1. “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti
Gō Nagai all’amatriciana ha fatto rosicare pure Matteo Garrone ai David. Mainetti, Guaglianone, Menotti sono un trio allegro e pieno di brio, capace di togliere le ragnatele al cinema italiano. Non roviniamoli puntando tutto su di loro, però. Per il film vale la regola delle tre “c”: coraggioso, classico (nella sua modernità), cazzuto. Come Claudio Santamaria.
2. “La pazza gioia” di Paolo Virzì
Sarà l’anima livornese, ma il buon Virzì è diventato un maestro facendo finta di niente, che è un attimo che i suoi concittadini lo buttano a mare. Questo ritratto femminile fa il miracolo di farti innamorare della solitamente insopportabile (sullo schermo) Valeria Bruni Tedeschi. Sempre meno cinico e sempre più sentimentale, meriterebbe l’Oscar, ma è troppo toscano per vincerlo.
O forse non abbastanza.
3. “Indivisibili” di Edoardo De Angelis
Tragedia neomelodica, con lo sguardo elegante e antropologicamente ironico di chi non ha paura di toccare tutte le corde della vita. Anche qui c’è lo zampino di Nicola Guaglianone, sceneggiatore da seguire, anzi stalkerare.
4. “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese
Ho visto cose che voi umani non potete immaginare. Coppie di spettatori litigare fuori da una sala, perché Paolo Genovese guarda la vita e poi ce la racconta come un Roman Polanski rifatto da Ettore Scola. Buttate i vostri smartphone, finché siete in tempo.
5. “Monte” di Amir Naderi
Un regista iraniano eccezionale e ossessivo, una coppia di attori (Andrea Sartoretti-Claudia Potenza), che hanno talento e incoscienza. Una montagna, un uomo e un martello. Monte non è un film facile, ma è bellissimo.
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