Nora Felder è un personaggio istrionico. La incontro nella hall dell’hotel che la ospita durante la sua permanenza a Milano, motivata dall’invito di Opera Music a partecipare, questa domenica alla Triennale di Milano, ad un talk all’interno del Festival delle serie Tv. Non ha l’aspetto della nerd che da dietro le quinte ha deciso le sorti musicali di serie tv come Stranger Things (che meriterebbe ore di conversazione a parte), Californication, I’m Not Okay with This, Ray Donovan, The OA, ma anzi ricorda piuttosto una rockstar durante un day off. Non è quindi un caso che la colonna sonora preferita di Nora sia quella di Almost Famous, la pellicola cult di Cameron Crowe. Nora si presenta in total black con una maglietta dell’ultimo disco degli Abba e la sua parlantina è loquace, veloce, elettrica. Enfatizza i passaggi con le mani, mimando situazioni e parole, quasi come una anchorwoman da Late Night. O una perfetta italiana.
Nora, nel suo ambiente, è però davvero una superstar. Negli ultimi anni ha collezionato 4 nomination agli Emmy (portandosi a casa una statuetta nell’edizione del 2022) e una ai Grammy. Quando era giovane però Nora voleva fare altro, voleva diventare una A&R e girare per i locali a scovare i nuovi talenti della musica mondiale. La vita l’ha portata su altri binari, ma ora quei talenti li promuove inserendoli nelle colonne sonore delle migliori serie tv del momento. «Sono cresciuta a Washington D.C. ascoltando le radio alternative» mi racconta ripercorrendo la propria storia, «Mi è sempre piaciuto cercare e ascoltare le cose meno conosciute, son sempre stata mossa da una certa curiosità. Amavo il jazz e la musica classica quanto il rock e la dance. Per me non è importante il genere, ma che la musica mi dia un’emozione». Quest’apertura all’ascolto le ha permesso di costruirsi una grande collezione di dischi («20 mila tra cd e vinili»), dalla quale è riuscita ad emergere diventando la music supervisor del momento, una professione di cui ultimamente si sta molto parlando anche grazie allo straordinario caso di Running Up That Hill di Kate Bush, che Nora è riuscita a resuscitare spedendola in cima alle classifiche di tutto il mondo. Ma prima di affrontare questo tema, facciamo un passo indietro: cos’è un music supervisor?
«Il mio lavoro è trovare la musica che si sposi nel modo migliore con la visione dei registi e degli showrunner con cui mi relaziono, proponendo la miglior scelta possibile per ogni scena», mi spiega, «A volte mi dicono cosa vorrebbero evocare con una determinata scena, altre volte – come per Kate Bush in Stranger Things – mi chiedono un brano che possa accompagnare lo sviluppo o il racconto di un determinato personaggio (o un genere che ne spieghi i gusti, il background, la cultura)». Ma non sempre il dialogo con chi è capo di una produzione è semplice. «Non è detto però che chi sta costruendo una serie sa che musica vorrebbe. Negli anni però ho trovato un metodo che spesso mi viene in aiuto: chiedo al regista, all’editor o allo showrunner, “che musica ascoltavi a vent’anni?”. Ho capito che, alla fine, le persone restano legate alle canzoni e ai generi che hanno ascoltato in quegli anni perché è il periodo dove ci si sente più vivi e liberi. Risentire certe suoni provoca subito emozioni».
Questo, ad esempio, è quello che è successo durante Californication: «Sapevo che Tom Kapinos, l’ideatore della serie, era un gran fan del metal. Così ho iniziato ad inserirne all’interno dello show per dare un suono a quella fantasia da rockstar che Kapinos aveva pensato per il protagonista della serie, Hank Moody, interpretato da David Duchovny. Devo dire che ha funzionato».
Se molti nuovi music supervisor si sono settorializzati preferendo specializzarsi su quello che funziona oggi, la forza di Nora è proprio quella di poter pescare da una cultura (e da una collezione) più ampia. Ogni lavoro potrebbe portarla ad un risultato musicale differente, anche se il metodo di partenza è oramai consolidato: «Leggo la sceneggiatura e cerco di entrare in sintonia con i personaggi, di percepire cosa porta avanti lo show. Così nei primi episodi faccio esperimenti, testo, cerco di capire cosa funziona ancor prima di vedere il girato. Tengo i personaggi in testa anche nella vita quotidiana così nel caso incappassi in un brano che mi piace o che potrebbe funzionare capirei subito a chi abbinarla. Cerco di rimanere creativamente aperta per ricevere ispirazione ovunque». Una libertà che diventa anche una ricerca ibrida tra digitale e fisico. «I distributori digitali come Spotify, o Bandcamp, hanno cambiato completamente il nostro lavoro. Possiamo navigare velocemente tra i generi, scoprire artisti mai sentiti prima, tutto a portata di mano, velocemente. È come avere le ali e muoversi liberamente nell’universo. Ma comunque tra cd e vinili ho più di 20 mila album (divisi per decenni e in ordine alfabetico), e quindi a volte basta alzarmi dalla scrivania per perdermi lì dentro». L’obiettivo infondo è sempre quello: «non è importante cosa funzionerà in radio domani, ma trovare la giusta canzone per la scena su cui si sta lavorando».
Quando parla Nora si perde in voli linguistici e diramazioni, dimentica la domanda e poi la recupera all’improvviso. Seguirla è un’impresa e per questo immaginarla correre con le dita tra le copertine di quelle migliaia di dischi non è molto difficile. Una nerd, certo, ma anche, a suo modo, una rockstar. «La mia filosofia è questa: non è importante quanto sai, ma quello che sai trovare. Il mio lavoro non è molto diverso da quello di un attore che deve entrare in un personaggio, la differenza è che io lo faccio da dietro le quinte»·
Come dicevamo, il nome di Nora Felder è salito alla ribalta mondiale quando la stagione quattro di Stranger Things ha fatto riscoprire al mondo Running Up That Hill di Kate Bush. Ma lei che ne è l’artefice, che motivazione si è data di questo successo? «In questo periodo mi son provata a dare delle risposte. Partiamo dalla premessa che il pezzo è esploso perché era molto funzionale al racconto di Stranger Things e alla sua audience che mescola un pubblico giovane ad uno nostalgico, più adulto, che si ritrova nel citazionismo e nelle atmosfere della serie. Se una canzone funziona è sempre grazie alla serie, mai il contrario». E aggiunge: «Questa stagione di Stranger Things è inoltre arrivata in un momento particolare in cui ci siamo sentiti intrappolati e isolati (un sentimento tipico degli adolescenti) e il personaggio di Max incarna proprio queste emozioni. La canzone è un ponte, un invito a scambiarsi di posto per cercare di comprendersi a vicenda per raggiungere un luogo differente, assieme. Suonava – musicalmente, emozionalmente, concettualmente – perfetta per la serie quanto per il momento storico. Certe cose non sono prevedibili, però, è semplicemente successo: il tempismo è fondamentale».
Il successo di Stranger Things/Running Up That Hill «stuzzicherà sicuramente qualcuno a ritentare qualcosa di simile» perché una giusta sincronizzazione è una grande fonte economica per etichette discografiche, publishing e artisti. «Avere un pezzo in una soundtrack è un nuovo e ottimo luogo di promozione sia per gli artisti indie, che guadagnano più di quanto riescono spesso a fare con le vendite della propria musica, sia con i big per spingere certi brani». Come per ogni lavoro, infatti, il music supervisor deve sempre combattere con un budget: «Non si possono mettere tutte le canzoni che si vogliono in una serie. Con i budget spesso puoi permetterti un paio di brani forti, ma poi devi essere brava a cercare di trovare altre canzoni valide da inserire, spesso musica di artisti indipendenti».
Prima di concludere, però, Nora ci tiene a ribadire un passaggio della sua professione: «Il mio è un lavoro affascinante, spesso idealizzato. Essere un music supervisor non significa però scegliere la musica che si ama per un film o per una serie, ma trovare la musica migliore possibile per i film restando dentro un budget prestabilito. Quest’ultimo passaggio è fondamentale».