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La E Streep Band di Ricky infiamma Locarno

"Dove eravamo rimasti", nelle sale italiane il 10 settembre, ci offre un film musicale leggero e sentimentale. Demme non sbaglia e Piazza Grande, gremita, gli tributa un'ovazione

«My love, love, love, love, love, love, will not let you down». Prova a lasciare la Piazza Grande di Locarno senza cantare Springsteen con negli occhi e le orecchie Meryl Streep che alla sua età, con quella faccia borghese e un fisico mai stato sexy e ora men che mai, ti ha fatto ballare sulla sedia gialla del Festival del film Locarno mentre la bella signora bionda accanto a te si scatenava in una coreografia coordinata alla tua.

Perchè Dove eravamo rimasti (nelle sale italiane dal 10 settembre) potrà piacervi o meno, ma dimostra che una grande attrice può essere Margaret Thatcher e una rocker scatenata di una cover band sfigata con la stessa credibilità, con la stessa passione, con la stessa potenza interpretativa. Può farti, la nostra Meryl per sempre, cantare, eccitare – sì, con solo un asciugamano addosso, in una scena tutta al femminile e struggente, fa anche quello, oltre a come tiene il palco -, ridere, disorientarti, commuoverti.

Ricky (Meryl Streep)

E nelle mani e negli occhi di Jonathan Demme, che qui di fatto fa quasi un sequel della disfunzionalità familiare ed emotiva all’americana di Rachel getting married – e infatti anche qui c’è un matrimonio a fare da bussola e da punto di rottura -, la Streep vola leggera sul sogno americano che ama frantumarsi sulle speranze dei suoi cittadini. Meglio se di quelli più fedeli.

Sì, perché Ricki Randazzo è conservatrice, omofoba, antipacifista per quel figlio perso in Vietnam. E ti è simpatica comunque, perché è una rocker da bar, quasi country, che può cantare con il suo chitarrista (Rick Springfield, cantautore vero, con un Grammy all’attivo ma anche tanta polvere mangiata negli anni) Lady Gaga e Tom Petty, il Boss e gli U2, fino ad arrivare a Pink. Anzi con il suo gruppo, Ricky and the Flash. Che alla fine del film vorresti esistesse davvero e suonasse sotto casa tua. Abbiamo un’idea: che rimangano insieme quei quattro musicisti e formino la E Streep Band. Con Meryl, perché pur di imparare a suonare e provare a cantare, ha fatto spostare le riprese del film.

Greg (Rick Springfield) and Ricki (Meryl Streep)

Demme ci offre un nucleo familiare dalla forze centrifughe potentissime: l’aristocratico, malinconico e incredibilmente misurato, per i suoi standard, Kevin Kline, con l’ex moglie Linda Brummel che ostinatamente usa il nome d’arte, Ricki Randazzo, in una schizofrenia che la porta a conoscere a memoria tutti i codici degli alimenti che passa, da cassiera, nell’ipermercato in cui lavora, con la stessa grazia e rabbia con cui sa i testi dei classici pop-rock.

È spezzata, Linda-Ricki, da quel talento mai compreso, da quella vita all’inseguimento di un sogno, che l’ha portata a perdere i suoi amori. Marito e figli. E’ una mamma, anche se se lo è sempre negato. E’ una rocker e non potrà mai essere altro. E Demme capisce che un’equazione semplice è alla base di tutti coloro che cantano, ascoltano, si fanno squassare dalle note: l’amore e la musica, l’amore per la musica, la musica per l’amore. Lo capisce, lo capiamo con semplicità quasi ingenua nell’ultima scena. Scontata, citofonata, ma bellissima. Forse proprio per questo.

 

Meryl Streep, Rick Springfield e il regista Jonathan Demme

Demme, in Dove eravamo rimasti, non vuole stupirti e spiazzarti, vuole coccolarti. E il Diablo ci mette la Cody, con la sceneggiatrice di Juno che con tutti i suoi difetti – parecchi, nella scrittura non sa mai essere continua, ma ha belle intuizioni – continua a raccontarci di donne di ogni età alle prese con decisioni inevitabili e dolorose. Con famiglia e ambizioni. Con se stesse e il resto del mondo.
Ma tornando al buon vecchio Jonathan, se Rachel getting married era un film sui bivi della vita e su come non si possa fare retromarcia per prendere la strada giusta, questo suo ultimo lavoro è un inno alla seconda possibilità, ben incarnata da Mamie Gummer, la figlia di Meryl Streep, mattatrice nascosta in un modo deliziosamente punk e alla ricerca ostinata della felicità.

Ecco perché c’è il Boss a fare da spirito guida. Con una canzone scartata da Born in the Usa e ripescata nel 1999, fino a diventare l’apertura dei suoi concerti, deliziosa e romantica provocazione. Perché il Boss è il sogno americano che si scontra con la realtà senza distruggersi, è l’illusione e la delusione che urlano, ma anche la speranza che ti schiaffeggia per combattere ancora. E magari farti fare il concerto più importante a un ricevimento di nozze.

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