Jerry Lewis, uno dei personaggi più importanti della storia della comicità americana, è morto questa mattina nella sua casa di Las Vegas. Aveva 91 anni. «Jerry se n’è andato in pace, gli siamo stati vicini fino all’ultimo», ha scritto la famiglia in un breve comunicato inviato al Las Vegas Review-Journal.
In una carriera che ha attraversato il vaudeville, la radio, la televisione e il cinema, Lewis è sempre stato un esilarante maniaco della comicità, un uomo che oscillava tra elementi più oscuri e altri più brillanti: le sue performance, apparentemente sciocche, erano sempre intelligenti e controcorrente.
Questa tensione – tra oscurità e comicità – ha caratterizzato tutta la sua produzione artistica: il suo eroe era Charlie Chaplin e come lui aveva il totale controllo delle sue opere, che scriveva, dirigeva e produceva in prima persona.
Amato e stimato da praticamente tutti i suoi colleghi, da Martin Scorsese a Jerry Seinfeld, Lewis ha recitato in alcuni film memorabili, sempre sfidando i suoi limiti e il pubblico. «Ho imparato da mio padre che il pubblico è fatto di re e regine; noi, sul palcoscenico, siamo solo dei buffoni», ha detto nel 2016.
Nato nel 1926 in New Jersey da una famiglia di entertainers – suo padre un performer vaudeville, sua madre una pianista – Lewis ha contratto la malattia del teatro da subito: da giovanissimo accompagnava i genitori sul palcoscenico e si esibiva con loro.
Da adolescente abbandona la scuola e comincia a coltivare il sogno dello show business, nonostante le preoccupazioni sul suo aspetto che, pensava, gli avrebbe precluso una vera carriera: «Ero alto, magro, goffo; carino ma buffo», ha scritto nella sua autobiografia Dean and Me: A Love Story. «Non sarei mai stato un cantante come mio padre, che aveva questo timbro baritonale alla Al Jolson. Ho sempre visto il lato comico delle cose, le possibilità per le mie battute. Allo stesso tempo, però, non avevo la sicurezza per stare sul palcoscenico».
Dio non mi ha fatto bello. Ma avevo un dono: la risata
La sua carriera, invece, è esplosa dopo lo strano accoppiamento con Dean Martin. La loro collaborazione è iniziata nel 1946: si esibivano nei nightclub e, un locale dopo l’altro, sono arrivati sul grande schermo. Hanno girato 16 film in 10 anni: nel frattempo erano diventati delle superstar.
Si sono separati nel 1956, e da quel momento in poi Lewis ha girato una serie di commedie di successo con Frank Tashline. Presto, però, si è accorto che la sua vera ambizione era riuscire a fare tutto da solo, dalla sceneggiatura alla regia. È in questo periodo che sono nati personaggi come il professor Julius Kelp e Buddy Love, la sua parodia-tributo a Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
Per Jerry Lewis i film erano come la psicoterapia, un modo per esorcizzare tutte le sue insicurezze. Purtroppo l’inizio degli anni ’60 non è stato gentile con la sua carriera: la sua popolarità colava a picco, ma non la sua determinazione. Insegnava all’Università della Southern California, dove ha contribuito alla formazione di George Lucas e Steven Spielberg che erano innamorati delle sue strane lezioni.
Il suo lavoro più famoso, però, è proprio quello che non è mai arrivato in sala. Si tratta di The Day the Clown Cried, un film dedicato a un clown – interpretato dallo stesso Lewis – rinchiuso in un campo di concentramento. Non ha mai autorizzato la distribuzione, e nemmeno una proiezione pubblica: «Penso a quel film tutti i giorni, ci penso da tutta la vita», ha ammesso una volta. «Ma è orribile, è orribile perché non avevo più il tocco. Non lo vedrete mai, nessuno lo vedrà mai perché mi imbarazza».
Mentre la carriera di Lewis giungeva al termine, la sua reputazione cresceva tra registi francesi come Jean-Luc Godard, che consideravano il suo lavoro arte (The Nutty Professor era nella sua top ten del film del 1963). Nei primi anni ’80 c’è stato un revival di Lewis grazie alla sua interpretazione nella commedia nera sullo showbiz di Scorsese The King of Comedy, dove ha vestito i panni di un presentatore di talk show alla Johnny Carson, stalkerato dall’aspirante comico Rupert Pupkin (Robert De Niro). Per Lewis è stato un grande cambiamento che gli ha fatto guadagnare le sue migliori recensioni. «Continuo a guardare i film che Jerry ha fatto» ha dichiarato Scorsese nel 2013 «L’aspetto visionario, la recitazione, la composizione, il ritmo: sono senza tempo».
Anni dopo Lewis è rimasto un riferimento culturale grazie all’annuale The Jerry Lewis MDA Labor Day Telethon a favore dell’Associazione Distrofia Muscolare. E il suo stile di commedia anarchica ha ispirato attori come Jim Carrey. In più il film più iconico di Lewis, The Nutty Professor, è stato rifatto nel 1996 da Eddie Murphy, diventando una delle maggiori hit dell’anno e producendo un sequel di successo nel 2000. Per molti anni l’attore è stato considerato una vera e propria istituzione in Francia, dove è stato insignito della Legione d’onore nel 2006 («Questa è la mia nazione» ha detto della Francia nel 1982 «In America ci vivo soltanto»).
Lewis, che nel 2009 è stato premiato con il Jean Hersholt Humanitarian Award dell’Academy, si era ritirato da tempo prima di tornare a recitare nel ruolo di protagonista nel film del 2016 Max Rose. Sino alla fine ha affrontato il suo lavoro di attore e filmmaker con l’innocenza di uno che aveva appena iniziato.
«Devi infilarti un tubo in un orecchio e lasciare che ti succhi via tutto quello che sai di dover fare» ha affermato nel 2016 sul suo processo creativo «Fallo e vai a girare il film, dimentica tutte le informazioni che hai nel cervello e fallo come se fossi un novellino, sperando che vada bene. Aiuta con la spontaneità: quello è un bravo attore».