Se è vero che il cinema non sta attraversando uno dei suoi momenti migliori (per alcuni è già morto, per altri è agonizzante), è anche vero che stando fermi di certo non lo si aiuterà a riprendersi una centralità nel dibattito pubblico. E forse è proprio da eventi come il Nòt Film Fest, in corso a Santarcangelo di Romagna (fino al 27 agosto), che si può pensare di guardare al futuro con rinnovata speranza. Anche per quando riguarda la musica, nello specifico la musica applicata alle pellicole.
È lì che ieri sera si è svolto un evento più unico che raro che, da un lato ha fatto capire quanto in Italia vengano ancora trascurate alcune mansioni (all’estero fondamentali per la realizzazione di un film), mentre dall’altro quante possibilità creative siano possibili semplicemente uscendo dagli schemi tradizionali (o da vizi ormai fossilizzati). Si intitolava Sopraffondo – conversazione in musica, con la partecipazione del regista Ludovico Di Martino, del sound engineer Francesco Donadello e dei musicisti Rodrigo D’Erasmo, Stefano Pilia e Jacopo Battaglia e li ha visti impegnati in un esperimento-provocazione che non può passare inosservato. Sicuramente non per chi era presente. In pratica, il regista Di Martino ha selezionato diversi spezzoni di film e li ha fatti scorrere per 50 minuti in video, mentre i musicisti – non avvisati in anticipo di quali immagini si sarebbero trovati di fronte – hanno totalmente improvvisato quella che sarebbe potuta essere la “colonna sonora”. Vera sperimentazione, come nel nostro Paese è davvero difficile trovare in queste modalità. Ma da cosa nasceva questa idea folle? Da una intuizione tanto antica, quanto sottovalutata per molto tempo nel cinema italiano benché, come vedremo, sia tutta italiana. E cioè che le colonne sonore di un film non sono solamente un “sottofondo” alle immagini, quanto piuttosto una delle sezioni più importanti da cui partire prima ancora di iniziare a girare, e che possono influenzare persino la recitazione degli attori, quindi la qualità complessiva dell’opera.
Sembra scontato ribadirlo? Eppure, stando alla consuetudine tutta nostrana di “aggiungere” le musiche in un secondo momento, senza uno studio preliminare, è possibile addirittura che professionisti ricercati in tutto il mondo, come Francesco Donadello, in Italia non vengano nemmeno tenuti in considerazione. E parliamo di un sound engineer che collabora a stretto contatto con la violoncellista e compositrice islandese Hildur Guðnadóttir (che forse non a caso ha vinto l’Oscar per la soundtrack di Joker) ed è stato premiato con il Grammy Award per il missaggio della colonna sonora della serie HBO Chernobyl.
Nel talk che ha anticipato la performance, condotto da Alizé Latini, sono emersi altri spunti interessanti in questo senso. «Ho avuto un trauma mentre frequentavo il Centro sperimentale, proprio sulla questione musicale di un mio film», ha premesso Di Martino, raccontando la propria esperienza personale: «Chiesi un consiglio a un montatore, che ha lavorato a 25-30 anni del grande cinema italiano, e lui mi disse: “Ma a te che cazzo ti frega della colonna sonora? Finisci il tuo lavoro e poi passa tutto al montatore”».
Fino a poco tempo fa, infatti, sembrava essere proprio questa la prassi. Un modus operandi che, però, negli ultimi tempi sta cambiando, anche grazie a musicisti come Rodrigo D’Erasmo, il quale ha raccontato un approccio totalmente differente: «Sono convinto che quello della musica sia un momento creativo fondamentale da sviluppare prima di cominciare a girare, perché se il regista si trova già a disposizione del materiale pronto può esserne stimolato, tanto lui come gli attori». A riprova di questo, è stato ricordato come due monumenti del cinema e della musica collaborassero proprio in questo modo. «Pare che un giorno Stanley Kubrick chiese a Sergio Leone in che modo riuscisse ad avere sempre la musica così giusta per i suoi film e lui gli rispose: “A Stanley, t’a fai fa prima”, ha raccontato Di Martino riferendosi anche al compositore Ennio Morricone e andando oltre, definendo la musica per un film «con la stessa importanza di un grande attore, quindi in grado di spostare la qualità di una pellicola».
E gli ha fatto eco D’Erasmo, reduce dal lavoro sulla colonna sonora del documentario Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America diretto da Francesco Zippel, oltre ad aver vinto (con Manuel Agnelli) il David di Donatello per la miglior canzone di Diabolik: «Negli ultimi anni chi compone le musiche per i film, in diversi casi, non fa più solo quello per lavoro. Ci si affida spesso a chi viene dal pop o dal rock, oltre alla classica, e loro stanno ri-dettando una nuova direzione di questo tipo di musica». Ha poi sottolineato come lo stesso Morricone sia stato un precursore in questo senso: «Con il gruppo Nuova Consonanza aveva provato a studiare dei codici improvvisando direttamente sulle immagini dei film. E si è confermato il più pazzo e geniale dei compositori». Modalità di approccio a questo settore pienamente nelle corde di Donadello il quale, dal canto suo, all’estero le mette in pratica con i più grandi: «Dipende dal tipo di colonna sonora, ma c’è sempre un momento di ricerca molto prima del girato. Col musicista Jóhann Jóhannsson, per il film Arrival, abbiamo fatto precedentemente 5-6 sessioni di ricerca sonora. E quando il regista Denis Villeneuve ha sentito i provini ci ha subito chiesto di concludere su quel percorso e poi ha usato le musiche sul set mentre girava facendole sentire in playback agli attori, come Sergio Leone».
Tutto (apparentemente) molto semplice. Questione di approccio, che si conferma vincente, che nel cinema italiano si sta facendo largo ancora un po’ a fatica. È così arrivato il momento della performance vera e propria, totalmente improvvisata da parte di una formazione di musicisti che, insieme, non erano mai saliti su un palco con questa formazione, e che ha stupito i presenti per la consonanza continua fra la musica e le immagini che scorrevano sul megaschermo installato su un lato dello Sferisterio, nella suggestiva area sottostante alle antiche mura Malatestiane. Così, mentre passavano i filmati, la platea si è potuta reimmergere in momenti topici di pellicole passate alla storia, ma sotto una chiave totalmente inedita: partendo dal colossal Lawrence d’Arabia e passando allo psichedelico Enter the Void che si è andato a schiantare sul pantagruelico La grande abbuffata, fino all’atterraggio” di 2001: Odissea nello spazio anticipato dall’epica di C’era una volta il West. Un viaggio sonoro spiazzante, che ci ha proiettato tutti in un altro paradosso: non poter più fare a meno della musica per guardare con lo stesso piacere le immagini di quei film.