Sotto l’albero aumentano le commedie natalizie, ma volendo usare in una metafora poco elegante accessori tipici di questa festività, nel 75% dei casi il risultato è avvilente: ovvero due palle (di Natale, ovvio), così.
Scusate la sincerità, ma è davvero incomprensibile come produttori e distributori ingolfino un periodo come questo di commedie che ambiscono a essere tutte uguali e che quest’anno, come lo scorso, se la devono pure vedere con Star Wars.
Noi, solo per i nostri lettori, le commedie natalizie italiane le abbiamo viste tutte. Ed è un atto d’amore forte, che dovete apprezzare. Perché in tre occasioni su quattro, la noia è stata il rifugio più gradevole. Altrimenti l’irritazione, il dolore fisico, persino la rabbia hanno invaso il povero critico annichilito da comici e commedianti consumati dal tempo e dall’abuso degli stereotipi che incarnano da troppo tempo, ma anche da un pubblico che, seppur stancamente, continua a premiarli. Vi diciamo subito che, se non avete tempo e non volete leggervi tutto, il migliore – non il meno peggio, il migliore: fa ridere ed è arguto e ben scritto – è Natale a Londra – Dio salvi la regina. Il tris Volfango De Biasi alla regia e Lillo e Greg come protagonisti, divenuto poker da un paio d’anni con Paolo Ruffini, fa saltare il banco. Se volete sapere il perché, però, leggetevi tutto.
Massimo Boldi
Il primo a perdere è Massimo Boldi, pur essendo stato il primo ad uscire in sala. Addirittura il primo dicembre e a livello di botteghino la mossa ha pagato: nelle prime due settimane si è tenuto sul milione di euro e su una media copia da 3000 euro circa a schermo. E mentre c’è chi dà del sottosviluppato a un altro perché ha votato sì o no al referendum, tu, che hai visto Un Natale al Sud, capisci che questo paese si dovrebbe interrogare sul perché si sottoponga a una tortura tale, anche con un certo entusiasmo. Massimo Boldi è la controfigura del genio demenziale – capace di mostrare talento anche nel drammatico, come nello sfortunato Festival di Pupi Avati – che con Cipollino, il telegiornalista più incazzoso della storia, e poi con i suoi archetipi cafoni nei cinepanettoni, ha raccontato molto del nostro paese. E forse continua a farlo, visto che con il suo peggior film continua a tirar su spettatori: a lui ormai mancano tempi comici e ritmi recitativi, Biagio Izzo sembra una donna che segue disperato un tanguero scarso cercando di non farsi pestare i piedi e provando a mantenere un minimo di coerenza di passi e coreografia. Ma il lungometraggio è scritto male e girato peggio, nella migliore delle ipotesi chi si salva è perché “balla da sola” (Barbara Tabita, che sembra messa lì per mostrare la differenza con gli altri), Enzo Salvi si divide tra battute sul modello “mammammiacommesto” e peti e volgarità necessarie a raggiungere il livello cinepanettone, Anna Tatangelo che è la solita stakanovista: ha studiato, si vede, e la porta a casa. Ma persino nel montaggio è sciatto, Un Natale al sud, vecchio negli schemi narrativi e mediocre visivamente, con un finale natalizio raffazzonato che fa malinconia.
Aldo,Giovanni e Giacomo
E malinconia, anzi depressione la suscitano anche Aldo, Giovanni e Giacomo. Fuga da Reuma Park, ve lo diciamo, è anche peggio del suo titolo. Sembrava, con La banda dei Babbi Natale (c’era la regia di Paolo Genovese a dare la direzione, va detto) e con Il ricco, il povero e il maggiordomo, che il trio stesse risorgendo dalle ceneri di lungometraggi disastrosi, tipo Il cosmo sul comò – ve lo ricordate? No? Meglio -, e da un tramonto lento del loro talento. Certo, non erano tornati ai loro livelli, ma sembrava un’incoraggiante, seppur lenta, risalita. Niente da fare, ma c’è da dire che almeno sono onesti: Fuga da Reuma Park è a tutti gli effetti un’opera funebre, sia perché non fa ridere, sia perché è volutamente un film-testamento (tanto che sembra quasi l’ultimo) in cui loro stessi, dopo 25 anni di carriera, celebrano il funerale del loro immaginario. Che sia una presa di consapevolezza o un modo per usare tutti gli scampoli dei loro personaggi senza dover inventarsi neanche uno straccio di trama, dialoghi e gag nuove, poco importa. Quello che riesce, in questa commedia, è la parte drammatica: per lo spettatore, però, che guarda i tre riguardarsi in tv – a Roma si commenterebbe “teribbile!” – e si ricorda quanto fossero bravi e quanto non lo siano più ora. Una sorta di effetto Fabris: ricordate quel personaggio di Compagni di scuola che nessuno riconosceva? Ecco, quello. “Guàrdate com’eri, guàrdate come sei” gli diceva l’esilarante personaggio interpretato da Angelo Bernabucci. Impietoso come il nostro occhio da fan delusi.
Non c’è l’alchimia geniale e surreale di un tempo, la capacità di rendere armoniche le distonie emotive e comiche, non c’è potenza interpretativa. Sembra l’autolesionista celebrazione della propria morte artistica in vita, voluta e feroce, se consapevole. Tanto che quei Ficarra e Picone nella parte dei figli di Aldo sembrano quasi rappresentare un passaggio di testimone. Potrebbe esserci un addio alle scene in vista? Chissà, al cinema forse sarebbe il caso di fare una lunga pausa. Ci sono almeno tre film che ci hanno regalato che meritano di non essere macchiati nei nostri ricordi con altre prove di questo tipo.
Lillo & Greg
E veniamo, finalmente, a Natale a Londra. Il nuovo corso di De Biasi & Co. ormai ha preso il sopravvento e sembra essere stato definitivamente sposato da Aurelio e Luigi De Laurentiis: una commedia corale, senza episodi, meno costosa e meglio scritta del passato. Sembra banale come ricetta, ma la rivoluzione è stata antropologica prima che cinematografica, visto che era proprio il pubblico dei film della Filmauro a costituire lo zoccolo duro dell’Italia delle gag machiste, delle parolacce un tanto al chilo, dello scureggia style. Qui riderete di più e meglio: Lillo e Greg si travestono da Bud Spencer e Terrence Hill, De Biasi con il suo plotone di sceneggiatori (una mezza dozzina), si diverte a citare di tutto – Ratatouille, Rocky, Ocean’s Eleven, perché la tendenza è quella di essere più “all’americana” – e a scrivere battute divertenti e gag gustose, forti e allo stesso tempo con una loro grazia, anche quando demenziali. Ai “soliti” (ormai possiamo mettere tra loro anche un Ruffini qui imbranato, romantico e finalmente alla prova con una performance da attore vero) si aggiungono con grazia ed efficacia campioni e gregari. Da Nino Frassica. che da fuoriclasse ci stupisce con giocate individuali – le sue improvvisazioni grammaticali – ma sempre mettendosi a disposizione della squadra, agli Arteteca e Uccio De Santis che fanno il loro; da Eleonora Giovanardi che fa la dura e pura, ma con un cuore di panna – che però da chef stellato non usa mai (la panna, ma pure il cuore all’inizio) – e porta il suo registro diverso e un ottimo talento ad animare la sottotrama più seria e di genere. De Biasi si diverte sempre di più a mescolare noir, action e commedia, Lillo e Greg si sono presi ormai la macchina da presa e la cavalcano alla grande (ottime le musiche del secondo, composte con Attilio Di Giovanni, che pescano nell’immaginario musicale delle spy stories scombinate targate Sellers). Insomma, del nuovo corso, questa è l’opera più compiuta, più continua, la commedia che può allargarsi definitivamente a un pubblico diverso – si divertiranno quelli che cercano la gag facilona così come quelli che si godono giochi di parole, citazioni e espedienti comici più raffinati -, e soddisfa anche la critica, con un lavoro di cesello che da queste parti, prima di Colpi di fulmine e Colpi di fortuna (l’inizio di questa rivoluzione, con De Biasi solo cosceneggiatore e ancora Parenti e De Sica a comando della nave) era sconosciuta. Con il regista di Come tu mi vuoi e Iago Natale è tornato nel titolo, ma senza ritorni al passato. Ora i personaggi femminili sono cresciuti ed evoluti: Giulia Bevilacqua l’anno scorso ed Eleonora Giovanardi quest’anno fanno sembrare i tempi di Megan Gale ma anche di Elisabetta Canalis e Belen Rodriguez lontanissimi; la comicità è più moderna, universale e divertente anche per chi ha un’alfabetizzazione cinematografica e i film Filmauro son diventati prodotti che avrebbero successo – forse anche di più – anche fuori dall’imbuto natalizio. E così mentre altri imitano male il passato, è dalle parti di Filmauro – anche grazie a una rivoluzione generazionale – che guardano al futuro. E pure al presente, visto che la battuta più divertente la fa Ninetto Davoli. Sulla Brexit.
Le pagelle:
Natale a Londra: Tre stelle e mezzo
Natale al sud: mezza stella
Fuga da Reuma Park: mezza stella