Non è la prima volta che succede, ma resta comunque una cosa piuttosto rara: Marco Bellocchio aveva usato il suo profilo Instagram per esprimere il suo apprezzamento per Gloria!, l’opera prima di Margherita Vicario. Ora fa lo stesso con Il tempo che ci vuole, il film di Francesca Comencini che racconta il rapporto tra lei e il padre Luigi (prodotto dalla Kavac Film del regista piacentino), interpretati rispettivamente da Romana Maggiora Vergano e Fabrizio Gifuni. Il cineasta piacentino che con i due attori sta girando Portobello, la serie su Enzo Tortora, ha condiviso le sue riflessioni più intime e ha rivelato la ragione per cui la pellicola l’ha toccato in maniera così personale: “In queste settimane seguendo da lontano per ragioni di lavoro il film di Francesca Comencini Il tempo che ci vuole (che invece avevo seguito molto da vicino in tutte le sue fasi di lavorazione) ho capito perché l’ho amato così profondamente. Un altro perché”, scrive Bellocchio.
“Perché Il tempo che ci vuole dà una risposta, a me personalmente, che nella mia vita non ho saputo dare. Nel film di Francesca il padre sa rispondere alla figlia mentre io non ho saputo rispondere a mio fratello gemello. E così la figlia si salva, mio fratello si uccide. È terribilmente semplice. Il padre, pur malato, si è opposto alla figlia che voleva uccidersi amandola, agendo nei fatti. Io non ho agito, non sono intervenuto per una mancanza di amore (con tutte le scusanti, questo ora non mi interessa). Perciò la geniale tragica risposta di mio fratello: “Marx può aspettare”. Il padre ha resistito all’odio della figlia, non l’ha affidata a una comunità, non l’ha fatta rinchiudere, non ha pagato uno psichiatra, le ha detto semplicemente: stai con me, non ti mollo più neanche un istante. E la figlia di fronte a una determinazione così affettuosa e severa (e priva di qualsiasi teatralità) si arrende e si salva. È un movimento raro senza ragionamenti che Francesca Comencini ha saputo rappresentare con originalità”, continua il regista.
“Ho visto tanti film nella mia lunga vita col lieto fine (nella mia giovinezza il lieto fine era sinonimo di falsità, di retorica. Una forma di propaganda di chi comandava. Il film doveva finire bene. La speranza, la positività ecc. ecc.). E Il tempo che ci vuole finisce bene ma è vero, è bello, non ha nessuna retorica. Ed è (miracolosamente?) positivo. Riabilita, ma non è il solo film che lo fa, il ‘buon messaggio'”.
Ecco il post di Bellocchio:
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