Alla Mostra del Cinema capita di vedere, tanti, tantissimi film, anche una quarantina in dieci giorni. Film che non stai nella pelle, film che invece avresti volentieri evitato. E poi ci sono le sorprese, storie che non ti aspetti, che sono rimaste nascoste per 50 anni. E che ora la regista Wilma Labate porta alla luce, senza togliere un briciolo della loro verve toscana alle sue protagoniste.
Arrivederci Saigon racconta la vicenda incredibile e assurda di Rossella, Viviana, Daniela, Franca e Manuela, ragazze beat degli anni Sessanta, tutte originarie della provincia operaia, quella delle acciaierie di Piombino, del porto di Livorno e delle fabbriche Piaggio di Pontedera. Nel 1967 formano una poche girl band italiane dell’epoca, le Stars, e l’anno dopo ricevono l’offerta di una tournée in Estremo Oriente tra Manila, Hong Kong, Singapore…ma si ritrovano in guerra, quella del Vietnam. «Ho conosciuto la loro storia grazie allo scrittore Giampaolo Simi, con cui poi ho scritto il soggetto» spiega la regista Wilma Labate «Quando me ne ha parlato siamo impazziti e abbiamo capito che era fortissima. Non ho più mollato queste signore per 4 o 5 anni, finché ho avuto modo di realizzare il film, grazie al fatto che quest’anno è il cinquantenario del ’68».
Le Stars non hanno mai preso un aereo e parlano un inglese stentato. A Manila scoprono la verità: il loro impresario ha stipulato un accordo con un ambiguo intermediario filippino, la loro vera destinazione è il Vietnam del Sud dove suoneranno per i soldati americani nelle basi militari. Non avere neanche vent’anni e trovarsi dalla parte sbagliata della Storia, senza nemmeno rendersene conto: «È stata l’esperienza più bella della mia vita, ma ovviamente là ero spaventata, giovane, mi sono dovuta fare parecchio coraggio» racconta Rossella Canaccini, la voce del gruppo.
Le ragazze conoscono la guerra e i giovani americani costretti a combatterla, a volte senza capirla. Imparano a suonare il soul, la musica dell’anima tanto amata dai soldati neri. È soprattutto per loro, per i giovani afroamericani che affollano le prime linee più dei bianchi, che le Stars si esibiscono durante la surreale tournée in Vietnam. «Cantavamo per loro la mattina alle 8, erano ragazzi di 20 anni, ci chiedevano James Brown e Aretha Franklin, poi si alzavano a gruppetti piangendo, perché andavano nella giungla a combattere» ricorda Viviana Tacchella, che era la più grande della band: «Al ritorno tutti ci parlavano di politica, ma a noi non fregava nulla: Noi quei giovani li abbiamo visti soffrire, li abbiamo amati, anche se erano lì per una guerra sbagliata».
Già, perché tornate a casa da quell’esperienza assurda, nella provincia rossa, le Stars vengono messe sotto processo e criticate: chi ha suonato per gli yankees non merita comprensione. «Ci chiedevano perché eravamo andate nel Sud e non nel Nord, come Joan Baez e gli altri. Ma io non sapevo nemmeno che esistessero un Sud e un Nord. Mi dicevano: “Vieni da una famiglia comunista, con il babbo morto partigiano, come ti sei permessa?”» continua Viviana. E così quella storia è rimasta nascosta per cinquant’anni: «Ci si vergognava di essere andate là, vivevamo la cosa quasi come una colpa», ma finalmente ora è arrivata la rivincita: «È bello poter raccontare tutto».
«Ovviamente il Partito Comunista ha sbagliato a metterle sotto processo, non si sono resi conto che erano 5 ragazzine inconsapevoli» afferma la regista «Il movimento studentesco però era un’altra cosa, avrebbero potuto capirsi attraverso la musica. Ma la rigidità ha cancellato anche il fatto che le Stars fossero molto avanti e che il soul potesse diventare uno strumento di comunicazione».