I racconti dei nonni hanno un fascino irresistibile quando si è bambini. “Quando ero giovane…”, e sappiamo che rimarremo incollati alla sedia ad ascoltare. Per Flora Monti, una tra le più giovani staffette partigiane della Resistenza Italiana, è stata la stessa cosa. Anche lei da bambina ha ascoltato a lungo i racconti di suo nonno, ma non è rimasta seduta, si è alzata e ha iniziato a camminare, anzi, a correre. «Sono cresciuta ascoltando tutte le cose orribili che i fascisti hanno fatto a mio nonno, lo hanno massacrato di botte e lasciato in un fosso. L’ha trovato un ragazzo la mattina successiva. Un’altra volta l’hanno fatto camminare sui vetri rotti e sui ricci delle castagne. Tutte quelle storie sono entrate dentro di me. Dopo l’8 settembre, i partigiani hanno iniziato a salire sulle montagne, non sapevamo nulla dei miei fratelli che erano a combattere e con i loro abiti vestivamo quelli ancora in divisa, che veniva bruciata nel fuoco. Poi tutti quei ragazzi hanno dato vita alla 66esima brigata “Jacchia” e, quando il comandante mi ha chiesto di fare la staffetta, ho accettato». Così, a soli 12 anni, Flora ha iniziato a lottare contro il nazifascismo consegnando messaggi per le brigate partigiane nascoste nell’Appennino tosco-emiliano.
Martina De Polo ha deciso di raccontare la storia di questa giovane staffetta con un docu-film, Flora: «A livello produttivo è stato molto impegnativo perché è un lavoro di quattro anni fatto di ricerca, scrittura, ideazione, realizzazione della sceneggiatura, preparazione del set, riprese e post-produzione, che abbiamo curato quasi interamente io e il mio coautore Alex Scorza. Quindi ha impegnato le nostre vite per molto tempo e assorbito molte energie».
Arrivato nelle sale il 21 aprile (con un’accoglienza commovente per l’anteprima al Modernissimo di Bologna), il film è stato presentato al Bifest lo scorso marzo. Per realizzarlo, De Polo ha mescolato realtà e finzione. La regista è partita da un’intervista in studio e poi ha aggiunto ricostruzioni storiche e proiezioni di immagini, alcune recuperate dall’archivio storico dell’UNICEF. «Ho deciso di raccontare la storia di Flora per tre elementi principali», spiega. «Il primo è che è una storia di antifascismo e credo che, ora come ora, di storie come queste ce ne sia bisogno come l’aria. Ma è anche la storia di una donna antifascista che dimostra come le donne siano stare fondamentali per la Resistenza, senza di loro non ci sarebbe stata. Inoltre è la storia di una bambina che decide di mettere a repentaglio la sua vita per un bene superiore, quello collettivo. E quindi i grandi eroi della Storia non sono solo quelli celebrati dalla storiografia classica, ma una moltitudine di figure come una ragazzina di Monterenzio».
Nella pellicola la voce narrante di Flora infatti è una costante che guida gli spettatori tra i ricordi di quando era staffetta. «Ci sono stati dei momenti di paura, mi fermavo un po’ e aspettavo. Poi la paura passava e mi dicevo: “Devo farlo”».
Anche se sono passati molti anni, Flora ricorda perfettamente quel periodo e l’importanza che ha avuto il suo contributo per la Resistenza Italiana. La maggior parte delle staffette era composta da donne, poco sospette e più libere di muoversi, o da ragazzini molto giovani esentati sia dal servizio militare che dai rastrellamenti. Tra gli episodi più importanti, Flora ricorda quello della passeggiata in montagna che salvò la 66esima brigata. «Mentre camminavo per andare a vedere se c’era dell’acqua per abbeverare le mucche, mi sono fermata a osservare verso Bologna. Guardo giù e vedo da Ca’ Merla una fila di muli che stava salendo attraverso una stradina nascosta. Ho capito subito che erano soldati tedeschi, volevano arrivare a Sant’Anna dove erano rifugiate due brigate, la 62esima e la 66esima. Sono partita di corsa e li ho avvisati in tempo. C’è stata una battaglia molto pesante in cui fu ucciso anche un partigiano, ma se non li avessi preparati i tedeschi avrebbero fatto una strage».
«Uno dei momenti più toccanti della vicenda di Flora è sicuramente quando ci ha raccontato di una delle tante perquisizioni che ha subìto nel bosco, di sera, da sola», ricorda Martina. «Due nazisti e un fascista la costringono a spogliarsi, lei rimane con addosso solo le mutandine e la canottiera. Ha il bigliettino nascosto nella scarpa. Si vede ormai vicina alla morte e durante l’intervista rivive con noi quei momenti di terrore. È stato un momento molto empatico in cui tutta la troupe era con lei in quegli istanti nel bosco, nei suoi ricordi. Siamo stati tutti molto scossi dalla sua testimonianza».
Non c’è solo la voce di Flora ad accompagnare le immagini, ma anche Staffette in bicicletta (2023) di Vinicio Capossela feat. Mara Redeghieri. “Come l’aria quando corre in bicicletta / Questa è la libertà: azione e responsabilità“, canta il poeta-cantautore che ha donato il suo brano al film per celebrare al meglio il ruolo fondamentale delle donne nella Liberazione e il valore di ogni più piccolo gesto nella lotta al male. Questo film è dedicato a tutte quei ragazzi, bambini, bambine e donne che hanno rischiato la loro vita per aiutare le brigate partigiane a comunicare.