Atlanta è la miglior commedia della tv? O il miglior dramma? La miglior saga familiare sulle difficoltà della paternità? La crime story più divertente in assoluto? Uno show per fattoni depressi? La lettera d’amore più anti-romantica mai scritta a una città? Un bollettino politico assurdo, il racconto di come nell’America nera la necessità del lavoro può soffocare tutte le altre? Donald Glover ha alzato l’asticella del suo show, che riesce a essere tutte queste cose contemporaneamente, e anche di più. Non è strano pensare che potrebbe essere “la miglior serie tv del mondo”.
Atlanta è l’invenzione definitiva di Glover – protagonista nel ruolo di Earnest “Earn” Marks, un ragazzo che è andato a Princeton, si è ritirato ed è tornato a casa, ad Atlanta, ferito e disperato. Ora cerca di cavarsela tenendo d’occhio il cugino Alfred, un rapper che si fa chiamare Paper Boi (il superbo Brian Tyree Henry).
Earn non ha un attimo di riposo, non importa cosa stia facendo – tutto il mondo gli crolla addosso sia quando cerca di prendere sonno in un magazzino che quando vuole fare la bella vita in uno strip club. Ha un figlio con la sua fidanzata (a intermittenza) Vanessa, ma sente di essere un fallito in entrambi i ruoli, padre e uomo. E tutta la città si è oscurata attorno a lui: è un epoca in cui il tasso di criminalità è alle stelle, tutti hanno bisogno di soldi prima che arrivi Natale.
La nuova stagione della serie segue la tradizione dei “secondi dischi” dell’hip hop, come De La Soul Is Dead o Late Registration di Kanye: se la prima stagione era tutta un ribollire di energia creativa, eccentrica ma per tutti i gusti, la seconda sterza di botto verso un’orizzonte cupo. Glover la definisce come “il Twin Peaks dei rapper”, e con i nuovi episodi è davvero entrato nella Loggia Nera.
Ci sono momenti ad altissima tensione, e la violenza è nell’aria; i conflitti emotivi sono sempre più crudeli. Paper Boi è diventato una superstar del ghetto, ma arrivare alla notorietà significa convivere con tante cose diverse. In una scena perfetta fissa lo schermo del suo telefono, guarda con orrore una ragazza bianca di provincia, Amber, mentre canta la sua versione di Paper Boi. «Una cover acustica di un pezzo rap», spiega Darius. «Le bianche vanno pazze per quella merda».
C’è sempre quell’ironia da fattoni, quelle domande “da parcheggio”, e se Glover volesse potrebbe fare un’intera serie con momenti del genere. Ma dopo aver visto il risultato delle assurdità del primo giro di episodi, ha deciso di puntare ancora più in alto. C’è un momento in cui ascolta qualcuno mentre parla di un certo cartone animato con protagonista un uomo-cavallo: «Non fraintendermi, è uno show divertente. Ma hai visto quanto parlano di depressione… e quello che ha fatto alla bambina, come faccio ad avere ancora pietà per quel tizio cavallo?».
Esattamente come BoJack, Earn combatte contro la sua depressione, ma allo stesso tempo deve scendere a patti con quella che avvolge tutta la sua città. È sospeso tra mondi diversi e non si sente a casa in nessuno di questi.
Adesso è ufficiale: Donald Glover ha la carriera più strana del secolo. Si è preso il centro della scena agli ultimi Grammy, il suo alter-ego Childish Gambino era nominato in cinque categorie. Ha vinto con Redbone, sì, ma è stata la performance dal vivo con la sua band a conquistare tutto il pubblico. Nel frattempo ha una serie dal successo incredibile, e i suoi sono tutti prodotti autoriali senza compromessi. Nel tempo libero fa Il Re Leone con Beyoncé. Sono tantissimi gli artisti che hanno provato a combinare il successo televisivo con quello della musica, ma Glover ci è riuscito rifiutando di seguire regole, assecondando i suoi impulsi più eccentrici e con tutto il coraggio che serve per accettare un ruolo come quello di Lando Calrissian in Star Wars.
La maggior parte di noi si è innamorata di lui guardando in Community, ma oggi quella (grande) serie non è nemmeno nella top 10 dei momenti migliori della sua carriera. Ma le tensioni accennate nell’interpretazione di Troy – il fissato con la fantascienza dello show di Dan Harmon – esplodono definitivamente in Atlanta – il rapporto con la sua città natale, così come quello con la famiglia, è fonte di rabbia creativa e di dolore. E Glover è sempre più coraggioso, sempre più ambizioso. Il meglio deve ancora venire.