La Storia sarebbe uno di quei romanzi intraducibili con e per altri mezzi, per via soprattutto di quella lingua magica che Elsa Morante piega, allarga, inventa, soprattutto nelle pagine di quel libro lì, quella lingua che le immagini come diavolo fanno a conservarla. La pratica sconfessa la teoria e, dopo cinquant’anni e già un adattamento tv (1986, regia di Luigi Comencini, protagonista Claudia Cardinale), ecco questa nuova Storia per la Rai, che fa bene alla Rai.
Arriva pochi giorni dopo il settantesimo compleanno della tv italiana questa cosa che è un discorso di lingua. La lingua di Elsa Morante che resta: l’italiano pulito della maestra Ida Ramundo, il vocio popolare tutt’attorno, e – ma abbiamo appena cominciato a sentirlo, alla fine della seconda puntata – il grammelot di Useppe (e come hanno fatto a scovare un bambino così sputato all’immagine che abbiamo nella testa da quand’eravamo ragazzini è un’altra magia). E insieme la lingua, la grammatica, dello sceneggiato Rai classico, che non è modernizzata ma anzi omaggiata, perché decenni dopo è ancora capace di dire meglio le cose.
Smettiamola di dire, in generale, che le opere di ieri parlano di oggi, là dove le opere passate sono sempre di un tempo bellissimo e l’oggi cupo e tremendo. Era cupo e tremendo anche allora, per le donne anche di più, altrimenti non sarebbe stato scritto La Storia, e non avrebbe fatto scandalo, ed Elsa Morante non sarebbe diventata una voce intellettuale insieme così autorevole e così incomoda. Ma certo rimangono lampi di un’attualità che sembra tristemente esente da qualsivoglia aggiornamento: la violenza sulle donne (Ida, che cerca di nascondere il suo essere ebrea nella Roma della guerra fascista, resta incinta di Useppe per lo stupro subìto da un soldatino tedesco), ma soprattutto il posto sempre laterale che le donne sono costrette a occupare, nella Storia appunto; ma anche l’orrore della guerra, delle guerre, dei bambini sottratti alle madri dalla polvere delle macerie; ma anche il saluto romano come fede, o atto di goliardia, o semplice automatismo, lo rivediamo nelle cronache quotidiane di oggi.
Francesca Archibugi è una regista che sa far parlare i libri per immagini, mettendo sullo schermo quelle che nei libri ci sono già e trovando un’estetica nuova e sua, e sbrogliando, di quei libri, la complessità, da Con gli occhi chiusi a Il colibrì. Stavolta il lavoro di (ri)scrittura l’ha fatto insieme a compagni eccezionali, il fido Francesco Piccolo più Ilaria Macchia e Giulia Calenda, che mettono voci e registri diversi in quello che vuole essere un racconto davvero per tutti: il dramma, la divulgazione, pure una certa ironia, soprattutto quel gusto per la classicità del nostro narrare che al cinema usa poco o forse non più (il successo di C’è ancora domani smentisce in parte questa tesi, anche se lì la voglia di agganciarsi alla conversazione di oggi è più evidente). E il lavoro di (ri)costruzione del mondo immaginato da Morante, invece, l’ha fatto affiancata da titani del comparto tecnico-artistico: le luci di Luca Bigazzi, i tagli di Esmeralda Calabria, le note di Battista Lena.
Ma la vera forza centripeta di questa nuova Storia, quella che detta il movimento narrativo, emotivo, umano, è Jasmine Trinca, che, in testa a un cast magnifico senza mai strafare (tra gli altri la roccia Valerio Mastandrea, l’esordiente Francesco Zenga, caratteriste sempre poco riconosciute come Giselda Volodi), rende il suo tributo a Elsa Morante con la sua prova forse più bella e certamente più appassionata, anche questa sospesa tra iconografia classica (proprio come nel prologo di Nuovo Olimpo di Özpetek, di tanto in tanto sembra di vedere un’Alida Valli o una di quelle dive di quel cinema lì) e piena maturità del suo percorso d’attrice adesso e qui. Resterà nel tempo l’immagine di Ida/Jasmine che si nasconde, cammina spedita lungo i muri, appiccica un sorriso sul viso aggrottato.
Arriverà tutta la storia della Storia, chi l’ha letto lo sa. Arriveranno Elio Germano, Asia Argento, Lorenzo Zurzolo. Aspetteremo i prossimi lunedì sera. Ci siamo troppo soffermati, in questi mesi, su quello che nella Rai non va. Ringraziamo che c’è La Storia, sarà un bel gennaio davanti alla tv, come settant’anni fa.