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‘La lucida follia di Marco Ferreri’ è rock

Il documentario diretto da Anselma Dell’Olio è stato presentato alla Mostra nella sezione 'Venezia Classici'

“Risponde col silenzio alle domande / agli attori non dà un’indicazione / eppure nel suo cinema si spande / il rigore della rivoluzione”. Provate a guardare La lucida follia di Marco Ferreri, il documentario diretto da Anselma Dell’Olio, e a non rimanere ipnotizzati dalla testimonianza e dalla poesia che gli dedica Roberto Benigni. “Ma io l’ho conosciuto quello gnomo / sono stato sulla barca di Caronte / m’ha insegnato le viscere dell’uomo / e da che parte si guarda l’orizzonte“.

Sono passati 20 anni dalla scomparsa di Marco Ferreri, 20 anni in cui si è cercato di rimuoverlo dalla memoria perché troppo provocatorio, troppo scomodo, semplicemente “troppo”: “Mi piace parlare chiaro e penso che si provochi quando si parla chiaro” dice Ferreri in un’intervista. E a chi afferma che è il suo è un cinema pericoloso replica: “Pericoloso ma necessario”.

Critico feroce del mondo in cui viveva, femminista e insieme misogino, amatissimo da chi lo capiva e detestato da chi non riusciva ad afferrarlo (famosa la turbolenta conferenza stampa a Cannes nel 1973), oggi finalmente il più rock’n’roll dei registi italiani (avete presente la sua foto con il cilindro?!) viene riconosciuto e celebrato. Con le immagini tratte dai suoi film – da El Cochecito a L’ultima donna, fino a La Grande Abbuffata naturalmente – ma anche attraverso le parole intelligentissime e mai banali di chi ci ha lavorato e condiviso un pezzo di vita.

Marcello Mastroianni, Michel Piccoli, Philippe Noiret, raccontano il “loro” Marco nei filmati d’archivio (Istituto Luce, Raiteche e francesi), con Ugo Tognazzi che spiega: “Quando recito per Ferreri l’ultima cosa che conosco è la sceneggiatura”. E poi i contributi inediti: oltre a Benigni, Andréa Ferreol, Ornella Muti, Isabelle Huppert, che lo definisce “speciale perfino tra tutti i registi italiani della sua epoca”, e Hanna Schygulla, che affiancandolo a Buñuel, Fassbinder e Pasolini, ne dà una definizione fortissima: “Sono gli arcangeli della distruzione che fanno rinascere”.

«Marco era rock’n’roll perché era anticonformista» spiega Anselma Dell’Olio, che Ferreri aveva riportato in Italia per collaborare con lui a Ciao Maschio «Il rock rompeva i sistemi, voleva risvegliare. E chi ha spaccato tutto più di lui?! Il conformismo esiste perché nessuno vuole essere messo in discussione o vedersi sbattere in faccia la bassezza dei proprio desideri. Il rock disturbava e Ferreri pure». Ma sono tante le anime speciali che lo hanno compreso: come Philippe Sarde, compositore delle sue colonne sonore, che lo chiama “mon frère”, o Serge Toubiana, che è stato direttore della Cinémathèque Française e dei leggendari Cahiers du cinéma.

Il documentario, prodotto da Nicoletta Ercole e Mauro Cappelloni con la Fenix di Riccardo Di Pasquale, (che produrrà anche le musiche del nuovo film di Ferzan Ozpetek) nasce da un’idea della Ercole, che è stata la costumista di Ferreri per ben 13 film: «Mi chiamò per Ciao maschio e mi disse: “Me serve una che me vesta ‘na scimmia con ‘na pelliccia da giaguaro, sei libera?”» ne imita la voce «Marco era adorato dai musicisti, aveva un’intuizione animale per la musica che è fondamentale nel suo cinema. E a proposito di rock, ho un ricordo molto nitido in mente: durante una cena a Roma Pedro Almodóvar gli si inginocchiò davanti e gli disse: ”Tu sei la mia rock star”».

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