tipo la gang-bang del Twitter di Spollon, che si ritrova al teatro tal dei tali per un incontro». L’anno scorso non esisteva una pagina “le Bimbe di Spollon”, gli faccio notare, ma è arrivata subito dopo l’intervista con RS: «Vediamo se la cover mi farà vincere anche quest’altra battaglia: Wikipedia non ci lascia fare la pagina, ci hanno provato, ma viene rifiutata. Potete fare qualcosa?».
Ci siamo, tra gli scatti di American Psycho e Shining siamo quasi alla fine: «Puoi scrivere che chiudiamo la conversazione con me che ti chiedo: “Ma mi fate avere anche una cover stampata?”». “Ma come, Spollon”, replico io, “una digital cover mica si stampa, è una richiesta da boomer”. «Vi prego: sono disposto a pagare».
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CREDIT
Foto: Kalia Genova
Fashion Editor: Francesca Piovano
Art Direction: LeftLoft
Assistente foto: Rebecca Carbon
Grooming: Renos Politis per Etoile Management
RS Producer: Maria Rosaria Cautilli
Thanks to: Clerici Boutique Hotel Milano & Rossana Morrone Press Office