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Tutta la musica di James Newton Howard

Il grande compositore, candidato nove volte all’Oscar, firma la colonna sonora della serie ‘Tutta la luce che non vediamo’, appena arrivata su Netflix. Una conversazione tra ispirazioni, metodo di lavoro e una certezza: «Le belle melodie dureranno per sempre»

Foto: Netflix

La frequenza specifica di un’onda radio potrebbe corrispondere perfettamente a ciò che determina il compiersi della nostra anima. La frequenza è una di quelle cose che ti influenzano continuamente, anche se non ci pensi affatto. Tutto ha la sua frequenza, tutto vibra con una certa frequenza. Anche se non lo percepisci consapevolmente, la frequenza lavora su di te incessantemente. A volte ti sintonizzi inconsciamente sulla frequenza di altre persone, luoghi o cose. Il simile attrae il simile.

Quando nel 2014 venne pubblicato Tutta la luce che non vediamo di Anthony Doerr, vincitore del Premio Pulitzer nel 2015, veniva raccontata una storia in cui, in un mondo funestato dalla Seconda guerra mondiale, l’unica àncora di salvezza veniva rappresentata dalle onde radio e dal modo in cui queste riuscivano a connettersi con chi la guerra la subiva verso chi la combatteva. Vivendo il tutto dal punto di vista della sua protagonista Maria-Laure, cieca sin dalla nascita, lo stile acutamente sensoriale di Doerr catturava l’estrema percettività che lei sviluppava per comprendere dettagliatamente gli avvenimenti che ne avrebbero determinato la vita, e il modo in cui si sarebbe connessa per sempre con il giovane soldato tedesco Werner Pfenning.

Il 2 novembre è arrivato su Netflix l’adattamento firmato dallo sceneggiatore Steven Knight (Peaky Blinders, Spencer) e diretto dal regista Shawn Levy (Una notte al museo, The Adam Project, Stranger Things). Abbiamo avuto il piacere di discutere della sua peculiare conformazione musicale e sonora con uno dei maggiori compositori del cinema contemporaneo, capace di trasporre musicalmente, meglio di qualunque altro nella sua quarantennale carriera, la bontà dell’animo umano: il nove volte candidato all’Oscar e vincitore di un Grammy Award per la colonna sonora del Cavaliere oscuro, James Newton Howard.

Tutta la luce che non vediamo è stata presentata in anteprima il 30 ottobre, in collaborazione con la Festa del Cinema di Roma e con il supporto di Diversity Lab, attraverso la proiezione del primo episodio fruibile da persone con disabilità sensoriali grazie all’audiodescrizione e ai sottotitoli.

Questa serie sembra vivere perennemente di una fortissima unione tra suono e linguaggio. Quando hai parlato per la prima volta con il regista Shawn Levy di questa trasposizione, in che modo volevate comunicare musicalmente il linguaggio del libro? La continua ricerca della verità e dell’umanità passa attraverso l’ascolto?
Posso dire di aver seguito questo progetto sin dal principio. Di solito non lo faccio direttamente, ma nel 2015 lessi il libro di Anthony Doerr e pensai che fosse veramente straordinario. Così, quando ho saputo che stavano realizzando la serie, inizai ad inviare alcune composizioni a Shawn Levy e lui mi rispose: “Sono davvero bellissime!”. Così iniziammo una vera corrispondenza basata unicamente sulla musica che pensavo si sarebbe sposata meglio con la narrazione, tanto che alla fine mi disse di sì, anche perché altrimenti avrei continuato a mandargli musica all’infinito (ride). Inizialmente, per la realizzazione della colonna sonora originale, avevamo pensato a una piccola ensemble composta unicamente da violini e fisarmoniche: volevamo cercare di replicare l’effetto della musica di strada francese. Ma nel tempo è diventato evidente che avevamo a che fare con un grande dramma epico con un sottofondo romantico, tanto da non poter essere supportato unicamente da una piccola formazione musicale. Naturalmente, come sempre accade, un compositore deve prestare attenzione sia ai dialoghi che agli effetti sonori, in quanto devono coesistere in una perfetta armonia. A volte vinco io, a volte vincono i sound effect; ma nel complesso, a mio avviso, lavoriamo insieme in maniera molto fluida.

In che modo convivono musicalmente le due anime sonore della serie, rappresentate da Marie-Laure e Werner? Ho notato che c’è un costante continuum sonoro, presente anche nella rispettiva memoria sonora rappresentata dal programma del professore di cui entrambi erano ascoltatori sin da bambini.
Quando inizio a lavorare a un film, di solito comincio a scrivere la musica ben prima che venga effettivamente girato, e in questo caso ho iniziato a comporre la colonna sonora quando la serie era ancora molto grezza. In questa fase di brainstorming accadono molte cose dal punto di vista musicale, iniziano a venir fuori nuove idee tematiche, e quando poi ho un’idea precisa su come narrare musicalmente la storia inizio a pensare a come poter unire la relazione sonora tra più personaggi. In questo caso, mi sono imbattuto in una coppia che ho sempre definito accidentale, per il mondo in cui le loro rispettive vite si congiungono, e attraverso la musica ho imparato a conoscerli mettendo in risalto quegli elementi per cui valeva la pena essere ricordati. Così, poco dopo aver scritto il tema principale di Tutta la luce che non vediamo, l’ho sviluppato anche per i due protagonisti principali, così come per il professore, ago della bilancia nella loro conoscenza originaria. Quello che cerco sempre di fare è scrivere un tema che in qualche modo rappresenti le caratteristiche interiori di quella persona.

Marie-Laure sembra scandire il suo ritmo vitale quasi fosse un carillon. Qual è stata la sfida nel rappresentare il mondo sonoro di una ragazza che può ricevere le informazioni del mondo solo attraverso la musicalità delle parole?
È una bella domanda. Quando ho scritto il tema per Marie-Laure questo è diventato assolutamente centrale per la serie, ben prima che fosse effettivamente utilizzato. Quando mi sono seduto al piano ho pensato realmente di comporre una piccola filastrocca in francese che rappresentasse effettivamente una guida ritmica per Marie-Laure: si è rivelato molto utile ai fini della narrazione. Quindi credo che la vera sfida sia quella di comporre sempre dei temi che si sposino perfettamente a un ambiente molto intimo, ma che siano trasferibili anche in una grande narrazione cinematografica.

Così come il modellino di Parigi e di Saint-Malo guidano Marie-Laure nella comprensione del posto in cui è nata, anche la musica si modella in base a suoi ricordi?
Assolutamente, è una composizione pensata appositamente per lei. Il tema si conforma sin dalla sua giovane età, e mi è sembrato appropriato che si ispirasse inizialmente alla forma armonica di una filastrocca; ho anche reso volutamente la parte del pianoforte decisamente onirica proprio perché si tratta di un flashback. Ma quando il padre costruisce il modellino della città di Saint-Malo ho adottato un approccio diverso, perché ho pensato che fosse il momento attuale, il presente in cui le cose che accadono hanno molta più gravitas, molte più conseguenze per qualsiasi cosa si stia facendo. Quindi ho composto una musica che avesse più slancio, che si basasse su idee differenti.

I libri che Marie-Laure legge via radio vengono ascoltati anche degli stessi soldati nazisti come Werner. Secondo te la musica così come il linguaggio narrativo sono posti dove ci si può rifugiare anche oggi, nei tempi altrettanto bui che viviamo? Sono realmente la luce che non riusciamo a vedere?
Sicuramente all’interno della storia è un elemento molto importante, di speranza per il genere umano, soprattutto perché concede a Werner la possibilità di pensare che ci sia qualcosa oltre la brutalità della guerra, e penso che assolutamente si sposi con questi tempi odierni così bui, in cui tutti noi siamo incredibilmente consapevoli, rattristati, e spaventati dalle conseguenze di una situazione così tragica. Ogni volta che scrivo qualcosa, desidero che le persone siano toccate nel loro cuore, è la mia cifra stilistica, e volevo che anche in questo caso gli spettatori percepissero la speranza e insieme la disperazione rispetto a ciò che circonda la storia. La serie mi ha dato la possibilità di analizzare questa tematica attraverso più modalità, attualizzandole rispetto anche a ciò che oggi viviamo.

Come si racconta musicalmente un mondo in cui le stazioni radio sono diventate ormai l’unico elemento di linguaggio?
Immagino che le trasmissioni radiofoniche siano la ragione per cui i due protagonisti infine sanciranno la loro unione, quindi credo di averlo descritto seguendo unicamente il punto di vista emotivo. Quando Werner ascolta per la prima volta Maria-Laure leggere Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, diventa per lui una sorta di àncora di salvezza, la possibilità reale di intravedere un futuro effettivo per lui e per il mondo stesso. Si tratta di una partitura prettamente orchestrale condita anche da brevi elementi di elettronica. Shawn aveva un’idea molto chiara rispetto a ciò che voleva rappresentare attraverso un linguaggio più elettronico, e ho pensato fin da subito che i suoi input fossero molto buoni. Abbiamo lavorato insieme in maniera molto intensa. Non ricordo di aver dovuto riscrivere molte cose, proprio perché quando c’era da descrivere una determinata situazione le sue indicazioni su ciò che voleva da me erano sempre molto chiare.

Mark Ruffalo con la piccola Nell Sutton in una scena della serie. Foto: Netflix

Fin dall’inizio della tua carriera come compositore, hai lavorato sia nel mondo cinematografico che televisivo, spaziando tra i generi più diversi. Come pensi si sia evoluta in questo senso la composizione musicale per l’audiovisivo? Esistono ancora i grandi temi, oppure si è passati a un approccio musicale più minimalista?
Oggi si può dire che convivono entrambi nello stesso momento. Ripenso ad esempio ai primi anni Ottanta, in cui il musicista Harold Faltermeyer componeva le colonne sonore di Top Gun e Beverly Hills Cop e all’improvviso sembrò che i sintetizzatori, il synth pop, diventassero lo standard musicale per il cinema, salvo poi essere ristabilita l’idea dei grandi temi, della loro epicità, con l’arrivo di John Williams. Penso che i compositori che rimangono più impressi nel tempo siano coloro che sanno scrivere grandi melodie, perché alcuni registi hanno paura della melodia: pensano che sia troppo tradizionale o troppo emotiva. E capisco di avere un grande rispetto per una buona partitura elettronica, perché quando è ben fatta è assolutamente meravigliosa. Ma il mio amore più grande è scrivere grandi temi, è proprio quello il mio stile. Mi definisco un 20th century guy, un ragazzo del XX secolo, nato in un’altra epoca. Le belle melodie dureranno per sempre e penso che l’elettronica sia ormai semplicemente parte della tavolozza di colori che un compositore può utilizzare. Non c’è niente di strano in questo. Per me la situazione ideale è proprio quando riesco a fondere l’elettronica con l’orchestra, e penso che sia effettivamente lo standard musicale di oggi.

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