Correva l’anno di grazia 1978: sono passati quattro decenni dal primo Halloween, il classico, l’unico, il vero, l’impareggiabile slasher horror diretto dal mitico John Carpenter, in cui Jamie Lee Curtis, allora 20enne, debuttava nel suo primo film e il raccapricciante Donald Pleasence aveva già una carriera trentennale alle spalle.
Il successo sarà così incredibile che seguiranno sette sequel, un remake diretto da Rob Zombie, e un sequel del remake (anche se di tutti questi film solo Halloween II del 1981 fu scritto da Carpenter e Debra Hill). Finalmente esce il sequel del primo Halloween, scritto da David Gordon Green e Danny McBride, diretto dallo stesso Green e prodotto dal re dell’horror millennials-gen Jason Blum, John Carpenter e Jamie Lee Curtis, che riprende l’iconico ruolo di Laurie Strode.
Nel cast Nick Castle nei panni dell’originale assassino psicopatico Michael Myers. Dal set di Atlanta abbiamo chiacchierato con Carpenter, Green e Curtis. «Il primo Halloween», racconta Carpenter, «è stato girato in 20 giorni a Pasadena, California. Avevo pochi soldi, più qualche extra per Donald Pleasance. Il mio distributore voleva un film centrato su un assassino di baby sitter. Chiesi due cose: final cut della pellicola, che da allora ho sempre avuto in tutti i miei film, e il mio nome sopra al titolo. Tutto quello che mi è servito per girare Halloween l’ho imparato in Procedura Ossessiva, un film tv con Lauren Hutton».
Nonostante l’estensione della franchise e i 40 anni dall’originale, Carpenter pensa che questo sia il film migliore della serie. «La parte terrificante di un horror è sempre la storia. Tutto il resto sono addobbi, piccoli stratagemmi per aiutare a sviluppare la narrativa. Per avere un buon film servono dei personaggi che possano ammaliare il pubblico, come in Sunset Boulevard, ancora oggi uno dei film più incredibili della storia del cinema». Proprio per questo David Gordon Green (Strafumati) ha voluto rendere omaggio a uno dei film più importanti della sua vita.
«Per me Halloween era come il frutto proibito», commenta Green. «I miei genitori erano molto severi e, nonostante sia un amante del cinema dall’età di cinque anni, Halloween era sulla lunga lista di quelli vietati. Fortunatamente, uno dei miei migliori amici aveva dei genitori molto permissivi e quindi l’ho visto a casa sua. Ho avuto così paura che sono stato malissimo, ho vomitato sul letto del mio amico e quando mi hanno portato a casa ho dovuto dire la verità ai miei genitori. Carpenter è stata la figura di riferimento per cast e produzione, questo film esiste solo grazie a lui e ai suoi consigli. Per me è il godfather del genere horror, sarà per sempre un’icona».
Per Jamie Lee Curtis, Halloween è il film più importante della propria carriera. «Senza non sarei diventata attrice. Mi ha visto nascere e dato vita. Quando morirò il mio obituario dirà: “Qui giace l’attrice di Halloween”. Per questo rimarrò, non per gli altri film fatti. Come per mia madre, Janet Leigh, che sarà ricordata sempre per il suo ruolo in Psycho, tutti noi lasciamo un’impronta su questa terra e lo facciamo grazie al nostro passato e a quello che abbiamo realizzato in quel lasso di tempo. Anche quello che non ci piace. In Halloween avrei potuto avere altri ruoli: la secchiona, la majorette, oppure la vergine repressa e intellettuale. John non mi conosceva, ero la cheerleader perfetta e amavo studiare, e, nonostante non avessi alcuna esperienza e lui non avesse mai visto come recitavo, mi scelse per la parte di Laurie. Fui molto contenta, anche se il ruolo era distante dalla mia personalità. Forse proprio grazie a lui e a quel ruolo, la forza, il coraggio e l’intelligenza che nascondeva fra le righe,
è fiorita Jamie Lee Curtis come persona. Laurie è sempre stata una donna molto moderna, anche se oggi rispecchia più che mai il potere che stanno raggiungendo le donne nel cinema, come dimostra l’esempio di Wonder Woman».
P.S.: Halloween costò 325mila dollari e ottenne un incasso di 47milioni, che paragonati al botteghino di oggi sarebbero quasi 200 milioni di dollari.
A margine, abbiamo fatto anche due chiacchere con John Carpenter sulla soundtrack: «Ho sempre avuto la musica nel sangue, tanto da fare quasi tutte le colonne sonore dei miei film, per questo Halloween mi sono fatto aiutare da mio figlio Cody e da Daniel Davies, ed è super scary, terrificante, sincopata». Per Carpenter, le colonne sonore sono come delle coperte, «anzi come dei tappeti intarsiati di disegni e colori, no anzi, paragonerei le mie soundtrack alla moquette. Vede, dopo aver scritto i dialoghi e preparato le scene, mi costruisco mentalmente la musica, il senso di ambiance necessario per far muovere gli attori attraverso la scena. In questo senso sono come uno che entra in casa tua, prende le misure e poi ti mette giù la moquette. E se la metti bene, a quel punto non ci dovrebbero essere intoppi né sgualci». La musica preferita del padrino dell’horror è «tutta quella degli anni ’70, e anche il synth pop degli anni ’80. Vuoi sapere che musica mi terrorizza invece? Quella cantata dal vivo, specialmente se sono io a dover suonare».