Lasciate che Iggy Pop (e Houellebecq) vi salvino la vita con un dvd | Rolling Stone Italia
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Lasciate che Iggy Pop (e Houellebecq) vi salvino la vita con un dvd

La più improbabile delle accoppiate diventa un sodalizio artistico inaspettatamente funzionale: il risultato è il documentario 'Restare vivi'.

Photo by Anthony Harvey/FilmMagic

Photo by Anthony Harvey/FilmMagic

Sei un’anima bella che ha inopinatamente deciso di addentrarsi nel campo minato della creatività affrontando crisi d’ispirazione, frustrazioni economiche, sensazione paranoica di non essere capito e conseguente misantropia? Qui ci sono due buone notizie per te. La prima: è tutto normale. La seconda: Iggy Pop può salvarti la vita con un pratico dvd.

La storia inizia a Parigi nel 1991. All’epoca Michel Houellebecq (professione scrittore), lungi dall’essere la formidabile macchina da guerra editoriale che è oggi, era un anonimo e frustratissimo autore di poesie. Non bello, non simpatico, non carismatico: il classico tipo che nessuno si fila, e infatti era proprio così. Un giorno al colmo dell’esasperazione Houellebecq scrive una sorta di manuale di sopravvivenza ad uso e consumo del giovane poeta disagiato. Titolo: Restare vivi – un metodo. Sottitolo: Un debole ma chiaro segnale per tutti coloro che stanno per mollare. Il testo ovviamente cade nell’indifferenza generale. Solo molti anni dopo viene rieditato da Flammarion, e stavolta è un successone.

Miami, 2015: Iggy Pop (professione icona rock) è un grande vecchio dall’aria al contempo saggia e folle, con la faccia rugosa e ieratica di un capo indiano biondo e lo sguardo azzurrissimo da ragazzetto impertinente. Legge il saggio di Houellebecq, quelle pagine che parlano di sofferenza, follia e arte; legge la frustrazione di non essere capito, il bisogno di difendersi e colpire duro cercando tuttavia di non perdere la speranza. Legge tutto questo, e gli sembra di leggere la sua stessa storia.

È così che quella che potrebbe sembrare la più improbabile delle accoppiate – Iggy Pop e Houellebecq, dai, fa sorridere solo a pensarci – diventa un sodalizio artistico inaspettatamente funzionale: il risultato è “Restare vivi”, il documentario degli olandesi Erik Lieshout, Arno Hagers e Reinier van Brummelen che in Francia, dove Houellebecq è osannato come una rockstar nonostante gli indefessi sforzi per dimostrare anno dopo anno di essere sostanzialmente uno stronzo misantropo, uscirà al cinema l’11 aprile tra squilli di trombe e rulli di tamburi. In Italia invece (e questa, in effetti, è una terza buona notizia) il film in sala non è uscito ma si può trovare in dvd edito da Feltrinelli. Il che vuol dire, appunto, che chi ha avuto la malaugurata idea di scegliere l’arte anziché la tecnica e sente di essere sul punto di mollare, può mettersi comodo, guardarselo e lasciare che Iggy gli salvi la vita.

Perché è un manifesto poetico potentissimo, quello che l’Iguana va declamando con voce pastosa e arrocchita mentre si aggira tra casa e giardino in vestaglia di seta e occhiali da vista. La centralità della sofferenza nel processo creativo (“ogni sofferenza è buona, ogni sofferenza è utile, ogni sofferenza è un universo”), l’importanza di imparare a nutrirsi del dolore per trasformarlo in arte, l’imperscrutabilità dell’ispirazione (“non conoscerai mai fino in fondo questa parte di te che ti spinge a scrivere, dipingere o cantare”). E sopra ogni cosa, la sopravvivenza: “Un poeta morto non scrive. Di qui l’importanza di restare vivi”. Voce profondissima, mani nodose che scorrono le pagine, camera look penetranti, Iggy Pop è una presenza scenica totale, sullo schermo non meno che sul palco a torso nudo. E tra le righe del manuale di Houellebecq si racconta con la schiettezza che gli è propria: per esempio l’idea di Open up and bleed, un inno all’autolesionismo come forma di ribellione, è nata da un moto di rabbia contro “la gente, non la vita o qualcuno in particolare, no: la gente, tutta la cazzo di gente che ti guarda e ti insulta, e tu sai che non valgono niente ma vincono loro”.

La marginalità che diventa arma, dunque, come chiosa in bella prosa Houellebecq: “Lo scopo della società in cui vivi è distruggerti. Tu hai lo stesso scopo nei confronti della società. Ogni società ha i suoi punti deboli e le sue ferite. Tu metti il dito nella piaga e premi forte”. Se avesse avuto il fisico e la tempra del rocker, questo scrittore francese così mingherlino e ritroso, questa sarebbe stata una citazione antologica.

E sempre a proposito di rock, tra una scena e l’altra del documentario c’è la chicca definitiva, la vera storia di come l’Iguana divenne l’Iguana. La leggenda narra che a ispirare Iggy fu un concerto dei Doors a cui assistette da adolescente: “Gli atteggiamenti di Jim Morrison gli fecero capire che sul palco si poteva osare di più”, recitano all’unisono più o meno tutte le biografie. Vai a vedere meglio, e il concerto in questione è quello tenutosi alla Michigan University nell’ottobre 1967, passato alla storia come the Doors’ disaster: Morrison arriva sul palco tardissimo e strafatto, non si regge in piedi, biascica qualche frase stentata e ai primi fischi della platea risponde con un lancio di oggetti a caso.

È forse lì che Iggy ha intuito che la provocazione estrema – vomitare sul pubblico, tagliarsi sul palco – l’avrebbe portato al successo? Non esattamente: “Volevo cantare ma nessuno mi dava credito – racconta candidamente sul praticello di casa – avevo provato con il blues nei bar, ma tutti ridevano imbarazzati per me. Poi una sera andai al concerto dei Doors, e quel cantante era strafatto e non sapeva fare un cazzo, ma era carino e io ho pensato: ecco, posso farlo anch’io. Basta solo diventare carini, essere dei coglioni e lasciarsi andare”. A volte la storia del rock è più semplice di come la si racconta.

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