Il nuovo numero di T Magazine, il mensile del New York Times, esce con 6 copertine speciali e altrettante super interviste. Una di queste è dedicata a Quentin Tarantino, che per l’occasione è stato intervistato da Bret Easton Ellis, icona della letteratura americana ora votata al cinema.
Ellis racconta l’incontro con Tarantino nella sua casa di Hollywood Hills a fine agosto, dove tra un bicchiere di vino rosso e l’altro (e a riguardo Tarantino dice, «Bette Davis sosteneva che chiunque faccia un’intervista mentre beve alcolici è un pazzo. Quando l’ho letto, ho pensato, ‘Oh mio Dio, ha ragione! Cos’ho fatto per tutta la mia carriera?’») ha parlato a ruota libera del cinema contemporaneo e si è tolto qualche sassolino dalla scarpa.
Dei suoi colleghi ha dato qualche breve (ed elegante) opinione: non ama molto i film di David Fincher, ma dopo averli visti «continuo a pensarci per settimane”; non è mai stato fan di Wes Anderson ma è rimasto piacevolmente colpito da Grand Budapest Hotel; di Judd Apatow sostiene che “Il suo pubblico diventa sempre più piccolo mentre io credo che lui diventi sempre meglio.»
Del nuovo film Hateful Eight in uscita a Natale negli USA, Tarantino parla dei costi: «Abbiamo speso qualcosa come 60 milioni di dollari, più di quanto volevo spendere, perché abbiamo avuto problemi con il clima» e aggiunge ridendo, «e poi volevo farlo bene.»
Si lascia andare anche a riflessioni riguardanti i suoi ultimi due blockbuster, Bastardi Senza Gloria e Django Unchained. Confessa la delusione per non aver vinto la tripletta degli Oscar nel 2010 (regia, sceneggiatura, film) con il primo, portata a casa da The Hurt Locker: «Mi ha dato fastidio che Mark Boal abbia vinto miglior sceneggiatura per quel film.» Riguardo a Django, Tarantino si è stupito della reazione violenta di parte della critica afroamericana (nonostante in 20 anni di carriera abbia raccontato spesso storie intrise di cultura nera), «Era da tanto che il colore della pelle di un autore non era menzionato così spesso come è stato nel mio caso. Non ti verrebbe mai da pensare che il colore delle pelle dell’autore abbia un effetto sulle sue parole.»
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