Di solito da un fumetto si passa al film, dalla carta stampata si passa al grande schermo e per l’immaginario di un formato potenzialmente illimiato si costruiscono confini entro cui stare. Quelli, appunto, del cinema. È un’operazione che si sta facendo con i cinecomics, i vari Vendicatori, Captain America e Iron Man. Ed è un’operazione che è stata fatta anche con qualche albo d’autore come Scott Pilgrim.
Con Mad Max: Fury Road, invece, si sta facendo il contrario, ovvero: da un film si è passati al formato “ridotto” del fumetto. Dall’adrenalinico montaggio senza sosta di inseguimenti, sparatorie e scontri sul tettuccio di auto modificate, col deserto come sfondo e l’armageddon nucleare come ambientazione, si è passati alle pagine di carta, alle squadrature delle tavole, a una narrazione che – per forza di cose – si fa più sistemata, meno “turbolenta”. Con una linearità tutta sua.
Ecco il trailer di Mad Max: Fury Road, al cinema dal 14 maggio scorso:
La cosa in sé è incredibile per due motivi. Il primo è che l’immaginario creato da Miller comprende al proprio interno caratteristiche tipiche dei fumetti – per ambientazione, per storia, per un certo didascalismo. Il secondo: che a supervisionare la trasposizione è lo stesso regista. (Di solito, riprendo il discorso iniziale, succede l’opposto).
Il fumetto è distribuito dalla DC Comics sotto l’etichetta Vertigo. Il lancio c’è stato in concomitanza con la release americana del film. Ma la storia, e quest’è una domanda (quasi) fondamentale, qual è? Rivedremo le stesse scene che sono passate sul grande schermo rimpicciolirsi e riempirsi di colori e di sfumature? A quanto pare, no. Almeno per il primo numero, che sarà invece una sorta di spin-off su due personaggi: Nux e Immortan Joe. Come sono diventati quello che sono diventati ecc. ecc.
Questa della DC e di Miller – passare da un format dinamico a uno più statico – è un’idea interessante e, a modo suo, calzante: perché, rispetto al cinema, sulle pagine di un fumetto viene (forse?) più facile avere un approccio più discorsivo e meno spastico.
Gli inseguimenti, pure nei loro polveroni disegnati a mano, prendono le distanze dal lettore/spettatore: si fanno studiare e non passano alla velocità di un rombo di motore. I personaggi acquistano ancora più importanza: non è solo quello che fanno a contare, ma anche – e forse soprattutto – quello che dicono. Le parole, direbbe il poeta, “diventano lo specchio dell’anima”.
I due sceneggiatori designati sono Nico Lathorius e Mark Sexton. I disegni sono curati da (di nuovo) Mark Sexton, Leandro Fernandez, Riccardo Burchielli e Andrea Mutti (sì, due italiani). Le cover sono di Tommy Lee Edwards. La DC ha diffuso la copertina e qualche tavola, in anteprima, del primo numero, potete vederla qui sopra.