Dopo anni di crescita felice, anche per Netflix è arrivato il momento di affrontare la decrescita. Ma stavolta piuttosto infelice. Per la piattaforma di streaming che ha rivoluzionato la visione di film e serie facendo scricchiolare persino Hollywood, i dati sugli abbonati iniziano a creare qualche grattacapo. Solo nell’ultimo trimestre, infatti, ha perso 200mila persone iscritte e le previsioni non sono per niente rosee, visto che è stato ipotizzato un calo totale di 2 milioni nel trimestre in corso. Non si tratta di indiscrezioni, ma di numeri resi noti dalla società statunitense e che hanno creato un terremoto a Wall Street: il titolo in Borsa, fra oscillazioni varie, è arrivato a perdere persino il 24%, complici anche ricavi e utili che sono stati stimati sotto le attese.
Nella periodica comunicazione e analisi dei dati economici, Netflix ha provato a spiegarsi i motivi di un calo così drastico che non si registrava dal 2011. Prima di tutto a causa dell’aumento della concorrenza, ma oltre a ciò sembra aver influito la lentezza con cui si sta estendendo la banda larga e la ancora scarsa diffusione di massa delle smart tv. Non solo, perché nel trend negativo avrebbero influito tanto ragioni macroeconomiche, come l’aumento dell’inflazione a causa dell’invasione dell’Ucraina, quanto “microeconomiche”, come la condivisione delle password da parte degli utenti. Certo, il periodo di instabilità dovuta al conflitto nell’Est Europa sembra essere stato un fattore determinante, visto che la piattaforma in pochi giorni è stata costretta a sospendere i propri servizi in Russia con la perdita di 700mila abbonamenti. Ma anche l’aumento dei prezzi deciso negli scorsi mesi ha rappresentato un significativo terremoto all’interno di Netflix, che ha sottratto alle sue casse altri 600mila abbonamenti che erano stati disdetti negli Stati Uniti e in Canada. Lievi aumenti, invece, si sono avuti soltanto in Giappone e in India.
La questione, però, può essere vista da un’altra prospettiva: forse l’esplosione dello streaming ha rappresentato una grande bolla che prima o poi era destinata a ridimensionarsi. E sembra averlo ammesso la stessa società fondata da Reed Hastings e Marc Randolph, quando ha spiegato il significativo rallentamento della crescita dei ricavi avvenuto dopo che la pandemia aveva smesso di costringere miliardi di persone a restare chiuse nelle proprie abitazioni. Insomma, sembra che tutta una serie di fattori sommati fra loro non stiano remando verso la crescita esponenziale di questo tipo di servizi, tanto che la piattaforma non è la sola a soffrire. Così come le soluzioni ipotizzate per uscire dall’impasse sembrano in linea con alcuni competitor, come conferma Disney+, che sta valutando – in linea con Netflix – l’introduzione di un abbonamento a prezzi più contenuti e con la pubblicità per attirare nuovi abbonati. E mentre serpeggia sui social il mantra “ma tanto non c’era più niente di interessante”, nel 2022 la società ha previsto di investire ben 20 miliardi di dollari per produrre serie e film. Se per la prima volta, quindi, le piattaforme incontrano una crisi, è anche vero che mai come in questo periodo hanno a disposizione una quantità di denaro immensa per rilanciarsi con prodotti di qualità. Per cui, messi da parte i giudizi tranchant, sembrano avere grande margine per poter tornare a crescere su un mercato che per ora ha subìto soltanto un rallentamento.