«Del passato ho tanti shock e pochi ricordi. Consiglio: non lasciate passare le cose incompiute, fate e non abbiate paura. Solo mettete un attimo un filtro tra lingua e cervello, altrimenti si litiga per stronzate, anche si fanno le guerre per stronzate.» Quella di Izi di giovedì 25 luglio al Giffoni Film Festival doveva essere una Masterclass musicale, ma è finita per essere un dialogo filosofico, una specie di lezione di vita.
«So che tutti noi abbiamo un obiettivo anche più alto di quello stesso che pensiamo di avere, ma ascoltiamo noi stessi! Non vi preoccupate di quello che fate, ma preoccupatevi di fare! Le risposte arriveranno poi, le cose succedono, prima mi chiedevo e le cose non arrivavano, ora le cose succedono e non mi chiedo più. Nelle discussioni inutili, andate via! Basta le cose superflue: se aggiungi nero a nero diventi nero.» E lo dice uno che per colpa della sua chimera, il diabete, nel nero più profondo del coma ci è stato fin troppe volte. E ora semplicemente non ci vuole più tornare.
A dialogare con il rapper genovese si fa fatica infatti a tenere a mente che, dietro alle parole sagge di qualcuno che ne ha vissute tante, si cela in realtà un ragazzo nato manco 25 anni fa. In un’ora di Masterclass, davanti agli attentissimi ragazzi che sono l’anima del festival da 50 anni, Diego Germini ha parlato a ruota libera della sua vita, delle cose che lo fanno stare bene e tutti i demoni interiori che finora lo hanno tenuto sospeso in un limbo. E che ora, grazie al percorso terapeutico iniziato con Pizzicato e perfezionato nell’ultimo album Aletheia, Diego sta finalmente imparando a tenere a bada.
«Spesso tutto questo “nero” è invalidante: non ti alzi neanche dal letto per quello. Questo disco nasce da questo, due anni chiuso in casa con crisi epilettiche quotidiane, e sono rimasto chiuso. Come ne sono uscito? O morivo fisicamente o uscivo, e questa è la mia missione: io appartengo a voi. Quando ero piccolo ero sociopatico, ora sono a disposizione degli altri, disponibile nella totalità. Ho bisogno di parlare del nero perché è così che lo sconfiggo; mi sto liberando dall’esoscheltetro che mi sono creato, uno scheletro di fragilità, di giudizi interiori che ti castrano. Quando succede il cambiamento il giudice interiore diventa guida interiore; quasi nessuno ha la voglia di mettersi in gioco, ma questo consente di essere stessi e uscire dalle strutture: è quello, la struttura che ti prendere l’ansia del nero. La mia missione è esserci.»
Al contrario, Junior Cally per sprigionare il proprio talento artistico e liberarsi delle paure si è messo addosso qualcosa, nel suo caso una maschera. Del rapper romano infatti si sa poco o niente, se non quei mille tatuaggi e la maschera a gas. Dopo quella introspettiva di Izi, la Masterclass che il nostro Claudio Biazzetti ha avuto l’onore di moderare al Giffoni è stata più concreta, tematicamente pragmatica. «La maschera a gas? Avevo zero euro in tasca, ho cercato “Maschera” su Internet. Me ne potevo permettere due o tre erano quelle che potevo permettermi. Visti i miei testi e la mia musica, la maschera a gas era la più adatta.»
Tuttavia, se come diceva Oscar Wilde: “Datemi una maschera e vi dirò la verità”, per Junior Cally il non poter mostrare il volto sta cominciando a diventare insostenibile. «La maschera è senza espressività, quando scrivi con un lato romantico hai bisogno di esprimere anche col volto. Quando faccio i live è brutto non poter ricambiare un sorriso, spesso neanche vedo le persone troppo in là, non le posso abbracciare perché non mi posso avvicinare o qualcuno potrebbe togliermela. Però mi ha dato tanta libertà di scrittura, d’espressione. Ma, a volte, sarebbe bello poter salutare i fan, farmi riconoscere per strada, ricambiare l’affetto dei fan.»