«Avevo bisogno più di una maschera che di un attore, ed Eastwood a quell’epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello» diceva Sergio Leone. Eppure quelle due espressioni hanno reso Clint Eastwood una star. Più apprezzato dalla critica come regista ma interprete di ruoli iconici, dopo oltre 60 film, di cui quasi 40 diretti, e cinque Oscar (contando anche il Premio alla memoria Irving G. Thalberg) Il texano dagli occhi di ghiaccio (californiano in realtà) è tra i cineasti contemporanei più amati e impegnati politicamente. E oggi che compie 87 anni, e sta preparando la nuova fatica tratta dal libro The 15:17 To Paris: The True Story Of A Terrorist, A Train, And Three American Heroes, vogliamo fargli gli auguri con una doppia classifica: la top five dei suoi best role da attore e le cinque migliori pellicole da regista.
Eastwood Attore
“Il buono, il brutto, il cattivo” di Sergio Leone (1966)
Sergio Leone lo sceglie per interpretare l’Uomo senza nome nella “Trilogia del dollaro” anche perché il suo cachet era piuttosto basso rispetto a quello di altri attori. E Clint accetta perché il contratto comprendeva vitto e alloggio per la moglie: un’occasione insomma per farsi una vacanza in Europa. Il giovane Eastwood ancora non sapeva che quei film lo avrebbero reso una leggenda del cinema: uno su tutti Il buono, il brutto, il cattivo che consegna al mito il personaggio-simbolo dell’attore, quello dell’antieroe di frontiera, il pistolero spietato, e rende immortale una battuta: “Vedi il mondo si divide in due categorie. Chi ha la pistola carica e chi scava. Tu scavi”.
“Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!” di Don Siegel (1971)
Clint Eastwood trasporta il ruolo iconico di antieroe in un’ambientazione moderna, la San Francisco di fine anni ‘60. Nei panni di “Harry la carogna”, un ispettore di polizia concentrato sui risultati piuttosto che sulle norme, dà la caccia a un brutale serial killer, mettendo a segno un altro carattere leggendario in una pietra miliare del genere poliziesco. E pronunciando alcune line entrate nella storia del cinema: “Io so quello che pensi. Ti stai chiedendo se ho sparato sei colpi o solo cinque. Ti dirò che in mezzo a tutta quella baraonda ho perso il conto io stesso. Ma dato che questa è una .44 Magnum, cioè la pistola più precisa del mondo, che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Di’, ne vale la pena?”.
“Fuga da Alcatraz” di Don Siegel (1979)
Ma Clint non funziona solo nella parte del poliziotto. Qui interpreta un rapinatore incarcerato ad Alcatraz che deve studiare un piano per fuggire dalla prigione più sicura al mondo. A otto anni dal primo Callaghan Eastwood ritrova Don Siegel alla regia, che gli scalpella addosso uno dei suoi personaggi più interessanti e belli: il silenzioso, tosto e intelligentissimo Frank Morris.
“Impiccalo più in alto” di Ted Post (1968)
“La prossima volta che impicchi un uomo guardalo in faccia almeno”. Basta probabilmente questa battuta a spiegare la forza di Jed Cooper, l’ex aiuto sceriffo ingiustamente impiccato e lasciato a morire. Salvato da un US Marshall di passaggio, riceve poi l’autorità per catturare i nove uomini che avevano cercato di ucciderlo.
“Nel centro del mirino” di Wolfgang Petersen (1993)
Altro giro, altro poliziotto, altra grande interpretazione: questa volta Eastwood è Frank Horrigan, un agente dei servizi segreti tormentato dai rimorsi in seguito all’omicidio di Kennedy, al quale aveva assistito impotente. Trent’anni dopo, cerca di rifarsi proteggendo il Presidente dalle minacce di un ex assassino della CIA. Da applausi il duello tra Eastwood e John Malkovich.
Eastwood Regista
“Gli spietati” di Clint Eastwood (1992)
Eastwood non vuole perdere l’abitudine e torna a indossare il cappello da cowboy con l’eleganza di sempre. Gli spietati è un western cinico e atipico dove la linea tra eroi e cattivi è più sottile che mai. Un leggendario ex-pistolero rimasto vedovo da poco mantiene i figli gestendo da solo una fattoria. Al culmine della disperazione decide di riprendere in mano le armi e chiama il suo ex partner (nientemeno che Morgan Freeman) per un ultimo lavoro. Nove nomination all’Oscar (tra cui quella per l’attore protagonista), due statuette portate a casa, quelle più “pesanti:” miglior film e miglior regia. E abbiamo detto tutto. Nei titoli di coda Clint inserisce la dedica “A Sergio, a Don” in onore di Leone e Siegel, i due maestri che lo lanciarono.
“Million dollar baby” di Clint Eastwood (2003)
Storia di un allenatore di boxe disilluso e scorbutico (Clint, who else?) che, dopo le resistenze iniziali, accetta di allenare una giovane e grintosa cameriera, determinata a diventare pugile. Il rapporto tra i due cresce fino all’inevitabile tutt’altro che happy ending. Un bellissimo dramma da lacrimuccia assicurata. Sette nomination dell’Academy e quattro Oscar conquistati: ancora una volta Eastwood mette a segno la doppietta miglior film e regia, a cui si aggiunge miglior attrice protagonista (la bravissima Hilary Swank) e attore non protagonista (guarda caso ancora Morgan Freeman).
“Mystic River” di Clint Eastwood (2003)
Quando Clint non si aggiudica un Oscar come minimo lo fa vincere almeno ai suoi attori, nel caso specifico Sean Penn e Tim Robbins. In questo thriller nero che più nero non si può il primo veste i panni di un padre dilaniato dalla barbara uccisione della figlia, il secondo interpreta un amico d’infanzia del protagonista che proprio da lui viene ritenuto colpevole. Il resto lo fanno la sceneggiatura, la messa in scena scarna, gli snodi narrativi raccontati indirettamente e le lunghe inquadrature del fiume Mystic. In altre parole il genio di Clint, insomma.
“Bird” di Clint Eastwood (1988)
Probabilmente dal punto di vista registico è il più grande film di Eastwood, anche se l’Academy l’ha snobbato preferendo quell’anno il più popolare Rain Man. Di fatto è un biopic che racconta la tormentata vita del mitico sassofonista jazz Charlie “Bird” Parker (interpretato da un grandissimo Forest Whitaker), privilegiando l’uomo anziché l’artista e abbandonando l’ordine cronologico per lavorare su accostamenti temporali più liberi. Il risultato è una pellicola cupa e filosofica, rigorosa (come piace a Clint) ma capace di momenti di grande poesia musicale. Eastwood ama il jazz e si vede. Un capolavoro.
“Gran Torino” di Clint Eastwood (2008)
Clint compare per l’ultima volta in un film che dirige e lo fa per interpretare il veterano della guerra di Corea Walt Kowalski. Vedovo, brontolone, indurito dalla vita ma soprattutto razzista l’uomo abita in un vicinato che negli anni, con suo grande disappunto, si è popolato di asiatici. Ma l’incontro con un ragazzino vietnamita lo farà ricredere. Un personaggio sicuramente già visto nel cinema di Eastwood ma non per questo meno facile da dimenticare: “Avete mai fatto caso che ogni tanto si incrocia qualcuno che non va fatto incazzare? Quello sono io!”