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L’episodio di ‘BoJack Horseman’ che cambierà per sempre l’animazione tv

La sesta puntata della quinta stagione rompe tutte le regole dei cartoni animati: geniale e menefreghista, poetico e arrogante, Bojack non si preoccupa di cosa possa o non possa fare una serie d’animazione

Prima di leggere, sappiate che nell’articolo ci saranno spoiler sulla quinta stagione di BoJack Horseman – principalmente sul sesto episodio, ma ho inserito alcuni dettagli su tutto il resto -, che è uscita da pochi giorni su Netflix.

I nuovi episodi sono arrivati ai critici insieme a un messaggio di Flip McVicker, il creatore dello show-dentro-lo-show Philbert. È una perfetta parodia delle lettere presuntuose e paranoiche che spesso i critici ricevono dagli showrunner – mai da Sam Esmai, il creatore di Mr. Robot -, e mostra tutti gli eccessi della Peak Tv, dall’orrore di Diane nello scoprire che il pubblico si identifica con l’antieroe protagonista, fino alla difesa delle terribili scelte di Flip – “La serie è confusionaria, quindi coraggiosa e brillante”.

Ma se c’è uno show che si può permettere una trovata del genere, questo è proprio BoJack. Ormai non dovremmo più sorprenderci, questa è una serie che può trasformarsi in qualsiasi cosa in qualsiasi momento: lo show più divertente della tv e, pochi istanti dopo, il più triste. Il mix umani/animali raggiunge vette sempre più surreali e, a volte, dolorose, ed ecco un breve elenco dei tesori nascosti nei nuovi episodi:

* La scena in cui Todd e la sua fidanzata devono fingere di non essere asessuati per accontentare la famiglia progressista della ragazza. Il climax è un trionfo slapstick, con tanto di barattolo di lubrificante “tappabile” solo dal pene di Todd.

* L’episodio in cui Bobby Cannavale interpreta un attore coinvolto nelle accuse di #MeToo, ma capace di ingannare il sistema. È anche una – esilarante – parodia del problema, tutto grazie al sex robot Henry Fondle. Devo essere sincero, è difficile per me scrivere così poco su Henry Fondle.

* Diane fa pace con la sua discendenza Vietnamese – e lo show fa lo stesso con la scelta di farla interpretare a un’attrice bianca (una scelta di cui il creatore si è pentito pubblicamente, nonostante il lavoro splendido di Alison Brie) – durante un viaggio all’estero.

* L’episodio in cui una coppia lesbo racconta storie sul protagonista, che in questo caso diventa “BoJack la zebra”. Insieme a lui Diane la Principessa del Galles, e Todd nei panni di un uomo con una mano al posto della faccia.

* L’episodio in cui diverse feste di Halloween, tutte nella casa di BoJack, si mescolano in un unico party.

Tutte queste storie approfittano della “realtà flessibile” in cui è ambientato lo show, e degli effetti speciali infiniti possibili con i cartoni animati, così da trasformarlo in qualcosa di diverso ogni volta che serve. Ma il più grande trionfo di questa stagione è l’episodio che fa esattamente il contrario, cioè qualcosa che nessuno si aspetterebbe da un cartone – neanche da uno così profondo.

BoJack Horseman ha dedicato un intero episodio al monologo di un personaggio. Ci vogliono solo pochi minuti perché Free Churro riveli la sua struttura. La ragione principale è che sono due i personaggi a fare dei monologhi, entrambi interpretati da Will Arnett. La scena pre-sigla è un ricordo dell’infanzia di BoJack: il protagonista origlia un rabbioso sfogo del padre, frustrato dai suoi fallimenti e da quelli di moglie e figlio. Un modo brutale per ricordarci di quanto siano stati orribili i genitori di BoJack.

Dopo la sigla, un adulto BoJack sta ascoltando una storia raccontata per la veglia funebre di Beatrice, sua madre. È qui che l’episodio si ferma, senza mai spostarsi fino ai titoli di coda. Il secondo monologo è l’essenza di BoJack Horseman: geniale e menefreghista, poetico e arrogante. BoJack insulta sua madre più volte, ma racconta anche una bugia dove appare meglio di quello che era. Si lamenta di aver imparato tutto dalla televisione, che l’ha convinto che spesso un grande gesto è abbastanza – «Devi essere coerente. Devi essere genuinamente buono». Quando cerca di inquadrare la sua relazione con Beatrice, fa riferimento a una di quelle serie che continui a guardare perché sei sicuro che migliorerà.

È un piccolo esempio di grande oratoria: alcune idee introdotte all’inizio tornano più avanti, ribaltate e con un significato diverso. «Mia madre è morta e adesso tutto è peggiorato. Perché ora so che non avrò più una madre che mi guarda dall’altra parte della stanza, che mi dice: “BoJack Horseman, io ti vedo”». Purtroppo BoJack ha interiorizzato la lezione di suo padre, si fida di se stesso e di nessun altro, ed è diventato un pessimo amico. Soprattutto con se stesso.

Tutto l’episodio è incredibilmente teatrale, cioè l’ultimo aggettivo che pensavo avrei usato per un cartone animato. La tv live action, a volte, si lascia andare a esperimenti simili, ma sembra che a BoJack non freghi niente di cosa possa o non possa fare una serie d’animazione. Le immagini sono volutamente statiche e semplici, praticamente solo inquadrature del protagonista. Certo, servono soprattutto a dare un senso alla battuta finale – una sorpresa simile a quanto fatto in Fish Out of Water -, ma riescono anche a dare al monologo l’intimità di cui ha bisogno.

BoJack non sta parlando al pubblico, ma solo alla persona che dovrebbe essere con lui in forma spirituale, ma che non c’è più. Sta lottando con una vita di infelicità continua, e non sa quanto tutto questo sia colpa di sua madre.

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