Questo nuovo mondo hi-tech in cui viviamo è un posto spaventoso e affascinante, e non c’è nessuno show in tv o altro prodotto di fiction in grado di descriverlo così lucidamente come Black Mirror. La terza stagione della serie britannica creata da Charlie Brooker si sposta su Netflix per una terza stagione di sei episodi (altri sei sono in programma), che quasi raddoppiano in un colpo solo il numero di quelli usciti fino a oggi.
In fondo a ogni storia raccontata da Black Mirror c’è sempre una deriva aberrante del nostro progresso, quello che potrebbe succedere tra qualche anno (o tra qualche giorno) se non teniamo gli occhi aperti, se ci affidiamo ciecamente a una tecnologia che cresce a ritmo esponenziale, e non intende certo aspettare noi, che fino all’altroieri stavamo nelle caverne (evolutivamente parlando). Non aspettatevi però un tono moraleggiante o deprimente: Black Mirror è prima di tutto una satira, e anche nei momenti più drammatici o sgradevoli riesce a strappare una risata. È il caso di Zitto e balla, uno dei nuovi episodi, in cui due sconosciuti (uno dei quali interpretato dal grande Jerome Flynn del Trono di spade), entrambi vittime di un pesante ricatto online, si ritrovano insieme in un assurdo road trip con la speranza di salvare la propria reputazione (secondo voi ci riusciranno?).
Anche Caduta libera parte in un modo sinistro, con il ritratto da incubo di una giovane donna (la bravissima Bryce Dallas Howard, visibilmente ingrassata per la parte) ossessionata dal proprio ranking di popolarità su una piattaforma simile a Facebook. La sua ascesa sociale, sotto forma del matrimonio della (falsa) migliore amica, reginetta dei social, trasforma però una distopia sci-fi un po’ fredda in una specie di commedia amara dal finale decisamente liberatorio.
L’unica vera differenza tra questo ritorno targato Netflix e le prime due serie di Black Mirror è che qui si intravede un po’ di luce. È quello che succede anche in San Junipero, che racconta la storia d’amore estiva tra due giovani ragazze (Gugu Mbatha-Raw e la sempre fichissima Mackenzie Davis di Halt and Catch Fire) che continuano a incontrarsi nel tempo grazie a un programma per vivere nei ricordi. Oltre a essere uno degli episodi più riusciti, è anche l’unico che ha una sorta di finale felice – a seconda dei punti di vista.
Certo, Black Mirror continua a dover fare i conti con l’eredità del formidabile The National Anthem, il primissimo episodio del 2011, quello che conosce anche chi non ha mai visto la serie: in cui il Primo ministro d’Inghilterra è obbligato da un presunto terrorista a fare sesso con un maiale in diretta tv (poi si scoprirà che non si trattava d’altro che la definitiva performance di un artista). L’episodio che in questa terza serie si avvicina di più a quel capolavoro è Odio universale, l’unico lungometraggio, che parte come un’interessante indagine criminale su alcuni delitti collegati a fenomeni di linciaggio su Twitter, ma poi mixa in un modo troppo brusco l’ottimo realismo (che era il vero punto di forza di The National Anthem) con atmosfere a metà tra Hitchcock e i B-movie di horror naturale.
Fino a oggi il vantaggio di questa serie è stato quello di sapersi e potersi dosare, anche grazie alla sinteticità delle produzioni britanniche. Già in questi sei nuovi episodi un po’ di ripetizioni di temi e di situazioni inizia a mostrarsi, per quanto alla fine siano sempre salvati dalla qualità dei dialoghi. Se ci fossero in giro molte altre serie che ci spingono a guardare il mondo con occhi nuovi, potremmo anche lamentarci. Ma appunto, solo Black Mirror può permettersi di assomigliare a Black Mirror, e questo dice già abbastanza.