Le rivincite, Vera Gemma, ha cominciato prendersele lo scorso settembre, quando il docufilm Vera di Tizza Covi e Rainer Frimmel, dal 23 marzo nelle sale, ha trionfato nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia, portandosi a casa il Leone per la miglior regia e per la migliore interpretazione femminile. È stata una sorpresa per molti, considerato che Vera Gemma, con una vita da rockstar, è sempre stata associata a certa tv tendente al trash. Invece questa pellicola sospesa tra realtà e finzione tira fuori tutto il talento di un’attrice che, per troppo tempo, è stata relegata a una zona d’ombra. E che invece, adesso, può prendersi quello che si è faticosamente guadagnata. Nel film interpreta sé stessa, una figlia d’arte alla ricerca di una via d’uscita dalla solitudine e dalle batoste lavorative. Finirà a contatto con la periferia che si arrabatta per tirare a campare, ne rimarrà affascinata, non senza conseguenze.
Nel film c’è molta solitudine.
Sì, traspare molto.
Questa solitudine ti porta a delle scelte. I fatti successi nel film sono veri?
È chiaro che i registi Tizza e Rainer, bravissimi, hanno costruito una storia intorno al fatto.
Spieghiamo il fatto.
Sono stata addormentata in una stanza da una persona che poi è andata a casa mia e mi ha derubata. L’ispirazione è un fatto vero. Poi il bambino che truffa le assicurazioni con il padre è un’invenzione cinematografica.
Hai recuperato qualcosa della refurtiva o è andata come nel film?
Inizialmente ho denunciato questa persona, ma poi l’ho ritirata.
Come mai?
Per me è stato davvero difficile riuscire ad accettare e a vedere il male, trovavo mille giustificazioni. Ognuno nella vita fa determinate cose per un motivo, e io questi motivi li trovavo continuamente. Pensavo che certe persone agissero in quel modo perché meno fortunate, per disperazione. Mi chiedevo cosa avrei fatto io nelle loro condizioni. Questi ragionamenti mi hanno sempre portato a giustificare le persone, consapevole del fatto che non ero io a dover punire ma che si sarebbero puniti da soli.
Cioè?
Chi è in buona fede trova sempre il modo per rialzarsi, chi non lo è deve fare i conti con sé stesso, prima o poi.
Dopo il fattaccio, l’hai più rivista questa persona che ti ha derubata?
Sono riuscita a rivederlo, a stare con lui e a giustificarlo, poi non l’ho più incontrato. Certe cose sfumano, non aveva rubato tutti i gioielli di famiglia come dico nel film. Ha rubacchiato qualcosa che non avevo neanche tanta voglia di recuperare. E ho lasciato perdere, alla fine.
La ricerca di queste persone è dovuta alla solitudine, giusto?
Io, per solitudine, mi sono sempre buttata negli ambienti di periferia.
Motivo?
Riconoscevo e ancora oggi, in parte, riconosco una verità totale in certa gente. Nel mio ambiente mi si richiedeva un’ipocrisia, un atteggiamento da figlia di papà, ma non sono mai stata in grado di essere né di recitare questo ruolo. Non ero mai capita.
Perché?
L’essere veri non è mai capito, risulta quasi come una malattia. Negli ambienti di strada, invece, non dovevo fingere, venivo apprezzata per essere me stessa. Mi è sempre piaciuta la gente di vita, la gente vera, quella con cui non bisogna recitare un ruolo o parlare di cose inutili. Persone vere con problemi veri da raccontare. Solo che finché questa cosa piace a Pasolini è un’ispirazione artistica meravigliosa, se piace a me diventa una cosa strana…
In Vera c’è un po’ di Pasolini, quindi?
Il neorealismo è stata sicuramente una delle ispirazioni dei registi. E girando in pellicola questa verità si amplifica. Quindi sì, diventa un film un po’ pasoliniano.
Il film comincia con una festa.
Sì, cafonalissima.
Ti appartiene quel mondo?
No, per niente. Sinceramente non ci sarei mai andata a quella festa, l’ho fatto solo per il film. Io esco e mi muovo esclusivamente per lavoro. Il resto del tempo lo passo con mio figlio Maximus. Sono una persona molto solitaria, le uniche amiche che ho sono Asia (Argento, nda) e una mia amica d’infanzia che mi conosce da tutta la vita. La mondanità non mi interessa.
In una scena ammetti che, da bambina, eri innamorata di Eva Robin’s. L’hai mai conosciuta?
No, ma le ho scritto dicendole che ero innamorata di lei. Ogni tanto chattiamo e mi manda i suoi quadri. La inviterò alla prima a Bologna, al cinema Orione, il 1° aprile.
Tra i brani della colonna sonora c’è Dedicato di Loredana Bertè. A chi lo dedichi il film?
Ai miei angeli. Mi stanno accompagnando in questo percorso, stanno facendo dei miracoli come il premio del sindacato giornalisti con una motivazione stupenda. In ogni cosa bella che mi capita, come la vittoria a Venezia, sento la presenza di mia madre e mio padre, penso ci sia il loro zampino. Mi stanno aiutando in qualche modo per questa mia rivalsa dopo aver ingoiato tantissima merda, perché a me l’attrice non me la faceva fare nessuno. Mi hanno tappato la bocca per trent’anni, Tizza e Rainer mi hanno tolto questo bavaglio e mi hanno detto “Ok, parla”. E io ho parlato. Tutti mi dicono che sono brava, ma se dopo tutto questo tempo non lo fossi stata, sarei stata scema.
Perché non ti facevano lavorare?
Non mi hanno mai fatta lavorare, mi dicevano che ero brava, ma poi c’era sempre un “però”.
Quale?
Ero difficilmente collocabile nel cinema italiano: non sono la bellona, né la bruttina che fa ridere, né la ragazza rassicurante della porta accanto. Ho lineamenti particolari che facevano paura ai registi: non sapevano dove collocarli.
Di chi era la colpa?
Della poca fantasia del cinema italiano. Non certo della mia faccia.
La delusione più grande chi te l’ha inferta?
Mi ricordo il film di Pupi Avati I cavalieri che fecero l’impresa. Facevo una donna del Medioevo incinta non di suo marito. Ho interpretato questa scena drammaticissima in una piazza, come Giovanna d’Arco, con la gente che mi insultava e mi urlava. Poi ho girato questa scena di tortura in cui mi tolgono lo scalpo dalla testa, il sangue che zampillava. Una giornata di lavoro tra le più difficili della mia vita.
E poi?
Mi chiama Pupi Avati e mi dice che il film è troppo lungo e ha dovuto tagliare la mia scena.
Come hai reagito?
Ho pianto tantissimo. Ma come? Togli me che ti ho dato l’anima? E questa è solo una delle tante delusioni. A un certo punto non ci provavo neanche più a fare l’attrice e ho trovato altri modi per essere artista, al circo o in tv. Coglievo al volo ogni occasione che avevo per essere me stessa. Ho rinunciato a essere attrice ma non a essere artista, quella è una cosa che, purtroppo, ci si nasce. Non potevo aspettare che mi dessero il permesso di esserlo i registi italiani. Sono sempre andata avanti, a testa alta, per la mia strada. Poi, quando mi hanno fatta lavorare, ho ricevuto il premio come miglior attrice a Venezia. Magari qualcosa da dire ce l’avevo.
Dopo che hai vinto Venezia cos’hai pensato?
A tutto tranne che alla rivalsa. Sono una che ha incassato tanto nella vita, ma ero riconoscente verso i miei registi, Dio e mia madre e mio padre, non percepivo un senso di rivalsa. È un po’ come quando ti rifiuta un uomo, gli prometti che ti vendicherai quando tornerà, ma poi torna e a te non frega nulla, nemmeno di vendicarti. Ma ho pensato di essere un esempio.
Per cosa?
Di non smettere mai di sognare. C’è questa idea che, se un’attrice a 50 anni non ce l’ha fatta, allora non ce la farà mai più. Tant’è vero che le nostre attrici cinquantenni non è che facciano tutti questi film. Così come quando feci L’isola dei famosi mi avvertirono: “Preparati perché non ti faranno fare più cinema”.
Cosa rispondesti?
“E chi se ne frega: non mi facevano lavorare prima e non me lo faranno fare neanche dopo”. Passato un anno e mezzo ho trionfato a Venezia. Questo per farti capire che sono tutti luoghi comuni.
Dopo Vera hai avuto proposte?
Avevo detto che, se ne avessi avute, sarebbero arrivate dall’estero. E infatti ne ho ricevuta una dal regista austriaco David Wagner che ha diretto Eismayer, che sta vincendo moltissimi riconoscimenti, ma in Italia non lo vedremo mai: da noi le pellicole belle non vengono distribuite, come la metà di quelle che concorrono a Venezia.
Di che parlerà questa nuova opera?
È un remake di un western al femminile. Lo gireremo in Almeria e ho già firmato un pre-contratto, visto che lo stanno scrivendo, perché serve a loro per trovare finanziamenti. Aggiungo che adesso, con Vera, usciremo in Francia, altra piazza per me importantissima. Sai che ti dico? Anche se ricevessi solo proposte dall’estero, pazienza.
Be’, se diventassi un’attrice internazionale non sarebbe male, no?
Meglio di un calcio in culo, dicono a Roma.
Torniamo a Vera. Una grande protagonista è la notte: cosa rappresenta per te?
Amo la notte, ma posso viverla meno perché mi sveglio presto per portare mio figlio a scuola. La notte la vivevo non solo per la mondanità, ma per la creatività. Ho scritto due libri, pubblicati, di notte. Quando arriva il buio la mia mente si accende. Se potessi vivrei la notte e dormirei di giorno.
Nel film tiri fuori una certa sfacciataggine con gli uomini. Lo sei anche nella realtà?
Sì, assolutamente. Non aspetto il corteggiamento. Se mi piace qualcuno glielo faccio capire io. Scelgo io, conquisto io, faccio tutto io. Mi piace avere in pugno la situazione.
Ma nel film ci sono anche tanti uomini parassiti. Quanti sono stati con te solo per interesse nella realtà?
È un calcolo difficile da fare. All’inizio alcuni uomini si avvicinavano a me perché mi vedevano come un boccone ghiotto a cui non si poteva dire di no. Pensavano a fare e molti – i più furbi – hanno fatto passi avanti nella vita. Questo a me piaceva.
Ah sì?
Be’ sì, perché in una coppia bisogna anche poter crescere e avere un’evoluzione. Se tu, stando con me, riesci a fare l’attore e a lavorare, io sono solo contenta: significa che c’è una crescita. Poi ci sono quelli che sono partiti così e, alla fine, si sono innamorati. Ci sono quelli che mi hanno usata, quelli che mi hanno amata, non ci sono sempre vittime e carnefici. Ho usato, a volte, il potere derivato dall’essere la figlia di Giuliano Gemma o dall’essere benestante per attirare qualche preda nella rete. Quindi sono stata vittima e carnefice, e viceversa. Le cose si fanno in due.
Ma quando si innamoravano che facevi?
Avevo la conferma che mi potevano amare, che ero degna, che ero bella per questa mia insicurezza di essere amata da tutti. Poi mi disinnamoravo io. Ho sempre lasciato, compresi due mariti.
Chi sono le persone cresciute grazie a te?
Valerio Mastandrea andava solo al Maurizio Costanzo Show e lo chiamai a fare teatro con me. Mi disse che non aveva mai recitato in vita sua.
E tu?
Risposi: “Te lo faccio fare io l’attore”. Scrivemmo insieme lo spettacolo Asteroide, in cui eravamo fratello e sorella. Invitai moltissima gente di cinema a vedere la pièce e lui, da lì, svoltò facendo un film dietro l’altro.
Ma stavate insieme?
No, eravamo solo amici.
E tra i ragazzi con i quali sei stata fidanzata, chi ha svoltato?
Be’, lo stesso Jedà dopo L’isola dei famosi è diventato popolare e sta facendo l’attore: è stato preso per il ruolo bellissimo del clandestino ed è sul set con Edoardo Leo.
Nel film ne parli con tua sorella: non c’è un uomo che riesca a essere all’altezza di tuo padre. Ma almeno uno che si possa avvicinare a lui lo hai trovato?
Purtroppo ancora no. In ogni uomo cerco un po’ mio padre, le caratteristiche che gli assomigliano, qualunque cosa che ricorda lui mi fanno un po’ innamorare. Perché era bello, famoso, ma anche un padre di famiglia, un ottimo genitore. Un uomo d’altri tempi.
E come fai in una relazione?
Non li paragono a lui, altrimenti è la fine. Non sono tutti Giuliano Gemma, e sono comunque degni di essere amati.
Qualche uomo ti ha mai rifiutata come succede con il tassista – peraltro interpretato da Jedà – del pellicola?
No, non è mai successo. Infatti quella è l’unica scena surreale del film, pensavo di non essere credibile, ma i registi hanno detto: “Vera, è possibile che qualcuno ti dica di no”. In realtà nessun uomo mi ha mai rifiutata (ride).
Chi ti ha chiuso le porte per essere “figlia di”?
La gente che mi voleva in un modo, ma non tornavano i conti. Cercavano una figlia di papà che si atteggiasse un po’, invece ero spudorata, sincera, diretta, senza filtri, nuda nell’anima. Venivo fraintesa.
Motivo?
In questa società ipocrita e piccolo-borghese, ti rispettano di più se te la tiri. Le piccole menti non mi capivano, si chiedevano perché non assomigliassi a mio padre, perché non fossi bella come lui: non è colpa mia se non sono all’altezza dell’avvenenza di mio padre. Cercate di vedere la bellezza che ho in me.
La porta chiusa che ti ha fatto più male?
Programmi tv che mi prendevano e poi, all’ultimo minuto, mi facevano fuori perché non ero protetta, raccomandata.
In quale programma ti hanno fatto fuori all’ultimo?
Al Grande Fratello VIP. In un momento in cui avevo bisogno di lavorare, uscire dall’ombra e farmi conoscere. All’ultimo minuto mi hanno fatto fuori senza nemmeno telefonarmi. Dissero al mio avvocato che lo avrebbero richiamato per accordarsi relativamente al contratto e poi sono spariti con una mancanza di tatto e di rispetto totali. Non si fa così, ma agli esseri umani, non a Vera Gemma.
Visto che nel film il discorso ritorna spesso, quanto è stata importante la bellezza nella tua vita?
Per me è un’ossessione essere all’altezza della bellezza di mio padre, mentre il mondo continuava a ricordarmi che non lo ero. Cercavo di migliorarmi anche ricorrendo alla chirurgia plastica. Col tempo ho sviluppato il fascino. Vedi, io sono cresciuta con una sorella molto bella. Dicevano che era uguale a papà, mentre io ero quella simpaticissima. Pensavo: “Un giorno glielo farò vedere io”.
Ce l’hai fatta.
Le donne meno belle sentono la necessità di sviluppare altre cose per piacere, mi sento affascinante e sexy perché ho voluto esserlo. Ci si impegna.
E oggi com’è vissuta la bellezza, a tuo avviso?
Adesso la bellezza è un canone. Ma non ne posso più di vedere sui social foto di queste ragazze col culo di fuori. Non sono assolutamente moralista, ma essere valutata e raggiungere popolarità solo con il fisico lo trovo avvilente per una donna. Secoli e secoli di lotte per il diritto al voto, all’aborto, al divorzio, per poi rifinire a mostrare le chiappe ed essere accettate solo in quanto scopabili.
A proposito di diritti, che ne pensi della questione legata alle famiglie arcobaleno che sta tenendo banco in questi giorni?
Un figlio è figlio dell’amore. Se due genitori sono degni, non importa com’è concepito. Devono diventare degni legalmente di crescerlo e di dichiararlo figlio a tutti gli effetti. Poi io sono innamorata della comunità lgbtq+.
Un’ultima cosa. Nella scena davanti alla tomba del figlio di Goethe parlate di libertà insieme ad Asia Argento. Da cosa vorresti essere libera?
Dall’ossessione e dalla brama di essere accettata e amata.