In Good Kill di Andrew Niccol, al cinema dal 25 febbraio (con January Jones e Zoë Kravitz) Ethan Hawke interpreta Tom Egan, un ex pilota di caccia che dopo diverse missioni in Afghanistan e Iraq è ricollocato dall’esercito Usa come operatore di droni all’interno di un’asettica stazione nel deserto del Nevada. Ogni giorno, Tom parte dalla sua generica McCasa e va a impugnare un joystick davanti a uno schermo; dall’altro lato del mondo, un aereo senza pilota risponde ai suoi comandi. Gli obiettivi che Egan ha l’ordine di bombardare – quei presunti terroristi che oggi si preferisce andare a respingere “a casa loro” – spariscono dentro una silenziosa nube di polvere, il ronzio dell’aria condizionata e i laconici commenti degli operatori l’unico sottofondo a questa routine di morte. Il film di Niccol è un war movie contemporaneo, e come il suo protagonista osserva la guerra e le sue conseguenze lontano dai suoni e dall’odore della battaglia. Il soldato Tom Egan, con il suo progressivo sgretolamento mentale, è il simbolo di questo nuovo conflitto a distanza, che dovrebbe essere pulito e disumanizzato.
Qui sopra, una clip di Good Kill in esclusiva per Rolling Stone.
RS Good Kill parla della nostra realtà, ma sembra un film di fantascienza. In parte è Homeland e Syriana, in parte Black Mirror ed Ender’s Game. Sei d’accordo?
HAWKE Certo, sembra fantascienza! Se pensi all’idea di un soldato che dentro un container nel deserto uccide gente dall’altra parte del mondo, è qualcosa dal futuro. E nel film la voce della CIA, che attraverso gli altoparlanti fornisce gli obiettivi da colpire, assomiglia a HAL di 2001: Odissea nello spazio. Mio fratello è nell’esercito, e racconta che ci sono tre modi in cui una guerra può finire: la prima è quando i sacchi per cadaveri iniziano a tornare a casa, e l’opinione pubblica insorge; la seconda è con una vittoria, e la conquista del territorio; e la terza è quando la guerra inizia a costare troppo. Ma il fatto interessante è che i droni sono economici, non fanno tornare a casa i cadaveri, e non ti faranno mai vincere la guerra, perché non puoi vincerla se non sei sul territorio. Così si crea lo scenario per un conflitto perpetuo, una cosa tipo Brave New World o 1984.
L’intervista completa sarà pubblicata sul numero di marzo di Rolling Stone.