David Lynch ha lavorato insieme alla stilista Stella McCartney per Curtain’s Up, cortometraggio creato da Tête-à-Tête, lo studio di Los Angeles diretto dall’artista Case Simmons e dal figlio di Lynch, Austin.
Nel corto il regista di Twin Peaks e Mulholland Drive racconta dell’amore che lo lega al cinema, rivelando anche come la meditazione abbia influito sul suo processo di scrittura e di regia. In Curtain’s Up appaiono anche Stella McCartney, BØRNS, Lola Kirke (Mozart in the Jungle), Ashton Sanders (Moonlight) e la producer SKY H1.
Il corto si apre in puro stile Lynch, con il regista seduto in una sala oscura, mentre la sua voce fuori campo racconta “la magia del cinema”. «Il cinema è un linguaggio, può dire delle cose, cose astratte e grandi, e mi piace proprio questo. Alcune persone sono dei poeti e hanno un modo meraviglioso di raccontare attraverso le parole; ma il cinema è esso stesso un linguaggio con cui è possibile esprimere un sentimento o un pensiero che non può essere espresso tramite nessun altro linguaggio. È un mezzo magico».
«È stupendo pensare a queste immagini e a questi suoni che scorrono insieme a tempo e in sequenza, creando qualcosa che può essere fatto solo attraverso il cinema. È così magico, non so spiegare il perché: quando entri in sala e le luci si spengono: c’è molto silenzio e il sipario comincia ad aprirsi, tu entri in un altro mondo». «La cosa che preferisco – aggiunge Lynch – è quando una storia riesce a toccare l’astrazione: questo è ciò che riesce a fare il cinema».
Il regista ha raccontato anche dei suoi esordi, dove al posto della macchina da presa c’erano tele e pennelli: «Ero un pittore. Dipingevo e frequentavo una scuola d’arte. Non ero interessato ai film. Un giorno ero seduto in un enorme studio, davanti a me avevo un dipinto non ancora ultimato, ritraeva un giardino notturno. C’era molto nero, e dall’oscurità emergevano alcune piante verdi. Improvvisamente queste piante iniziarono a muoversi, e fu come se sentissi un alito di vento. “Fantastico”, dissi fra me e me, e fu così che pensai ai film come la via con cui permettere ai dipinti di muoversi».
Nel suo monologo Lynch si sofferma anche sull’impatto delle pratiche di meditazione sul suo lavoro: «Quando ho iniziato a meditare ero pieno di ansie e paure, provavo un senso di depressione e rabbia. Rabbia, depressione e sofferenza sono una cosa fantastica in una storia, ma sono come veleno per il regista o l’artista. Devi avere lucidità per creare, devi essere in grado di afferrare le idee. La vita è piena di astrazione, e il nostro unico modo per giocarcela è attraverso l’intuizione. L’intuizione è vedere la soluzione, è emozione ed intelletto insieme. Credo che l’intuizione possa essere raffinata e estesa attraverso la meditazione, immergendosi in se stessi, nell’oceano di conoscenza che ciascuno di noi racchiude».
Recentemente David Lynch ha pubblicato Room to Dream, un’autobiografia corredata da interviste, scritta dal regista insieme alla giornalista Kristine McKenna, uscita il 19 giugno. Nel libro Lynch ricorda la sua vita e la sua carriera, soffermandosi sui suoi lavori più famosi ed enigmatici, talvolta spiegandone il significato e contravvenendo a una regola sempre stata caposaldo della sua filosofia, per cui l’arte non va spiegata “per non ridurne il vero messaggio”.