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Jack Nicholson è il più grande attore vivente? Qualcuno dirà: no, è Robert De Niro! Ma che dite, è Al Pacino! Scegliere è impossibile. Ma certamente, tra i grandi protagonisti del cinema del ’900 (e non solo), l’attore tre volte premio Oscar (primato che condivide con Daniel Day-Lewis e Walter Brennan) è oggi il meno citato. Sarà che non gira un film da oltre dieci anni. O che è quello dal divismo più ruvido e imprendibile. Nel giorno del suo compleanno (auguri!), ripercorriamo i ruoli che l’hanno consacrato. Lo sappiamo: mancano Conoscenza carnale, L’ultima corvé, Professione: reporter, La promessa e moltissimi altri. Ma scegliere è impossibile…
Tra Peter Fonda e Dennis Hooper, spunta Jack. Che non poteva mancare nel film considerato il manifesto della New Hollywood. Va da sé che – nei panni dell'avvocato ubriacone George Hanson, tutto sogni di bordelli e trip di marijuana – diventerà il vero divo del terzetto. Guadagnandosi anche la prima nomination all’Oscar.
Altro caposaldo della Nuova Hollywood, l’opera seconda di Bob Rafelson è la storia di un pianista che torna nella casa di famiglia quando viene a sapere che il padre è malato. Generazioni che si ritrovano/scontrano, ma anche il cinema dell’(allora) oggi che fa a pezzi quello dei padri. Seconda nomination all’Oscar per Jack delle 12 (!) totali, stavolta da protagonista.
La sensation arrivata dall’Europa nella Hollywood 70s (leggi: Roman Polanski) firma un noir che è insieme omaggio ai classici della Golden Age e reinvenzione postmodernista. La faccia di Jack (insieme al volto spigoloso di Faye Dunaway) è quella giusta per tenere insieme questo equilibrio apparentemente fragile e in realtà geniale: elegante come Bogey, moderno come solo lui. Altro giro, altra candidatura: con il nostro va così.
Se si dovesse citare un solo titolo nella filmografia anni ’70 di Nicholson, i più sceglierebbero il dramma da manicomio di Miloš Forman. Non a torto. Altra opera al tempo stesso classica e personale di un regista venuto dal Vecchio Continente, è il veicolo per uno dei più spericolati one-man-show dell’attore, nella camicia di forza di un matto (o forse solo di un uomo che non si conforma alla società). Ed è anche il film che regala a Jack il primo Oscar: sarebbe stata pazza l’Academy a non darglielo.
Il mattino ha l’oro in bocca. Ma pure il pomeriggio (pardon) della carriera di Nicholson, ormai attore maturo e certificato, pronto per uno dei più clamorosi salti nel “genere” operati dal maestro Kubrick. Che vuole il suo ghigno distintivo per l’horror “based on Stephen King” diventato paradigma del cinema tutto, non solo di quello “di paura”. Ma l’Academy, si sa, nutre un pregiudizio verso i film dell’orrore, anche se firmati da un gigante. Stavolta, dunque, nessuna nomination: vergogna!
Jack, per chi ancora non l’avesse capito, può fare tutto. Anche questo film che è insieme dramedy, rom-com, family movie. Guidato dal tocco umano (pure troppo) di James L. Brooks, è il terzo lato del triangolo mélo composto con lui da mamma Shirley MacLaine, di cui finirà per innamorarsi, e dalla di lei figlia Debra Winger, minata dalla malattia. Da donnaiolo impenitente a (quasi) perfetto first date, Nicholson è indimenticabile. Tanto da portarsi a casa il secondo Oscar, questa volta come non protagonista.
Prima di Heath Ledger e Joaquin Phoenix, l’unico Joker degno di memoria cinematografica. Ma se i due interpreti più recenti hanno dato al nemico per eccellenza dell’Uomo Pipistrello un volto umano (troppo umano), Jack – diretto da Tim Burton – è ancora la maschera stilizzata e gigiona, come da fumetto originale. E pure l’incubo degli “early millennials”, turbati per sempre dal suo sorriso sghembo. Se le performance di Heath e Joaquin sono state a prova di statuetta, Nicholson non ha ricevuto nemmeno una candidatura: vergogna (again).
Il colonnello forse più stronzo della storia del cinema. E anche uno dei monologhi da villain (scritto da Aaron Sorkin) più memorabili di sempre. Dài a Jack un bastardo in divisa, e avrai in cambio uno dei momenti più alti della produzione d’autore-pop anni ’90, quasi un pezzo di teatro che lascia muti i comprimari Tom Cruise e Demi Moore (e pure gli spettatori). E che fa guadagnare al suo interprete l’ennesima nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista. Chi l’avrebbe mai detto, eh?
Doppia statuetta per Nicholson e per la sua co-protagonista Helen Hunt, nei panni della cameriera in difficoltà, unica persona in grado di sopportare il protagonista del film. Il nostro infatti è lo scrittore misantropo Melvin Udall, che vive sul filo di una nevrosi costante e che, nonostante i suoi comportamenti da stronzo, Jack riesce a renderci simpatico, con una performance da brividi, tra umorismo e complessità. Il vecchio burbero e brontolone più figo del cinema.
Un Nicholson malinconico, in una riflessione toccante e cupamente ironica sull’invecchiare tra dolore, solitudine e bilanci. Nei panni di un assicuratore in pensione vedovo e solitario, Jack centra uno dei ruoli più sentiti della sua carriera, privo di quegli acuti che l’hanno spesso caratterizzata. E senza mai smettere di gigioneggiare. Trovatene un altro che lo sappia fare.
Poteva essere un dimenticabile film di Nancy Meyers. E invece, nelle mani di Jack e Diane Keaton, diventa una tenera commedia romantica con una chimica pazzesca tra i due protagonisti. Nicholson è un dongiovanni ormai passatello che frequenta solo donne più giovani di lui. Un altro personaggio che sarebbe facilissimo da odiare, come lo scrittore di Qualcosa è cambiato, se non fosse per quella extra dose di fascino guascone e coolness che ci mette Nicholson. Sardonico as usual, ma pure vulnerabile davanti a Diane. Meravigliosi.
L’ultimo grande ruolo del vecchio Jack, almeno finora. Quella nei panni di Frank Costello, il boss ispirato a Whitey Bulger, è una delle performance più incredibili del film e anche una delle più ingiustamente trascurate. É il suo criminale carismatico e psicotico a far davvero partire l’azione del thriller di Scorsese. Ed è tutto calcolatissimo, anche le esplosioni di violenza, di volgarità e di gioia perversa. Best scene: la sequenza in cui parla con DiCaprio della talpa nel suo clan. Mostruoso. E pronto a passare la palla alla prossima generazione, ma non prima di aver confermato come come lui ce ne sono pochi. Anzi, nessuno.
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