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Vivere punk: la vera sorpresa di Venezia 79 è ‘Margini’, da Grosseto con furore

L’opera prima di Niccolò Falsetti e Francesco Turbanti, co-prodotta dai Manetti Bros., ha conquistato la Settimana della Critica. Ne abbiamo parlato con gli autori

Foto: Francesco Rossi

«Non posso permettere che giornali e tv mi dicano che cos’è il punk! È molto più di borchie, anfibi e creste colorate…», canta la band Wait for Nothing, anima ribelle del film Margini di Niccolò Falsetti e Francesco Turbanti. Co-prodotto dai Manetti Bros., è l’unico film italiano in concorso alla Settimana della Critica e uscirà nelle sale l’8 settembre per Fandango. Per i frequentatori della Mostra, subito dopo la prima proiezione stampa è diventato uno dei must see del Lido.

Fresco, sentito, libertario. In una parola: punk. Tutto suonato (spesso stonato) live e davvero. La musica del film è esclusivamente “diegetica”, ovvero suonata dai protagonisti o da uno stereo in scena. Alcuni tratti sono “andreapazienziani” per sentire, incazzature tragicomiche, vomito e sgrammaticature del parlato. Lo spirito “Grosseto 2008” (anno in cui si svolge il film) è in parte anche “Bologna ’77” (sintomo di un Paese in stallo, a dispetto della vitalità di alcuni giovani non conciliati). Il 2008 è anche l’anno in cui la scena musicale punk hardcore ha avuto nuova ed estrema fertilità. Il manifesto è griffato Zerocalcare, che compare anche come voce in una telefonata buffa (con accollo finale). Notevole colonna sonora, che va da Ai margini degli Ultimi (ispirazione per il titolo del film) a Die Hard dei Payback, fino a Questi anni dei Kina.

Margini narra la storia – in parte autobiografica – di una band di street hardcore di Grosseto che suona per sagre di paese, compleanni, matrimoni e su palchi improvvisati. I tre elementi sono Michele (lo stesso Turbanti), Iacopo (Matteo Creatini) ed Edoardo (Emanuele Linfatti). Nel 2008, proprio dopo una scottatura musicale (un rifiuto da parte degli organizzatori di un concerto), i Wait for Nothing riescono a organizzare un evento impensabile: portare in città la (fantomatica) band americana dei Defense. Difficile trovare un luogo adatto, tra diffidenza di politici e assessori, chiusura mentale, burocrazie locali. In una provincia, per estensione un Paese, ignorante e incapace di comunicare con un certo tipo di cultura giovanile.

Al Lido abbiamo incontrato i due autori Niccolò Falsetti e Francesco Turbanti. Finiamo per fare l’intervista sugli scogli della spiaggia davanti all’Hotel Excelsior, fumando, con il solo rumore del mare di sottofondo.

Di chi sono i magnifici album che compaiono nell’appartamento di Michele, il batterista interpretato da Francesco Turbanti? Si notano anche costosi gioielli da collezionisti come il cofanettone boombox dei Clash remastered…
Francesco Turbanti: La casa di Michele in realtà è la vera casa di un nostro amico di Grosseto, e anche tutti gli album sono suoi! Si tratta di uno skinhead di nome David Bardelli. Ha il Rudeness, un leggendario negozio di dischi in centro storico. È la persona cardine per la nostra formazione musicale. A un certo punto delle nostre vite siamo entrati in quel negozio con capelli lunghi e camicie di flanella (per inciso, David oggi lo ricorda ancora piuttosto schifato). Possiamo dire di esserne usciti due mesi dopo con capelli rasati, bomber e anfibi… È colpa di David se siamo diventati quello che siamo, ci ha attaccato una certa malattia musicale e culturale.
Niccolò Falsetti: Bardelli è stato il padre putativo della nostra vita punk. Sono dieci anni che lavoriamo a questo progetto, e in alcune versioni della sceneggiatura compariva un personaggio ricalcato su di lui. Molto di quel personaggio è finito in quello del batterista Michele, interpretato da Francesco. È un’anomalia grande per una città piccola come Grosseto avere un negozio come il Rudeness, così legato a una sottocultura che di solito ha una radice forte nelle metropoli.

Come succede a Michele nel film, anche a voi capitava che vi scambiassero per naziskin o neofascisti?
Turbanti: Certo, in Italia della cultura skinhead o di come il look sia stato copiato da altri non si sa proprio nulla, non è bastato nemmeno This Is England (il film di Shane Meadows che racconta la cultura skinhead, in realtà profondamente antirazzista e anarchica, nda). La mia prof. di latino e greco del liceo mi disse, testuale: «Sei diventato nazista?!». «No, prof., esattamente il contrario…».

Il film si svolge nel 2008, ma a parte alcuni dettagli – telefonini, pezzi punk hardcore – potrebbe essere adesso, o pochi anni prima. C’è qualcosa di documentaristico nel dettaglio dell’anno al passato-presente…
Falsetti: Il film è stato scritto da me e Francesco insieme al co-sceneggiatore Tommaso Renzoni a partire da tante esperienze biografiche di punk grossetano. I personaggi sono diversi dalle vite di ciascuno di noi, ma abbiamo pescato a mani basse dalla nostra autobiografia. Nella realtà, io e Francesco e altri due amici siamo i Pegs, mentre nel film la band si chiama Wait for Nothing… Nel 2007 alcuni gruppi punk, fra i quali il nostro, formarono una bella crew che riuscì davvero a portare a Grosseto la band americana dei Madball (i fantomatici Defense nel film, nda), vere superstar del genere hardcore. Li portammo al campo sportivo di Roselle, perché è quanto ci potevamo permettere. Gli americani Defense sono invece interpretati dalla band romanissima dei Payback, che suonano anche nel concertone finale, mentre le voci al doppiaggio al ristorante sono di alcuni nostri amici americani. I Payback mentre giravamo quella scena dicevano cose assurde, nonsense simil-anglosassoni come «Uanna gana…oh yeah! Ahi ahi uanna ganna… Uanna Uanna… oh yeah Ammerican yeah…!». Nel concerto finale sono stati meravigliosi e ci hanno supportato alla grande. In particolare Damiano, il chitarrista, ha un’etichetta, e con i suoi contatti ci ha messo nelle condizioni di realizzare il disco “do it yourself” di Margini e anche un benefit per una realtà fiorentina che si chiama Centro Storico Lebowski, una squadra di proprietà dei tifosi.

Come Pegs suonate ancora? Dove?
Falsetti: Siamo una band di “cacati zero”. Suonavamo e suoniamo davvero a sagre, compleanni, abbiamo rovinato le feste di diciott’anni di moltissime persone per imporre una musica che non piaceva a nessuno, tranne che a noi. Suoniamo ancora solo per piacere di farlo, non abbiamo mai avuto particolari velleità musicali.
Turbanti: Credo che continuiamo a suonare proprio perché siamo molto amici. Il nostro nuovo disco è in uscita a breve e arriva a dieci anni dal nostro precedente… Il film ci ha portato via molto tempo ed energie. Abbiamo suonato ovunque, in discoteche abbandonate, stabilimenti balneari, in club dove abitualmente suonano cover band di Vasco Rossi.

Zerocalcare come lo avete coinvolto?
Turbanti: Lo abbiamo conosciuto molto tempo fa quando per tutti era “il tizio di Roma che disegnava” spesso pro bono per centri sociali e affini. Doveva fare la copertina del nostro primo album come Pegs. Anzi la fece, poi però con un certo imbarazzo ci disse che doveva cominciare a chiedere un rimborso anche agli amici di centri sociali e vita punk. Ci chiese 40 euro e non se ne fece più nulla. Non ce li avevamo: «Per noi so’ troppi, Cicci…». Quando molto tempo dopo lo abbiamo incontrato al festival di fumetti Crack, al Forte Prenestino, lo abbiamo avvicinato chiedendogli se si ricordasse di noi, ci ha detto: «Certo! Nella mia vita passata avevo chiesto qualche euro di rimborso a sole tre band, una eravate voi, gli unici che non me li hanno dati. Poi ho smesso di chiederli». Pensa se gli avessimo fatto fare quella cazzo di copertina, per un pugno di euro, quanto varrebbe adesso: magari finiva pure fra le opere esposte al Maxxi di Roma!

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