Rolling Stone Italia

La versione di Pamela Anderson: «Mi è sembrato uno stupro»

Nel documentario di Netflix 'Pamela: A Love Story', l'icona degli anni '90 racconta in prima persona la sua storia, comprese le conseguenze del sex tape e quello che pensa della miniserie 'Pam & Tommy'

Foto: Netflix

Negli ultimi anni il regno del documentario è stato il luogo di rivalutazioni culturali di donne celebri distrutte dalle mani invisibili della misoginia. Una serie di documentari e articoli investigativi su Britney Spears, insieme al movimento #FreeBritney avviato dai fan, ha portato alla fine della crudele conservatorship della superstar del pop. Un documentario su Janet Jackson ha rivalutato il suo inconcepibile castigo sulla scia di quell’incidente al suo guardaroba del Super Bowl, mentre una docuserie in due parti al Sundance di quest’anno ha esaminato la nauseante sessualizzazione infantile e la mercificazione di Brooke Shields.

Netflix sta ora facendo luce sul trattamento riservato all’icona degli anni ’90 Pamela Anderson in Pamela: A Love Story, che ha debuttato il 31 gennaio, lo stesso giorno in cui è uscito il suo memoir Love, Pamela. Diretto da Ryan White (The Keepers), il doc è una sorta di rettifica che consente ad Anderson di raccontare agli spettatori la sua vita in prima persona. Pam ricorda i suoi primi anni di vita nelle zone rurali del Canada, che includono diversi episodi oscuri (è stata molestata dalla sua babysitter e violentata dal fratello maggiore del fidanzato della sua amica, che aveva 25 anni quando lei ne aveva 12), e com’è stata scoperta sul maxischermo a una partita della BC Lions Canadian Football League. La sua storia racchiude l’ascesa a Playboy, il successo con Baywatch, l’attivismo per i diritti degli animali e il ruolo del riscatto di Roxie Hart nel musical di Broadway Chicago. L’approccio diaristico, con Anderson che a volte racconta pagine della sua infanzia e dell’età adulta, e la sensazione di essere mosche nella stanza gli conferiscono un’intimità che di solito manca in prodotti del genere.

Uno dei maggiori focus del documentario, ovviamente, è il VHS trapelato di Anderson e del suo marito di allora, il batterista dei Mötley Crüe Tommy Lee, impegnati a fare sesso a bordo di uno yacht e non solo. È stato il primo sex tape starring una celebrità a diventare mega-virale online e ha trasformato Anderson in una barzelletta per i media. Le scene di Matt Lauer, Howard Stern e Jay Leno che la punzecchiano a proposito del video fanno venire la nausea. Anderson sostiene che i nastri sono stati “rubati” da casa loro e che la fuga di notizie ha rovinato non solo la sua carriera, ma anche la sua credibilità agli occhi del pubblico.

«Mi è sembrato che anche questo avesse rafforzato l’immagine da cartone animato. Diventi una caricatura», afferma nel film. «Penso che sia stato il deterioramento di qualunque immagine avessi. A quel punto sapevo che la mia carriera era finita».

Come racconta Anderson, che ora ha 55 anni, lei e Lee avevano appena avuto un bambino e stavano costruendo la loro nuova casa da sei mesi, quando qualcuno – ancora non sa esattamente chi – ha rubato la cassaforte di lui, anche se era delle «dimensioni di un frigorifero» e nascosta dietro una parete ricoperta di moquette. La cassaforte era piena delle armi e dei ricordi personali di Lee, oltre a una serie di nastri in cui cazzeggiavano e se la spassavano davanti alla telecamera durante la loro fase di luna di miele. I nastri sono stati poi uniti insieme, in modo da dare l’impressione di essere un sex tape anziché una serie di momenti personali.

«Un giorno abbiamo ricevuto qualcosa per posta. Era avvolto in una carta marroncina. Tommy l’ha aperto. Era un VHS», ricorda Anderson. «Tommy mi ha detto di andare di sopra, e l’ha guardato. Io non l’ho visto, non l’ho mai visto. Più tardi, è salito e ha detto: “Ti sconvolgerà, è una registrazione di noi due che facciamo sesso”».

Il fondatore di Penthouse Bob Guccione si era offerto di acquistare i diritti del nastro per 5 milioni di dollari in contanti, ma Anderson e Lee hanno risposto: «Vaffanculo, restituiscici i nostri nastri». Sfortunatamente erano gli anni Novanta e Internet era appena arrivato. Il sex tape non solo si è diffuso a macchia d’olio, ma è stato anche prodotto in serie da Seth Warshavsky di Internet Entertainment Group (IEG), che ha distribuito il video senza il consenso della coppia.

«È stato rubato da casa nostra», spiega Pamela. «Non esiste che qualcuno possa rubare qualcosa da casa tua e venderlo al mondo intero».

Anderson e Lee finirono per citare in giudizio Warshavksy e IEG per la vendita del nastro, in quello che all’epoca era un importante caso di diritto alla privacy. Durante il processo, Anderson era incinta e temeva che lo stress avrebbe influito sulla salute del suo bambino, dal momento che aveva già subìto un aborto spontaneo. Questo però non ha impedito ai legali della parte avversaria di farla a pezzi in tribunale, in modo particolarmente misogino.

«Gli avvocati sostanzialmente hanno detto: “Sei su Playboy. Non hai diritto alla privacy”», ricorda Pam. «Mi chiedevano della mia vita sessuale. E continuavo a pensare: “Come faccio a farmi interrogare sulla mia sessualità, sulle mie preferenze, sulle parti del mio corpo e su dove mi piace fare l’amore quando parliamo di una proprietà rubata?”. Mi faceva sentire una donna orribile, ero solo un pezzo di carne. Questo non dovrebbe significare nulla per me perché sono una puttana, fondamentalmente».

Pamela Anderson con il suo cane nel documentario. Foto: Netflix

E continua: «Mi è sembrato uno stupro. Non voglio tirare fuori qualcosa di veramente pesante della mia infanzia, ma quando sono stata attaccata da questo ragazzo, ho pensato che tutti lo sapessero. E quando il nastro è stato rubato, mi sembrava la stessa cosa. Le deposizioni sono state così brutali. Ricordo di averli guardati pensando: “Perché mi odiano così tanto? Perché questi uomini mi odiano così tanto?!”».

Alla fine, per proteggere la salute del loro futuro bambino e sollevare Anderson da quel trattamento infernale, la coppia ha accettato di chiudere il caso, anche se Pamela afferma: «Non ci abbiamo mai guadagnato un centesimo. E odio quando la gente dice che abbiamo fatto un accordo. Non è mai successo, abbiamo detto a tutti di sparire. Non è possibile dare un valore al dolore e alla sofferenza che hanno causato».

Mentre discute della saga del sex tape e del suo successivo trattamento da parte dei media, Anderson è visibilmente scossa. Dice ai produttori che non si sente molto bene e fa una passeggiata per schiarirsi le idee.

L’intera faccenda però è tornata in auge con Pam & Tommy, una miniserie prodotta da Seth Rogen, con Lily James nei panni di Anderson e Sebastian Stan in quelli di Lee, che racconta non solo la loro storia d’amore, ma anche il furto e la produzione di massa del sex tape. La vediamo nel documentario alle prese con l’uscita della serie in tempo reale: «Mi fa davvero venire gli incubi, stanotte non ho dormito per niente. Non ho alcun desiderio di guardarla», afferma. «Non la vedrò. Non ho mai guardato il nastro e non guarderò questa serie. Chissà come rappresenteranno tutto. Nessuno sa cosa stavamo passando in quel momento. Avrebbero dovuto avere il mio permesso». E continua: «Mi sembra di ritornare a quando il video è stato rubato. Fondamentalmente sei solo una cosa di proprietà del mondo, appartieni a loro. Mi sento come se… ignorali. Lascia perdere».

Da Rolling Stone USA

Iscriviti