Ieri è iniziata l’avventura del cantautore calabrese Dario Brunori, meglio conosciuto come Brunori Sas, nello sfavillante mondo della televisione di seconda serata targata Rai3. La trasmissione ha la pretesa di regalare allo spettatore uno show “alto” in cui ironia, poesia, musica e cultura si fondono al servizio (pubblico) di un prodotto intelligente.
Le premesse ci sono tutte, ma la trasmissione parte con un grossissimo handicap: Cyrano – l’amore fa miracoli, che i miracoli li farà pure, ma servirebbe che Gramellini e la Angiolini (brava, ma che non riesce a contingentare il disastro) andassero in ginocchio al Divino Amore, visto che il programma è di una pesantezza rara, roba che in confronto la trilogia della depressione di Lars von Trier sembra un cinepanettone con Er Cipolla.
Con un traino simile il povero esponente simbolo della nuova scena musicale italica deve faticare. E non poco. Brunori Sa (questo il titolo) centra comunque l’obiettivo. Brunori è autoironico e buffo, con il volto dolce del nerd un po’ sfigato e impacciato, ma di cui ti puoi fidare. Ha gli occhi dello studente fuori sede che arriva nella grande città: spalancati, curiosi e timidi. Brunori è perfetto proprio perché totalmente fuori contesto. Quando fa le domande ai suoi intervistati è come se si chiedesse «Ma io, qui, che cazzo ci faccio?».
Ed è questo il punto forte: lui è così, si presenta per quello che è. Non gli interessa fare il bravo presentatore. Parla al mondo (non solo al popolo indie) nella sua cadenza fieramente calabra e affronta temi e problematiche tanto cari ai giovani quarantenni come lui: salute, casa, lavoro, relazioni e Dio. La ricerca di risposte non fa altro che aumentare le domande, soprattutto in una società liquida, in continuo mutamento.
Nella prima puntata il fulcro è stata la salute, del corpo e della mente. Dalla sua casetta il cantautore filosofeggia e si interroga, poi entra nell’armadio (tipo Doctor Who con la macchina del tempo Tardis) e si ritrova davanti a Carolina Crescentini che (novità delle novità) parla delle sue occhiaie (sì, ancora). A parte questo l’attrice rivendica il diritto di invecchiare che, in un mondo come quello del cinema in cui le interpreti hanno più botox che anima, mi sembra una bella affermazione.
Dopo la Crescentini e le sue occhiaie si passa alle cose irrinunciabili come la sigarettina dopo il caffè. Ed ecco che sbarchiamo davanti a Gianluca, un designer con la passione per i nativi americani che si è travestito dal Grande Capo Estiqaatsi e si definisce il sommelier delle cicche elettroniche. Altro giro altra corsa fino al Teatro dei Pupi di Palermo dove il cantautore Antonio Dimartino parla di musica e famiglia. Poi arriva lo scrittore Francesco Piccolo che ci tranquillizza tutti affermando che la vita non è solo quella dei vent’anni. E che si può rimanere se stessi anche con i figli a carico (ma dai?).
Da Piccolo a Motta è un attimo. Con il cantante pisano si disquisisce su quanto la vecchiaia sia una carogna e sull’importanza di sintetizzare i concetti per essere capiti. Dopo Motta spazio all’associazione la Terra di Piero (tifoso del Cosenza scomparso nel 2011) che crea progetti per la sua città oltre che per i Paesi del terzo mondo. Tutto il programma è puntellato di chicche: dalla citazione di Cast Away con il “personaggio” di Wilson, al colloquio con la statua del filosofo Bernardino Telesio (con la voce di Neri Marcorè) fino alla mamma di Brunori e alle canzoni che creano una playlist niente male.
L’unico neo è il poco tempo. Ci sarebbero tante cose da dire e, per ogni singolo argomento, viene voglia di saperne di più, di approfondire. In un’oretta non si riesce a sviscerare proprio tutto. Ed è un peccato. L’impressione è che questo programma sia come il chinotto Neri o la cedrata Tassoni, hanno un non so che di nostalgico, ma se li trovi al bar non puoi non ordinarli. E questo Brunori (lo) sa.