'Never ending man', quando Miyazaki aveva deciso di smettere. E non ci è riuscito | Rolling Stone Italia
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‘Never ending man’, quando Miyazaki aveva deciso di smettere. E non ci è riuscito

Il documentario sul maestro dell'animazione giapponese sarà al cinema solo il 14 novembre

‘Never ending man’, quando Miyazaki aveva deciso di smettere. E non ci è riuscito

Never ending man: Hayao Miyazaki è un documentario che comincia nel 2013, con il ritiro dalle scene del suo protagonista, Miyazaki. L’autore di capolavori come La città incantata e Il castello errante di Howl è stanco e vecchio, in una sala stampa grigia e male illuminata: “Dopo averlo fatto molte volte, sono qui per annunciare il mio ritiro dal mondo dell’animazione. Questa volta sul serio”.

Le danze cominciano quindici mesi dopo l’annuncio del suo ritiro: quando Arakawa arriva a casa del Maestro, viene salutato con il consueto entusiasmo (“Perché la telecamera? Ormai mi sono ritirato”) e lo insegue mentre si arrende all’inevitabile: continuare a lavorare e, soprattutto, accettare la CGI, l’animazione al computer. È un passo importante per un autore che ha sempre fatto tutto a mano – con l’aiuto di un esercito di animatori, ovviamente. In questo senso Never ending man sembra raccontare una crisi personale: Miyazaki racconta di aver perso molti amici e colleghi “più giovani di me”, di sentirsi vecchio e insicuro (“Voglio creare qualcosa di straordinario ma non so se sono capace di farlo”). Quando entra a contatto con un team di giovani animatori e programmatori, tutto cambia: lo vediamo attivo, frenetico, alle prese con una vecchia idea mai realizzata, il cortometraggio Boro il bruco.

Lo scontro di due mondi così distanti è la parte più interessante del documentario: da una parte la CGI, che è in grado di creare i peli del bruco e farli muovere senza disegni ma con calcoli matematici; dall’altra un vecchio artista, le sue matite, i suoi lucidi. È un cambiamento importante, un momento di maturità con cui Miyazaki decide di provarci ancora una volta: con un team diverso, tecnologie diverse e una storia stranissima. Più o meno a questo punto, Arakawa propone un flash-back in cui lo si vede al lavoro su qualche classico di Studio Ghibli mentre critica un suo animatore con frasi da oracolo come: “Hai disegnato personaggi. Devi disegnare delle persone” e critica il modo in cui un personaggio tiene in mano un fagotto (“nessuno lo terrebbe così”).

Lentamente, eccolo tornare a quello splendore – o quanto meno avvicinarvisi parecchio. Miyazaki è una spugna di energia e creatività: lasciato solo si indurisce e perde splendore ma appena viene affiancato a un team, eccolo risorgere: “Disegnerò qualcosa che gli farà venire voglia di licenziarsi,” dice parlando dei nuovi animatori, “voglio sfruttare al massimo la CGI”.

Il documentario, per quanto breve (70’), è una visione interessante per i fan di Miyazaki e sarà al cinema solo per un giorno, il 14 novembre, e un viaggio nella mente di una persona che ripete continuamente d’essere finito, vecchio, senza energie, e intanto lavora come un ossesso.