È morto David Lynch, il regista di culto che ha cambiato il cinema americano con una visione personalissima, fondendo elementi dell’horror, del noir, del giallo e del surrealismo classico europeo in film come Velluto blu e Mulholland Drive, e ha rivoluzionato la tv con il fenomeno Twin Peaks. Aveva 78 anni.
Nel 2024 Lynch aveva rivelato di avere un enfisema dopo aver fumato per tutta la vita e che probabilmente non sarebbe più stato in grado di uscire di casa per andare su un set, essendo gravemente a rischio di contagio post-Covid. La famiglia ha annunciato la morte in un post su Facebook: “C’è un grande vuoto nel mondo ora che non è più con noi. Ma, come diceva lui, ‘Keep your eye on the donut and not on the hole (Guardate la ciambella e non il buco)'”.
Lynch era nato il 20 gennaio del 1946, a Missoula, Montana. Suo padre era un ricercatore scientifico per il Dipartimento dell’Agricoltura e la sua famiglia nomade ha vissuto nelle Stati delle pianure statunitensi, nel Pacifico nord-occidentale e nel sud-est prima di stabilirsi ad Alexandria, in Virginia, dove Lynch ha frequentato la scuola superiore.
Studente non esattamente modello, Lynch si concentrò sulla pittura. Dopo un anno alla School of the Museum of Fine Arts di Boston e un viaggio fallito in Europa con l’amico Jack Fisk (in seguito noto scenografo di Hollywood), nel 1965 si iscrisse alla Pennsylvania Academy of Fine Arts di Filadelfia.
Quando viveva in un sobborgo malfamato di Filadelfia con la prima moglie e la figlia neonata Jennifer (in seguito regista lei stessa), Lynch iniziò a dilettarsi con il cinema. Dopo anni trascorsi come pittore e regista di corti animati e live action, Lynch esordì nel 1977 con Eraserhead – La mente che cancella. Il suo stile attirò rapidamente l’attenzione di Hollywood e dell’establishment cinematografico internazionale.
Con The Elephant Man, drama toccante su un fenomeno da baraccone deforme nell’Inghilterra vittoriana, conquistò otto nomination agli Oscar, tra cui la prima come miglior regista (altre due poi sono arrivate con Velluto blu e Mulholland Drive). Meno successo riscosse il suo adattamento del 1984 di Dune, il romanzo di fantascienza di Frank Herbert. Nonostante un budget di 40 milioni di dollari e una produzione durata tre anni, fu un colossale flop al botteghino, ma negli anni divenne in qualche modo una sorta di culto.
Titoli come Velluto blu (1986) e Cuore selvaggio (1990), premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes, poi ne decretarono la maturità artistica.
Ma fu nel 1990 che Lynch rivoluzionò la tv americana con la serie Twin Peaks, creata insieme a Mark Frost. Con le indagini sul misterioso omicidio di una studentessa delle superiori in una cittadina di segherie nello stato di Washington e il mantra “Chi ha ucciso Laura Palmer?”, lo show della ABC ha scandagliato argomenti inquietanti e tabù e ha reso l’inspiegabile un elemento fisso della moderna narrazione televisiva.
Dopo una seconda stagione meno apprezzata è arrivato un film prequel, Twin Peaks: Fuoco cammina con me del 1992; e 25 anni dopo, un terzo capitolo su Showtime, la cui messa in onda è stata limitata nel tempo, che ha ripreso da dove si era interrotto il secondo.
Più avanti nella sua carriera sono arrivati Strade perdute (1997), Una storia vera (1999) (il più simile allo spirito eccentrico, emotivo e riservato di The Elephant Man), Mulholland Drive (che gli è valso il premio per la regia a Cannes nel 2001) e Inland Empire – L’impero della mente (presentato fuori concorso a Venezia nel 2006, dove gli è stato consegnato il Leone d’oro alla carriera), tra personalità sdoppiate, trasformazioni inspiegabili e crudi atti di violenza.
Il regista stesso è stato sempre reticente nel cercare di spiegare il significato della sua opera: “I miei film hanno significati diversi per persone diverse”, ha detto Lynch in un’intervista del 1990 con Rolling Stone. “Alcune cose hanno più o meno lo stesso senso per molta gente. E va bene. Purché non ci sia un unico messaggio, purché quel messaffionon venga imboccato. È quello che accade con i film realizzati da un comitato, e per me è davvero un peccato”. E ha aggiunto: “La vita è molto, molto complicata, e quindi anche i film dovrebbero poterlo essere”.