Attraverso i suoi film, Dario Argento è riuscito a imporci il suo personalissimo immaginario, frutto di un talento visionario fuori dal comune e di una felice mescolanza composta da messe in scena sontuose, utilizzo libero della macchina da presa e studi sulla natura dell’immagine e la sua percezione, il tutto scandito da una perenne tensione irrisolta tra ottica e psicoanalisi. Nel corso di più di mezzo secolo di carriera, il regista romano ha saputo accompagnare lo spettatore all’interno dei film, rendendolo complice delle sue visioni e dei suoi abbagli e calandolo in quella zona di intersezione in cui il “vedere troppo” e il “vedere troppo poco” si incrociano per svelare la grande truffa del cinema, che è l’apparire quando si crede di vivere. Viene in mente una celebre citazione dei Cahiers du cinéma: «Dario ci insegna a vedere il suo modo di agire sulle forme affinché siano allo stesso tempo preoccupanti e poetiche. Per noi, si chiama poesia».
Tra i (tanti) talenti che hanno reso Argento un brand di fama mondiale, rientra senza dubbio quello di plasmare i luoghi a proprio uso e consumo, rivestendoli di una veste inedita e perturbante. Questo assunto è valido soprattutto se applicato a una città parecchio legata alla produzione del maestro dell’horror, ossia Torino. Dalla casa dell’enigmista de Il gatto a nove code all’intramontabile piazza CLN di Profondo rosso, fino al Giardino Lamarmora di Quattro mosche di velluto blu, quella tra il regista romano e il capoluogo piemontese è sempre stata una relazione intensissima, l’esperienza comune alla base di uno scambio reciproco. Argento l’ha resa il luogo di elezione dei propri incubi e, come contropartita, si è impegnato a reinventarla, presentandocela sotto una luce sempre diversa.
Proprio in ragione di questa contaminazione felice, Torino ha scelto di tributarlo con il premio Stella della Mole 2022, inaugurando così, con un’incoronazione simbolica ma dal valore affettivo enorme, la mostra Dario Argento –y The Exhibit, che fino al prossimo 16 gennaio sarà ospitata nelle sale della Mole Antonelliana, sede del Museo Nazionale del Cinema.
Dario Argento – The Exhibit propone un percorso cronologico attraverso tutta la produzione argentiana, dagli esordi de L’uccello dalle piume di cristallo (1970) al suo ultimo lavoro, Occhiali neri (2022), recentemente presentato al Festival del Cinema di Berlino nella sezione Special Gala: tutta la carriera del regista e sceneggiatore Dario Argento costruita sul confine tra cinema di genere e d’autore.
La premiazione ha messo in mostra un Argento visibilmente emozionato, che tra un aneddoto di scuola e l’altro – dal suo amore per la maestria registica di Hitchcock alla sua antipatia per le doti da sceneggiatore di Joseph Stefano – non ha celato il proprio amore per una città in cui amerebbe vivere, «se non fosse che le mie figlie e i miei affetti sono a Roma».
«Dario Argento è uno dei maestri del cinema italiano più conosciuti e apprezzati a livello internazionale», ha spiegato Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino. «Nelle ambientazioni spettrali dei suoi film ha restituito di Torino un’immagine inedita e perturbante, che arricchisce di fascino e mistero il nostro sguardo verso la città».
«È una mostra straordinaria, che non merito, in una città bellissima dove ho girato tanti film e, forse, ne girerò altri», ha sottolineato il regista. «Ho visto la mostra e mi sono emozionato, è stato come tornare indietro nel tempo. Una mostra dedicata a Dario Argento, ma chi è Dario Argento? Io sono solo uno che fa i film con quel nome, film nei quali metto i miei sogni, le mie visioni», ha concluso il maestro dell’orrore. Il concetto è chiaro: gli incubi di Dario Argento sono più attuali che mai, e sono tutti custoditi a Torino.