Zoe Kravitz, American Woman
Un giro per Brooklyn con la nuova stella hippy del cinema USA. Per Zoë Kravitz (e famiglia) è arrivato il momento di raccontarsi.
Zoe Kravitz. Foto Joey Grossman
È domenica pomeriggio a Williamsburg, Brooklyn, e il quartiere si mostra al massimo della sua essenza. Fuori da un caffè figlio della gentrificazione, un ebreo chassidico attraversa in maniera spericolata la strada, obbligando un rasta a frenare di colpo con il suo Suv. Dentro al bar, tre ragazzi tra i venti e i trent’anni stanno facendo un brainstorming su un possibile hashtag #stopkillingpeople, quando una donna in coda, che li ha sentiti per caso, interviene dicendo che adora la loro idea. “Oh, grazie! Stiamo cercando un modo per promuovere il nostro video musicale”. «Noooooo», dice Zoë Kravitz quando le racconto di quello scambio. «Erano seri?». China il capo. «Mamma mia».
29 anni, vive a Williamsburg da un decennio e condivide lo stesso passatempo di molti dei suoi residenti: lamentarsi di come sia diventata molto più cool che in passato. «Al posto del mio negozio di bagel preferito c’è un cazzo di Apple Store». Qualche anno fa è fuggita dall’epicentro – «Non volevo vivere in un orrendo condominio nuovo di zecca, insieme a una manica di consulenti finanziari» – verso la zona sud, relativamente più verace. «Qui è completamente diverso», spiega.
Ordina un caffelatte con doppio espresso e racconta di «essersi svegliata solo pochi secondi fa». Sono le 13 e 6 minuti. È appena tornata da Londra, e in questo momento il suo orologio biologico è sottosopra. Ieri ha dormito fino alle 4 del pomeriggio, alzandosi dal letto per andare a vedere Mean Girls a Broadway con la sua coprotagonista in Big Little Lies, Reese Witherspoon. Dopo sono andate a mangiare qualcosa di veloce assieme e lei è rimasta in piedi fino alle 5 del mattino, guardando senza sosta Friends su Netflix. «Amo da morire Friends. È un peccato che siano tutti bianchi, ma è come la zuppa di pollo». A volte vede così tanti episodi di seguito che Netflix le chiede se sia ancora lì. «A quel punto clicco “continua”», racconta ridendo.
È vestita alla moda, con Adidas Samba nere, una lunga sottoveste bianca e una maglietta vintage dei Nirvana, che ha un paio d’anni meno di lei. Le trecce le ricadono sulle spalle, e gli avambracci sono adornati con decine di tatuaggi delicati – un’aquila, una piuma, un serpente, una sirena. Le dita e le orecchie sono costellate di oro, e sulla mano sinistra ha una cicatrice che si è procurata lo scorso autunno a Londra, mentre girava Animali Fantastici. I Crimini di Grindelwald, in uscita a novembre. «Stavo preparando un tè con uno di quei bollitori elettrici, e non ho chiuso il tappo». Tira fuori il telefono e recupera la foto di una vescica grande come un mandarino.
È un pomeriggio caldo e soleggiato, e così decidiamo di percorrere a piedi il Williamsburg Bridge verso Manhattan. È cresciuta a L.A., ma preferisce New York. Trenta metri sopra l’East River, i treni sferragliano e i ciclisti sfrecciano a tutta velocità. Al suo passaggio qualcuno reagisce a scoppio ritardato, ma nessuno la ferma. Forse perché cresciuta vicino alle luci della ribalta, sembra felice di vivere il punto giusto della notorietà, tra il successo e un relativo anonimato. Sebbene ultimamente si sia guadagnata ruoli importanti, non ha l’ossessione di diventare una star. «Sto ancora facendo molte parti come non protagonista, e non ho alcuna fretta. Sono soddisfatta della mia velocità di crociera».
Sullo schermo a volte può dare l’impressione di essere distaccata o intimidatoria, ma di persona è divertente e serena. «Noi Kravitz siamo considerati glaciali e seri, il che mi fa sempre molto ridere. Perché siamo tra le persone più buffe che esistano». Ama i burritos e coccolare i cani per strada, le piace fare l’imitazione di Bane (intepretato da Tom Hardy in Il cavaliere oscuro – Il ritorno, ndr), mettendosi le mutande in testa e ha passato le ultime sei estati nel deserto al Burning Man. «Ci davo dentro di brutto! Mi ha davvero aperto la mente: conoscere degli sconosciuti, vivere quella creatività, abbassare la guardia». Pausa. «E ovviamente anche l’ecstasy ha aiutato».
Se c’è una cosa che probabilmente tutti sanno di Zoë Kravitz, è che Lenny è suo padre. E che la mamma è l’ex attrice dei Robinson Lisa Bonet. Si conobbero nel 1985 nel backstage di un concerto dei New Edition a New York e si scoprirono anime gemelle: due ragazzini mezzi neri e mezzi ebrei con ambizioni artistiche. Lei era la stella di uno dei più importanti show televisivi del momento; lui il figlio di un’attrice (Roxie Roker, nota per I Jefferson), e un aspirante rocker che si faceva chiamare Romeo Blue. Erano fuggiti a Las Vegas il giorno del ventesimo compleanno della Bonet. Dopo pochi mesi, lei era incinta. «Non avevano progettato di avere un bambino», dice Zoë. «È stata un’autentica sorpresa. Devo ancora verificare se sia vero, ma mio padre mi ha raccontato che lei gli aveva lanciato addosso un asciugacapelli». Secondo Lenny «non era un asciugacapelli, ma il test di gravidanza». Era un anno prima che Lenny pubblicasse il suo primo album, mentre Lisa era al culmine del suo successo, come protagonista della propria sitcom, lo spin-off dei Robinson, Tutti al college. «Sono certa che si siano chiesti cosa fare», dice Zoë. «Ma qualunque sia il motivo, alla fine hanno deciso di tenermi».
Pare che quando Bill Cosby, l’ideatore di Tutti al college, aveva saputo della sua gravidanza, si fosse davvero arrabbiato. Lisa fu eliminata dal programma, e quando qualche mese più tardi ricomparve nei Robinson, fu soltanto per un numero esiguo di puntate, prima di sparire definitivamente. «Loro due non sono mai andati d’accordo», racconta Zoë. «Mia madre ha sempre avuto strane vibrazioni nei suoi confronti. Vibrazioni cupe». Dice di aver trovato di recente una sua foto da bambina, in braccio a Cosby. «Sinceramente è una foto davvero inquietante. Non ha affatto una faccia piacevole. È alquanto sospetta». Madre e figlia sostengono che sia stato meglio che le cose siano andate così. «Mi ripete sempre che le ho salvato la vita. Non aveva intenzione di diventare famosa, era così giovane e riservata. Trasferirsi, stare con la sua bambina: quello sì che rispondeva al suo bisogno di tranquillità».
Lenny e Lisa si sono lasciati quando Zoë aveva due anni. Lei non ha ricordi di loro due assieme. Viveva con la madre nel Topanga Canyon, nella contea di Los Angeles, un’enclave in stile hippy. Frequentavano personaggi del mondo dello spettacolo – una delle migliori amiche della Bonet, Marisa Tomei, è la madrina di Zoë –, ma la sua è stata tutt’altro che un’infanzia hollywoodiana. Ha frequentato una scuola steineriana della Valley, con il nome di Zoë Moon. Avevano un televisore, ma non c’era l’antenna, e ogni settimana si andava a prendere un film al videonoleggio.
Non vedeva molto il padre, forse un paio di volte l’anno. «Non era assente. Ma lavorava un sacco. Non mi sono sentita abbandonata. Ma a quell’età, quando qualcuno va e viene è come Babbo Natale o una cosa simile : è un avvenimento. A ripensarci, è doloroso: mia mamma ha lasciato tutto per me, e io lo davo per scontato; poi arrivava in città mio padre ed era l’eroe. Mi spiace davvero per lei».
Quando aveva 11 anni, Lenny propose che la figlia andasse a vivere con lui per un po’. «Penso che per mia mamma sia stata durissima. Però riteneva che per me fosse importante conoscerlo, anche perché lei e il padre non avevano rapporti». E così si era ritrovata a Miami. «È stato un cambiamento radicale. Sono passata dalla tranquillità della casa di Topanga, dove vivevamo soltanto io e mia madre, alla vita di mio papà, frenetica, piena di gente e assistenti». In quel momento Lenny era all’apice della sua carriera, subito dopo Fly Away e la colonna sonora di Austin Powers. «Quando veniva a prendermi, tutta la scuola si ammassava nel parcheggio. Ed era tutt’altro che discreto: arrivava a bordo di una macchina sportiva, con pantaloni di pelle e maglietta a rete. Non poteva mantenere un profilo un po’ più basso? Anche solo una t-shirt che non ti lasciasse vedere i suoi capezzoli sarebbe andata benissimo».
Ricorda che Mick Jagger bazzicava spesso da loro. Una volta si era svegliata e aveva trovato Ashton Kutcher in cucina che preparava delle omelette. Poco dopo Lenny si fidanzò in segreto con Nicole Kidman, che di tanto in tanto la portava al cinema. «Era gentile, era forte», dice lei sembrando ancora incerta sull’intera vicenda (Ora la Kidman è la coprotagonista di Big Little Lies. «È stato buffo ritrovarsi sullo stesso set. Ehi, ti ricordi di quando stavi con mio padre?»).
Senza voler esprimere giudizi, è possibile che Lenny non sia stato sempre il più severo dei padri. A un certo punto si trasferirono a New York, dove Zoë frequentava una scuola. «Ma quando arrivò l’inverno, mio papà aveva iniziato a dire: “Che freddo! Andiamo alle Bahamas per una settimana!”. E quindi eravamo partiti, e non eravamo tornati. Ho saltato un mese intero di lezioni». «Faceva buio presto, e Zoë iniziava a diventare pallida e secca. Avevo l’impressione che non fosse salutare. E così l’ho portata al sole», spiega Lenny Kravitz.
A suo parere il padre stava facendo del suo meglio. Una volta, durante una serata di gala l’aveva fatta sedere accanto alle Spice Girls, che lei adorava. Qualche anno dopo le aveva presentato Britney Spears, pensando che sarebbe stata altrettanto elettrizzata. «Ma in realtà la mia reazione era stata: “non mi piace Britney Spears! Mi piace il punk!”», dice con un’impertinente voce da preadolescente prima di scoppiare a ridere. «Poverino».
La Bonet dice di aver sempre creduto che la figlia sarebbe stata un’artista. Da ragazzina passava ore in camera a memorizzare i testi dei suoi cd preferiti: Weezer, No Doubt, Green Day. «È un sagittario, è carismatica e spavalda. Ero certa che la sua strada sarebbe stata la musica». Il padre pensava il contrario. «È cresciuta in quel mondo, e sembrava indifferente. Non voleva farne parte. Mi aspettavo più che studiasse e che diventasse medico, o avvocato».
Al liceo, però, aveva iniziato a essere attratta dalla recitazione. All’epoca aveva convinto il padre ad abbandonare Miami. «Senza volere mancare di rispetto a Miami, ma nelle 14enni vestite sexy non ci vedo nulla di artistico o di profondo. E io mi sentivo un’emarginata». Concesse un’altra opportunità a New York. Era entrata in una compagnia teatrale e aveva recitato in alcune pièce: Le tre sorelle di Čechov e Grease. Si era sparata anche la sua dose di feste di adolescenti dell’Upper East Side, a base di alcol e marijuana. Quando i suoi, anche loro consumatori di erba, lo avevano scoperto, la madre si era seduta accanto a lei. «Non è un problema, basta che non racconti bugie», le aveva detto prima di passarle una canna.
All’inizio i genitori avevano stabilito la regola che non avrebbe potuto fare l’attrice di professione fino a quando non avesse finito le superiori. «Sei adolescente una sola volta nella vita», dice la Bonet, che aveva iniziato a recitare nei Robinson a 16 anni. «Il mio intento era crescerla e proteggerla il più possibile». Ma poi, quando aveva compiuto 15 anni, il padre l’aveva aiutata a trovare un agente. Lenny spiega: «Era stata così tanto esposta a quel mondo che non c’era bisogno di farla troppo lunga. Mi fidavo di lei e ritenevo che fosse pronta per avere rispetto di se stessa».
La sua prima grande occasione è arrivata nel 2011, con X-Men – L’inizio, girato a 21 anni, accanto ad altre promesse come Jeniffer Lawrence (di cui è diventata amica) e Michael Fassbender (con cui ha avuto una relazione). Ben presto ha recitato in altri blockbuster come Mad Max: Fury Road («Un capolavoro. Ancora non riesco a credere di essere in quel film») e la saga Divergent, con la sua amica e coprotagonista in Big Little Lies Shailene Woodley. È la prima ad ammettere di aver avuto dei vantaggi grazie ai suoi genitori, ma spiega anche di aver sgobbato parecchio. «Tra i 21 e i 25 anni ho fatto audizioni per un sacco di parti, e non ho ottenuto quasi nulla». «Non voleva aiuti», racconta il padre. «Forse per cinque minuti qualcuno può anche essere interessato: “Oh, è la figlia di…”. Ma se non sai fare il tuo lavoro, non frega più a nessuno chi siano i tuoi genitori».
Non sempre è stato semplice per una ragazza di colore, seppur appartenente da due generazioni alla nobiltà di Hollywood. Zoë racconta che spesso i registi le dicevano di volere «più la ragazza della porta accanto» o qualcuno di «tipicamente americano». L’anno scorso, parlando via skype con un filmmaker, lui le ha detto di aver pensato a lei per la moglie di un afroamericano. «Sì, ok, ma io potevo fare qualsiasi ruolo. I neri non si sposano solo con i neri. La verità è che a volte i bianchi non si accorgono di quanto possano essere offensivi».
Racconta di aver subito molestie sessuali sul set. «Non farò nomi, perché non voglio rovinare la vita a nessuno. Ma ho lavorato con un regista che mi ha messo realmente a disagio. Ero giovane, sui 18-19 anni, e dormivamo nello stesso hotel. Continuava ripetere: “Posso venire nella tua stanza?”. Del tutto inappropriato. Veniva durante il trucco e mi sfiorava i capelli. Oppure mi diceva: “Fammi vedere l’abito. Girati un po’”. Non va bene che qualcuno si comporti in quel modo. Specie se è in una posizione di potere». I due progetti di cui è più orgogliosa – Mad Max e Big Little Lies – mostrano donne forti, che combattono contro uomini di merda. Nella serie in onda su Sky Atlantic Zoë è Bonnie, sexy istruttrice di yoga e seconda moglie dell’ex marito di Reese Witherspoon: nella seconda stagione, dice che stavolta si vedrà molto di più di lei. «Non è un mezzo per raccontare la storia di qualcun altro, ora ha la sua, di storia».
Abbiamo quasi attraversato il ponte, quando riceve una telefonata dal compagno, l’attore Karl Glusman. «Ciao cucciolo! Com’è andata? Fantastico! Voglio sapere tutto. Posso richiamarti fra un po’? Ti amo». Riattacca e sorride. «La sua audizione è andata bene». Ci fermiamo in una gelateria, dove ordina un cono vegano con menta e scaglie di cioccolato. Ed è a quel punto che noto l’enorme diamante che ha all’anulare. «Oh, sì, sono fidanzata», dice con una tale naturalezza che sembra stia scherzando. «No, sono davvero fidanzata! Non l’ho detto ancora a nessuno. Insomma, non l’ho annunciato pubblicamente, volevo che restasse un fatto privato».
La Kravitz e Glusman, che ha 30 anni, si sono conosciuti un paio di anni fa in un bar, grazie ad amici in comune. Tecnicamente non era un incontro combinato, ma di fatto lo è stato. Glusman, che aveva una cotta per lei da tempo, all’inizio era troppo nervoso per parlarle, ma a fine serata, mentre se ne stava andando, l’ha incrociata fuori dal locale e Zoë l’ha invitato a una festa. Si sono baciati. Dopo poco lui si è trasferito a casa sua, e da allora stanno assieme. «È davvero rilassante stare con qualcuno con cui puoi essere te stessa».
Si frequentavano da un anno e mezzo quando, lo scorso febbraio, Karl è venuto fuori con la proposta. Aveva pensato di farle una sorpresa mentre lei era a Parigi, ma ha finito per chiederle la mano in salotto. «Io ero in tuta. E mi sa che ero un po’ alticcia». Lui ha acceso delle candele e ha messo su un disco di Nina Simone – la cantante preferita di Zoë –, prima di sdraiarsi accanto a lei e abbracciarla. «Il suo cuore era a mille. Gli ho persino chiesto se andasse tutto bene. Ero davvero preoccupata». Tanto che quando si è inginocchiato, lei ha esclamato: «Sì, fai stretching! Lo stretching rilassa!». Ma poi Karl ha tirato fuori una scatolina, e dentro c’era un anello. «L’ha azzeccato. E sono contenta che non sia stato a Parigi, e che fossi in tuta, a casa».
Il pomeriggio successivo mi apre la porta con indosso i pantaloni del pigiama e una maglietta sformata dei Soprano. Il suo appartamento è incredibile: soffitto con travi a vista di legno, un cortile privato, un terrazzo sul tetto e un proiettore per le serate cinematografiche. Le pareti sono decorate con foto in bianco e nero della madre e di Frida Kahlo, e accanto al bar c’è appeso un ritratto di Martin Luther King. Racconta che quando vengono i suoi amici, dopo qualche drink a volte si mettono lì vicino e declamano: “I have a drink!”. «Che stupidi», dice ridendo, prima di aggiungere «ho grande rispetto per MLK». Se state dubitando della sua venerazione per il Dottor King, sappiate che lei e il padre si sono fatti entrambi tatuare il famoso Free at last, del discorso I Have a Dream.
Si versa del caffè e accende dell’incenso, prima di sprofondare su un enorme divano bianco. Il prossimo progetto la entusiasma: una serie tratta da Alta Fedeltà per il nuovo servizio streaming della Disney, che debutterà l’anno prossimo. È la protagonista – nella parte che nel film è impersonata invece da John Cusack –, una commessa di un negozio di dischi emotivamente immatura, che fatica nella vita e nell’amore. «Mi sono sempre immedesimata in quel personaggio. Un nevrotico incapace di liberarsi di sé. A mio avviso è ironico che in molte storie siano gli uomini a essere così complicati, quando le donne lo sono di più. Si presume che siamo perfette e che dobbiamo prenderci cura di tutti, ma a volte ci sgretoliamo e siamo un casino pazzesco». È eccitata dalla serie per molti motivi, e il fatto che sia la protagonista è il meno rilevante. «Devo produrre, scrivere e dirigere un episodio. Sono una vera nerd in fatto di musica, e quindi sono gasata dall’idea di poter far conoscere vecchi pezzi ai più giovani». È su di giri anche perché si tratta di una commedia, genere in cui ha sempre voluto cimentarsi. «Sto spuntando un sacco di caselle».
A dicembre compirà 30 anni. Non vede l’ora. «Avere 20 anni è divertente, ma è anche un’età complicata. Fai errori, non sai ciò che vuoi, e sei un po’ una testa di cazzo. Sono strafelice di avere 30 anni. So che commetterò altri sbagli, ma mi sta benissimo. Siamo degli splendidi bordelli». Tra lavoro e matrimonio imminente, si trova a una svolta cruciale della sua vita, da un punto di vista professionale e personale. «Sto crescendo in molti aspetti. Fa paura, ma in senso positivo». Ha parlato un po’ con la madre del matrimonio –la Bonet si è appena risposata l’anno scorso, con il compagno di lunga data Jason Momoa con cui ha avuto due figli. Sente anche il padre quasi ogni giorno. «Se non ho sue notizie, comincio a chiedermi che cosa stia succedendo. È un chiacchierone». Neanche a farlo apposta, qualche minuto dopo le squilla il telefono. “Ciao papà!”. “Ehilà, tesoro”. Pare che Lenny quella sera sia ospite da Jimmy Fallon e, casualmente, anche Reese Witherspoon. E così il conduttore ha chiesto anche a lei di fare un salto, per una gara di playback: Fallon e Witherspoon contro i Kravitz. Per il padre è una novità, e così ieri sera è passato dalla figlia per un’infarinatura sulle regole. Ma ora si trova negli studi del programma, e visto che utilizzano altre regole sta andando fuori di testa.
«È come se dicesse: ho imparato tutte queste cose, e ora non posso usarle! Che faccio?! Una tipica paura di papà!». Al telefono Zoë si mostra rassicurante. “Non ti preoccupare. Ci inventeremo qualcosa nel camerino”. Lenny inizia a protestare. “È tutto ok”, gli dice sorridendo. “Ci inventeremo qualcosa”.