Quando Stephen King scrive It nel 1986, non firma solo quello che viene considerato uno dei suoi romanzi più riusciti, ma introduce al mondo la figura del clown malvagio e sadico, dando il via a un’epidemia di clown assassini, sia sullo schermo (la miniserie ispirata a It del 1990, Poltergeist, Beetlejuice, Clown di Eli Roth, Killer Klowns, e tutti i Joker come Jack Ni- cholson, Heath Ledger e Jared Leto) che nella realtà, con un trend iniziato negli Stati Uniti dove posse di ragazzi e gang vestite da clown terrorizzano la gente per strada. Proprio come Pennywise, il nostro Pagliaccio.
Il film, che è arrivato in Italia il 19 ottobre, negli Stati Uniti è stato subito record di incasso da 300 milioni di $. La storia è semplice ma non per questo meno inquietante. Siamo ovviamente nel Maine, luogo caro a Mr. King, e la cittadina di Derry è colpita da morti e sparizioni misteriose. Un gruppo di ragazzini, il Losers’ Club a.k.a. gli sfigati, iniziano a investigare, scoprendo (peggio per loro!) l’esistenza di un mostro che vive nelle fogne.
Nel cast Finn Wolfhard (Stranger Things), Jaeden Lieberher (Midnight Special), Wyatt Oleff (Guardiani della Galassia), il nuovo Jeremy Ray Taylor, la bravissima Sophia Lillis, Chosen Jacobs, Jack Dylan Grazer e il terribile Bill Skarsgård. Prima di tutto, una domanda: percheé It ama proprio il personaggio del clown? In fondo, la storia narra, il mostro potrebbe assumere qualsiasi forma… e le teorie sono molte, anche se in realtà Stephen King lo spiega benissimo nel libro.
«Il personaggio di Mike Hanlon cerca di capire che tipo di entità sia It», ci racconta un eccezionale Bill Skarsgård, «e nonostante questo sia un mutaforma, decide di assumere le fattezze di Pennywise perché i clown hanno una connessione profonda con le anime dei più giovani. Sono gioiosi, ma allo stesso tempo inquietanti. Per me Pennywise è un vero performer, inizialmente attira i bambini facendo credere che può dar loro quello che hanno sempre desiderato, poi quando questi scoprono che c’è qualcosa di strano comincia il viaggio che lo porta a un sadismo puramente maligno. It si nutre della loro paura, ama terrorizzarli, per lui è una sorta di condimento che li rende più appetitosi (sì, se li magna!, nda). Ha bisogno di questa paura, altrimenti non può averti, non può impossessarsi di te. L’unica salvezza per il gruppo dei Losers, l’unico modo per sconfiggerlo, è di non cedere, non credere alle illusioni che crea, e quindi non abbandonarsi alla paura».
Abbiamo incontrato il regista argentino Andy Muschietti – conosciuto per La madre (prodotto da Guillermo Del Toro, con Jessica Chastain che Muschietti vorrebbe, mi ha confessato, nel sequel It 2) – che ha un’idea ben precisa su come creare la suspense giusta nel genere horror. «Far paura è un mestiere complicato. Non puoi riuscirci davvero se non evochi sentimenti vissuti durante l’infanzia. Devi entrare in connessione emotiva con i personaggi, altrimenti rischi il fallimento. Se riesci a raggiungere quella parte di inquietudine profonda che tutti abbiamo in noi, ogni cosa sarà più espressiva e intensa. Ognuno di noi si spaventa per cose diverse, e la regola numero 1 è quella di attingere alla fonte delle tue paure personali, sperando che il pubblico abbia avuto orrori simili. Da bambino ero terrorizzato dal dipinto una donna emaciata che i miei avevano in casa, ho sempre pensato che un giorno sarebbe uscita dal quadro e mi avrebbe preso. Era terrificante e ho deciso di usare questo concetto nel film. In ogni caso, tutti i cambiamenti che ho fatto nella storia, tutti i particolari aggiunti dalla mia mente sono stati approvati da Stephen King, a cui il film è piaciuto molto».
Tra i vari cambiamenti, la decisione di ambientare la storia nel 1989, invece che nel 1950 come nel libro, supportata dai produttori e in particolare da Seth Grahame-Smith. «Abbiamo deciso di ambientarlo 27 anni dopo il periodo descritto da King. Anche perché abbiamo voluto fare due film separati, mentre nel libro è una storia unica con flashback temporali. Era giusto raccontare in modo più approfondito la storia dei ragazzi, che poi si promettono di ritornare qualora Pennywise fosse riapparso.
Gli anni ’50 erano troppo astratti per le nuove generazioni, è stato più semplice ambientarlo negli anni ’90, questo ci permette di descrivere qualcosa di nuovo attraverso molte situazioni che vivono i personaggi: come si parlano, come vivono le esperienze per la prima volta, in un periodo prima di Internet e dei telefoni cellulari, dove i ragazzi erano liberi di uscire senza problemi, andare in bicicletta, nuotare nei laghi, vivere un’estate senza pensieri.
Per coincidenza nel 1989 avevo 13 anni, la stessa età dei protagonisti del film. Volevo rispettare questo elemento spensierato descritto da Stephen King, molto simile all’esperienza del film Stand by Me; volevo che il pubblico si immedesimasse con i protagonisti, con questo feeling a cavallo tra pubertà ed età adulta che tutti abbiamo vissuto, sempre cercando di mantenere alta la tensione emotiva che si vive in quel periodo».
La paura più palpabile per Muschietti non è stata tanto il clown, quanto il fallimento del genere horror nel caso il film fosse stato un flop (caso scongiurato). «Il motivo per cui amo l’horror è perché durante l’infanzia si provano sentimenti molto forti, e per me è un modo per riconnettermi con le impressioni che vivi quando hai 6-7 anni e leggi per la prima volta un libro spaventoso: un livello di intensità difficilmente riproducibile in età adulta. È un modo per riprovare quelle emozioni potenti».
Per Finn Wolfhard, invece, un bel film horror sta tutto nell’idea. «Non è facile fare un horror, perché è complicato trovare quello che può spaventare tutti; l’importante è scrivere di quella paura secondo un rapporto di causa- effetto. È l’idea di quello che ci spaventa a terrorizzarci: l’idea di ciò che potrebbe fare qualcuno che ci segue, non tanto la persona che ci segue. Io ho una paura folle dei ragni, ma se devo essere sincero, un film horror con i ragni non mi spaventa per niente. Mi spaventa molto di più pensare a qualcuno che usa dei ragni per farmi qualcosa di malvagio. Questi sono i pensieri che non mi fanno dormire! Altro che i pagliacci».