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Com’è nata la sequenza di apertura di ‘Baby Driver’

Solo una parola: 'Bellbottoms' dei The Jon Spencer Blues Explosion
baby driver inizio

Edgar Wright era, detto con le sue parole, “un 21enne che viveva nella parte nord di Londra, sul lastrico e disoccupato” nel 1995 quando fu colpito da quella che si può paragonare a una visione quasi religiosa. Il regista stava montando il suo primo film, un omaggio low-budget agli Spaghetti western, ma non aveva idea di cosa volesse fare della sua vita.

E poi ha messo su Bellbottoms, la prima track di Orange, l’album dei The Jon Spencer Blues Explosion, e mentre stava seduto ad ascoltare l’ha vista: una fighissima e carichissima scena d’azione piena di inseguimenti d’auto, perfettamente in synch con l’ode hipster del trio ai jeans degli anni ’70. E non è una coincidenza se Bellbottoms è la prima cosa che sentite in Baby Driver. Ecco quello che ci ha raccontato Wright.

«Voglio dire, era impossibile che quella canzone non fosse nel film. Inizia tutto lì, con quello strano momento di sinestesia – e non è stato nemmeno tipo “Oh, so che questo brano sarà l’apertura di una pellicola”. È stato solo qualcosa che mi è apparso quando ho sentito quel pezzo. Ma negli anni avevo in testa questa sequenza, sapevo che era l’origine di qualcosa, ma non sapevo di cosa.

Poi ho pensato: “E se fosse un driver specializzato in fughe ad ascoltare quella traccia?” Improvvisamente è stato l’inizio di una sorta di action-musical diegetico, che prendeva in prestito quello che amavo dei film di Tarantino, di John Landis, di Scorsese e metteva tutto insieme in un lungometraggio. O American Graffiti, che è stato il primo musical diegetico. È una delle prime pellicole che mi viene in mente in cui la colonna sonora pop non è davvero una colonna sonora – viene da quello che le persone stanno ascoltando sullo schermo.

Quindi sto cercando di capire che cos’ho in mano, e succedono due cose: esce l’IPod e improvvisamente hai quest’evoluzione del Walkman perché, con questo nuovo oggetto tecnologico, puoi ascoltare un brano per ogni singolo momento della tua giornata. E allora mi è venuto in mente: “E se il personaggio desse effettivamente una colonna sonora alla sua vita?”.

A questo punto mi è capitato di leggere Musicophilia di Oliver Sacks, che mi ha fatto tornare in mente il terribile ricordo dell’acufene da bambino. A sette o otto anni avevo questi brutti attacchi di notte, davvero dolorosi. Dovevano siringarmi le orecchie ogni volta. Ma quel libro parla di come le persone usano la musica per annullare il fischio e, ho pensato, “ecco qua. Ecco che cos’ha Baby, ce l’ho fatta”. Ho immaginato la sequenza di Bellbottoms subito dopo».

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