C’è la Roma da cartolina di Paolo Sorrentino, quella dei palazzi e delle feste esclusive, delle passeggiate sul lungotevere, delle cupole delle chiese, le statua di marmo, le macchine, le risate e le chiacchiere in terrazza, mezzi ubriachi e mezzi infelici.
E poi c’è la Roma di Claudio Caligari: tagliente, cattiva, vera. Così vera da star male. La Roma di periferia, la Roma che affaccia sul mare: Ostia di una generazione fa, anni ’90.
Il primo trailer di Non essere cattivo (qui sopra) è una fotografia perfetta, nitida, della periferia romana, di chi lavora e non ha, di chi mena perché deve mena’. E coca, droga, capelli rasati, occhi iniettati di sangue. Si corre per strada, “ché questa è ‘na bomba, Vitto’!” E le rapine, i volti nascosti, i soldi in cantiere e le minacce per lavorare.
Non essere cattivo è l’ultimo film, postumo, di uno che l’Italia – e gli italiani – li ha saputi raccontare nella loro povertà e nella loro condizione peggiore, drogati e sperduti, fragili e umani, veracemente umani.
C’è pure, e forse c’è soprattutto, l’amicizia in Non essere cattivo. I due protagonisti, Vittorio e Cesare, sono fratelli di vita: non riescono a stare l’uno senza l’altro.
Caligari, col suo ultimo film, ci ricorda una cosa fondamentale: che c’è il cinema per sognare e c’è il cinema per aprire gli occhi. E il suo è proprio quest’ultimo: una storia senza fine, pure dopo una pausa di vent’anni e più, che non coccola lo spettatore ma che lo prende a sberle, con forza, dritto in faccia.