Eccolo, Lenny Belardo: bello, fascinoso, il viso da divo (o da Santo, dipende dai punti di vista), una bocca morbida e un profilo importante. Campeggia sulla copertina de Il peso di Dio, il nuovo libro di Paolo Sorrentino edito da Einaudi. È Jude Law ed è, contemporaneamente, Pio XIII: il papa giovane, il bambino sul soglio pontificio, l’uomo che aspetta solo di crescere. Perché ne Il peso di Dio – e, più in generale, in The Young Pope, la serie tv – è di questo che si parla: di crescita e di umanità, intesa non come genere ma come qualità.
Gli uomini “umani” sono quelli caritatevoli, buoni, quelli che, come prescrive lo stesso Pio, mettono gli altri e non loro stessi al primo posto. E la Chiesa, la religione e la fede sono solo una cornice, talvolta anche uno sfondo, in cui poter raccontare una storia – anzi, ancora meglio: in cui poter raccontare dei personaggi. Paolo Sorrentino, regista, sceneggiatore e scrittore, è interessato a questo: ai sentimenti degli uomini e delle donne, e al percorso, breve, lunghissimo o senza fine, che alcuni di essi intraprendono. E in questo senso Il peso di Dio più che un libro è un viaggio: scorci di papato, di Vaticano; frasi ad effetto e dialoghi intensi e appassionanti.
Chi è Lenny, chi sono Voiello, Suor Mary; chi sono i tanti cardinali che amano, soffrono e che si disperano. Sull’assurda ricercatezza di un significato – contro cui lo stesso Sorrentino si scaglia nella prefazione – prevale un senso assoluto di compiacimento e di musicalità, una costruzione di divi, finti divi, di santi e di eroi. Non fosse Roma, sarebbe Hollywood.
E allora eccolo di nuovo Lenny: inizia il suo percorso come un bambino capriccioso, pieno di dubbi e di incertezze; poi cresce, cambia, perché è materia vivente e perché, in quanto prete, ha il compito di maneggiare il peccato e il dubbio; quindi finalmente si fa uomo – come Dio prima di lui – e accetta la sua missione: la sua vita.
Non c’è nessuna critica alla chiesa, al Vaticano o alla fede, ne Il peso di Dio. È come un vangelo: ricco di citazioni, di rimandi e costruito per momenti. “Preghiamo!”, manca solo questo, l’appello ai fedeli. Ma è pure un romanzo, perché è tutta finzione, e una sceneggiatura, dove il narratore, Sorrentino, accenna solo brevemente, come un pittore impressionista, a scene, ambientazioni e personaggi. Se li vedi, li vedi perché, attraverso le loro parole, acquistano forma, consistenza e credibilità. Voiello sembra verissimo: ti immagini i capelli impomatati, il viso cadente (“come”, dice Sorrentino, “quello di un mastino napoletano”); ti immagini i suoi tre smartphone, le custodie con ‘o Tridente’, come lo chiama lui. E riesci a capirlo. C’è bene e bene e certe volte, per poterlo fare, devi prima peccare.
Il lettore e il mondo della finzione, uniti sottilmente dal fil rouge della fantasia (altro tema che, leggendo con attenzione la prefazione di Sorrentino, torna spesso e prepotente). E quindi com’è, Il peso di Dio (“questo fanno i preti, questo facciamo noi – dice il Cardinale Caltanissetta – diamo peso a Dio!”). È un librettino sottile, poco meno di centotrenta pagine. Eppure al suo interno, tanto brillantemente, si racchiude tutto il senso – che non è il significato – di The Young Pope.
C’è l’uomo Lenny Belardo, e c’è pure l’uomo Sorrentino: la passione, comune a protagonista e a scrittore, per la musica elettronica (“prende il sopravvento un’altra stazione FM”, proprio all’inizio del libro, “che diffonde una cupa musica elettronica di un dee-jay che si chiama Trentemøller”. “Lenny ha un rapido ripensamento […]” e sul suo viso, impercettibilmente, “compare una velata forma di piacere”); e il senso di inadeguatezza e di costante ricerca, religiosa per uno, artistica per l’altro, nello stare al mondo.
Alla fine il Papa si fa uomo, Dio si fa amore, libertà e quindi sinonimo di vita. E la fede diventa il modo in cui scegliamo di vivere.