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Kids, vent’anni dopo

Sesso, droga e New York: il film di teenager del 1995 più controverso di sempre analizzato dal cast e dagli autori
Rosario Dawson e Chloe Sevigny durante le riprese di Kids

Rosario Dawson e Chloe Sevigny durante le riprese di Kids

Potrebbe essere difficile ricordare quanto velocemente diventò celebre l’odissea indie-skater di Larry Clark. Il film incassò la modesta somma di 7 milioni di dollari quell’estate – un grande successo, se si tiene conto che a un certo punto sembrava che chi avesse venduto anche un solo biglietto del film sarebbe finito in galera.
Qualcuno parlò di atti osceni di fronte a minori. il massacro dei notiziari della Cnn era un appuntamento quotidiano. In tutto questo, non ci fu mai la sensazione del troppo rumore per nulla. “Kids” era qualcosa di minaccioso. Dopo tutti questi anni, è ancora così.
Quello che segue è un racconto a più voci tratto dalle interviste ad alcuni dei protagonisti di Kids. Vi potremmo mettere in guardia sul linguaggio scurrile che potreste trovare nelle pagine a seguire, ma ‘fanculo! Stiamo parlando di Kids. Sapete bene a cosa andate incontro.

VITA ALL’APERTO

Harmony Korine (sceneggiatore): Ero appena diplomato, e mi ero trasferito da Nashville a New York per seguire un corso di scrittura creativa alla NYU. Bighellonavo per strada e andavo in skateboard. Conoscevo già un sacco dei ragazzi del film, come Harold e Justin. Uscivamo insieme e dormivamo sui tetti.
Leo Fitzpatrick (attore, “Telly”): Vengo dal New Jersey, sono il più giovane di cinque figli. Come tante madri single, mia madre aveva fatto affidamento sui miei fratelli per tenermi d’occhio, ma erano teenager e pensavano ai cazzi loro. Per fortuna avevo scoperto lo skateboard. Si formava una specie di famiglia di scoppiati, che girava per le strade come un branco di cani randagi. La gente ti lanciava addosso delle bottiglie, se andavi a skeitare sotto le loro finestre.
Chloë Sevigny (attrice, “Jennie”): Vivevo a Brooklyn con altri cinque ragazzi che lavoravano tutti in diversi club. Quindi potete immaginare come fosse la mia vita – free pass tutte le sere. La gente fuori di testa mi piaceva un sacco.
Korine: Non avevo un posto in cui stare tra una lezione e l’altra, quindi passavo un sacco di tempo nei cinema, per tre dollari potevi vedere due film di seguito.
Fitzpatrick: Larry si aggirava tra noi, nessuno capiva che intenzioni avesse. Aveva 50 anni, sempre con una macchina fotografica in mano. I ragazzini non si fidano degli adulti, figuriamoci di quelli che vogliono fare foto. Ma Larry usciva con i migliori skater, gente come Mark Gonzales, Julien Stranger e John Cardiel, che per me erano idoli. Un giorno mi si rompe la tavola, e a quel punto andiamo tutti a casa sua e lui me ne dà una. Ho pensato: questo qua ci sta dentro.

Larry Clark, il regista, e Justin Pierce, attore morto suicida nel 2000

Korine: Larry era in giro a fare foto agli skater. Si siede vicino a me e gli chiedo della sua Leica. Mi dice che è un fotografo e che vuole fare un film. Gli dico che anch’io voglio fare film. Non sapevo niente di arte contemporanea, e nemmeno conoscevo le sue fotografie, non capivo bene se faceva sul serio o meno. Al tempo andavo sempre in giro con le videocassette di quello che avevo girato al liceo. Gliene diedi una.
Fitzpatrick: Non capivamo che possono esistere anche adulti cool, adulti che pensano che i ragazzini siano importanti. Per tutta la nostra vita eravamo stati cacciati dai posti in cui andavamo. Larry invece diceva no, quello che fate è fico. La cosa più intelligente che ha fatto è stato far scrivere il film a Harmony. Perché sapeva bene che Kids doveva essere scritto da un ragazzo.
Korine: Larry mi chiamò per dirmi che gli piaceva la mia roba, voleva vedere se ero anche in grado di scrivere. Mi disse che aveva questo progetto di fare un film su un ragazzino, Telly, che ha la passione di sverginare le ragazze, come se fosse una specie di chirurgo delle vergini. Ero un enorme fan di Belli e dannati e Drugstore Cowboy; iniziai a capire che era tutto vero quando incontrai Gus Van Sant nell’appartamento di Larry a Tribeca, perché Gus aveva intenzione di produrre il film. Avevo previsto che ci avrei messo circa una settimana a scriverlo. C’era solo una vaga trama che Larry aveva buttato giù.
Larry Clark (regista): Stava scrivendo di gente reale. Prendeva tutte queste esperienze che conosceva bene e le ha condensate in un periodo di 24 ore. È così che si fa un grande film: una specie di corsa sulle montagne russe.
Korine: Erano tutte voci che avevo nella testa, le voci dei miei amici. Scrivevo dieci pagine al giorno nel seminterrato di mia nonna. Lei mi mi cucinava delle bistecche che sapevano di suola di scarpa. In pratica la sceneggiatura ha avuto una sola stesura. L’ho passata a Larry e lui l’ha adorata. Volevamo fornire uno sguardo dall’interno di questa cultura giovanile così fica, impossibile da trovare altrove. Kids è stato concepito come un’opera di cinema pop. In quel momento io venivo dalla scena skate, incazzosissima, ed era emozionante cercare di creare qualcosa che fosse ugualmente provocatorio.
Clark: Tutto quello che c’è nel film è successo veramente, tranne che per Jennie. Mi venne questa idea di una ragazzina che diventa sieropositiva dopo la sua prima esperienza sessuale. Il fatto è che all’epoca, nel ’94, le scuole avevano iniziato a distribuire preservativi, e la chiesa cattolica era insorta. L’Hiv era la notizia del giorno. È ciò che teneva insieme la storia.

La locandina di Kids, presentato a Cannes nel 1995.

Korine: La faccenda dell’Aids funzionava come Lo squalo. Era il dispositivo che metteva in azione tutto il resto. Non sapevamo nulla di questa malattia, tranne che non volevamo prenderla.
Cary Woods (produttore): Gus Van Sant mi chiama, e fa: ho incontrato questo ragazzo. Sta venendo a L.A. E mi manda le sceneggiature di Kids e Ken Park. Le leggo e penso, chi cazzo è questo tipo? Harmony il giorno dopo è da me. Dimostra 14 anni. Ho davvero pensato che qualcuno mi stesse prendendo per il culo. Lui fa: “Ciao, sono Harmony”, con quella sua vocetta stridula. E io rispondo: “No, col cazzo che lo sei”. Allora ci sediamo a parlare, e lui è geniale. Andiamo a Venice e non facciamo altro che camminare per sei o sette ore. Il ragazzo faceva sul serio, e cazzo se era divertente.
Woods: Avevo incontrato questi finanziatori che volevano produrre film. Gli mando Kids. Immaginate se questi non avevano mai letto una sceneggiatura e gli arriva Kids! Comunque dicono: “Ok, facciamolo”. Uno dei produttori esecutivi era Scorsese. La persona che si occupava dei film indipendenti per lui era Barbara De Fina, che voleva tenersi per lei il ruolo di produttore. Quindi le dissi di no. Allora Marty non ci sta più, mi risponde. E io penso: “Oh cazzo, no, Marty è il mio idolo, vuole andarsene?”. Quindi chiamo Larry e gli dico che se andiamo avanti così Marty lo perdiamo. E lui mi risponde: che vada affanculo!

UN GIOCO DA RAGAZZI

Sevigny: Harmony e io eravamo ancora in contatto. Ci conosciamo dai tempi delle superiori, è sempre stato uno dei miei migliori amici. Mi aveva già parlato della sceneggiatura, ma questa volta mi fa: “Facciamo il film. Torna subito”. E io ho risposto: “Certo, cazzo”. Avevo fatto qualche servizio fotografico con Larry. Lui era più interessato ai ragazzi che alle ragazze, ma io alla fine assomigliavo un po’ a un maschio.
Rosario Dawson (attrice, “Ruby”): Avevo appena finito le scuole medie, e me ne stavo seduta sulle scale davanti al mio palazzo. Lì vicino stavano girando una pubblicità e cercavano ballerine e cose del genere. Mio papà mi fa: “Tu ami ballare, saresti perfetta”. Vivevo in una specie di edificio abbandonato. C’era un senzatetto che chiedeva se c’era qualche appartamento libero, e io ho iniziato a ridere perché assomigliava a Gesù. A quel punto tutta la strada mi stava osservando.
Korine: Ho pensato: “Chi è questa ragazza stupenda?”.
Dawson: Harmony era esaltatissimo e continuava a ripetermi: “Oh mio Dio, ho scritto questa cosa per te, non ti conosco nemmeno ma l’ho scritta per te”.
Dawson: “Papà, c’è un tipo strano che mi parla di fare un film”. Quindi mi danno la sceneggiatura, la leggo e la leggono i miei genitori, e pensano che sia una ficata. La maggior parte delle persone avrebbe reagito dicendo: “Cristo santo, no!”.

Alcune polaroid scattate sul set di Kids

SESSO, DROGA E NEW YORK

Eric Edwards (direttore della fotografia): Larry diceva: “Ok, ragazzi, adesso dovete baciarvi per sei minuti interi”. Loro se la cavarono piuttosto bene. Li ha gettati dentro una situazione che poteva essere più grande di loro – tutti parlavano di fare i pompini, ma quella era in fondo la loro prima esperienza col sesso. Forse gli stavamo chiedendo di fare di più di quanto avessero mai fatto.
Fitzpatrick: Io avevo fatto sesso una volta sola, forse. Ma a dire il vero non era nemmeno sesso completo. Non sapevo che cazzo stavo facendo.
Dawson: Il mio primo vero bacio è successo quando sono andata a Tompkins Square Park e abbiamo giocato a bottiglia. Ho limonato con questo tizio ed era strano, con la bocca aperta e le lingue che ruotavano. Subito dopo abbiamo girato la scena in cui siamo in sala d’attesa e stiamo aspettando i risultati del test. E io faccio: “Oh mio Dio Chloë, ieri sera ho baciato un ragazzo”. E lei mi risponde – non dimenticherò mai come ha pronunciato il mio nome – “Ro-SAR-io!”. E subito dopo parte la ripresa, e racconto di tutte le posizioni sessuali che ho provato e quanto sono sollevata per non essere sieropositiva.
Sevigny: Rosario era super innocente. Se avessimo dovuto interpretare chi siamo realmente, lei avrebbe dovuto fare il mio personaggio e io il suo. Io ero quella più promiscua. Non proprio selvaggia: solo un pochino. Si pomiciava un sacco, ma coi vestiti addosso. È quello che fanno tutti, no?
Dawson: Ricordo i 14 anni come il momento preciso in cui le ragazzine smisero di giocare con le bambole. Volevano essere sicure di avere le sneakers pulite, le unghie fatte eccetera, e parlavano del sesso brutale che avrebbero fatto di lì a poco. Un sacco di ragazze intorno a me andavano a letto con spacciatori e dicevano cose come: “A lui non piace usare il preservativo”. Erano solo ragazzine, ma facevano giochi da adulti. La sceneggiatura quindi, per me, assomigliava alle conversazioni che avevo sentito. Non era la mia vita, ma era facile imitarla.

La locandina che Clark ha usato per cercare attori (non professionisti) per Kids

Korine: Durante il film, tutti i ragazzi cercavano di portarsi a letto Rosario.
Sevigny: Avevano messo me e la mia amica Lila nell’appartamento della costumista. Era uno di quegli appartamenti a pensione in cui, per andare in bagno, devi scendere al piano di sotto e usare la chiave. La gente andava lì a farsi, e ricordo di avere appeso un cartello: “Per favore non lasciate qui le carte degli snack e le siringhe usate”.
Korine: Un film del genere oggi non potrebbe esistere. Non so nemmeno quali sono oggi le regole o le leggi, ma secondo me oggi sarebbe impossibile. Io stesso ero strafatto la maggior parte del tempo.
Woods: Mi mandavano videocassette con i girati giornalieri. Quando ho ricevuto quello della rissa a Washington Square Park ho pensato: “Non potrò lavorare mai più a Hollywood”.
Edwards: Hanno preso da parte questo ragazzino nero e l’hanno riempito di botte. Larry e Harmony non si preoccupavano delle questioni razziali. La questione non era bianco o nero, la questione era se qualcuno ti rompeva i coglioni.
Korine: Ricordo che una volta Justin stava pisciando e un tipo aveva cercato di farsi una sega guardandogli l’uccello. I ragazzi lo avevano ammazzato di botte. Era interessante vedere la gente impressionarsi per cose del genere. Ma per noi era scioccante vederlo su uno schermo di cinema, non la cosa in sé.

Il foglio di presentazione di Leo Fitzpatrick, attore protagonista di Kids

IL FILM È PRONTO

Woods: Avevo un’amica che lavorava per il New York Magazine e mi implorava di vedere il film. Lei è impazzita e così è finito sulla copertina, anche se nessuno l’aveva ancora visto, quel cazzo di film. È stato fantastico. A quel punto lo voleva vedere anche Harvey Weinstein.
Harvey Weinstein (cofondatore di Miramax): Mi sono messo a guardare Kids e, onestamente, non so dire come mi sono sentito. L’unica cosa che sapevo era che dovevamo distribuire il film in qualche modo, a ogni costo.
Woods: Lui mi fa: “Certo che è un film interessante quello che hai tra le mani”. Gli ho risposto: “Forse è meglio che lasci perdere”. Dopotutto Miramax era di proprietà della Disney. Lui mi dice: “E quindi tu cosa pensi di fare?”. Gli dico che voglio portarlo al Sundance e venderlo per un sacco di soldi al primo che arriva dopo Miramax. E lui: “Ci vediamo nel mio ufficio alle tre in punto”.
Weinstein: Non eravamo degli sprovveduti. Ma pensavo che era un film così importante che la gente avrebbe fatto un’eccezione. Ovviamente mi sbagliavo, e quindi abbiamo dovuto inventarci quel complicatissimo metodo di distribuzione.
Woods: Abbiamo dovuto rivolgerci al miglior legale specializzato in pornografia infantile del Paese. Oltretutto saltò fuori che c’era una legge che vietava di mostrare un capezzolo, se l’attrice in questione era minorenne. Abbiamo dovuto rivolgerci a un service esterno per cancellarli dal film, ed è stata la cosa più costosa di tutta la produzione. Quelli del Sundance volevano inserire il film in concorso, ma io ho detto: “No, lo proiettiamo una volta sola, a mezzanotte”. Dopodiché faccio sparire la copia, non voglio farmela sequestrare. Abbiamo fatto così e i posti in sala sono andati esauriti nel giro di un’ora.
Korine: A Cannes sono andato in skateboard sul red carpet, è stato divertente e piuttosto cretino. Ricordo di aver visto una tipa che si infilava in gola un ghiacciolo fatto di caviale, e indossava tipo un tanga e basta.
Clark: Il film non è stato un incidente. Volevamo fare una cosa che nessuno aveva fatto prima, che fosse totalmente originale. E totalmente onesta. E lo abbiamo fatto.
Korine: Di denaro nessuno ha mai parlato, perché nessuno ne aveva. Per noi la street culture era una specie di cultura ombra. Mentre oggi tutto è già stato venduto. All’epoca non c’erano telecamere nei telefoni, né cellulari, non sapevi cosa stavano facendo gli altri. Oggi la cultura è tutta in mostra, e la gente vuole solo parlare di ciò che odia e poi farsi le foto alle scarpe.

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