Ci siamo, stanotte è la “Notte degli Oscar”, quella in cui celebreremo tutti i vincitori di quest’anno. Ma prima di farlo, ecco il nostro regalo ai “perdenti” – tutti quelli che, nel 2016, meritavano una nomination e non l’hanno avuta chissà per quale assurda ragione. L’idea è quella di rimediare agli errori dell’Academy, quindi eccovi i Travers Awards – la mia personalissima versione alternativa degli Oscar. (Per tutti quelli che proveranno a fare lo stesso da casa: il premio è un’incisione di un critico che urla.) Questa è l’ultima possibiltà per ricordare i film e le performance che l’Academy ha dimenticato, o ignorato, o forse solo punito… i giurati sono così, dei bastardi vendicativi. Ricordatevi che La donna che visse due volte, di Alfred Hitchcock, considerato il film più bello di tutti i tempi nell’ultimo sondaggio di Sight & Sound, non fu neanche nominato come Miglior Film nel 1959. Chi vinse quell’anno, mi dite? Tenetevi forte – vinse Gigi. Il caso è chiuso.
Nel corso degli anni, comunque, l’idiozia si è perpetuata: nessuna considerazione per The Dark Knight e Mullholland Drive, Le Iene o Boogie Nights. Nessuna considerazione per le performance di Jeff Bridges in The Big Lebowski o John Huston in Chinatown. Posso andare avanti. Ma cerchiamo di concentrarci sui peccati dell’Academy del 2017. Questa volta avranno tutti il loro premio.
Miglior Film: The Birth of a Nation
Durante l’ultima edizione del Sundance Film Festival, critici e pubblico prevedevano che la creazione del regista-autore-attore Nate Parker, la reinvenzione del lavoro di Nat Turner del 1831, sarebbe stata la pellicola che avrebbe vinto il premio Oscar come Miglior Film. E ci sono parecchie ragioni: ecco il perfetto antidoto a tutte le polemiche su #OscarSoWhite. Il regista trentasettenne della Virginia ha lavorato dieci anni per raccogliere i 10 milioni necessari per raccontare la più violenta ribellione di schiavi della storia statunitense, una violenta deflagrazione che portò alla morte di 60 schiavisti e 200 schiavi. Questa è la storia vista dalla prospettiva dei neri, con un titolo che richiama il film muto del 1915 di D.W. Griffith, dove i membri del KKK erano ritratti come eroi. Mostrando persone massacrate “per nessuna ragione se non il colore nero della pelle”, Parker ha creato un film che ha un valore anche per il presente, dove la battaglia è ancora in corso per dimostrare che #blacklivesmatter.
Allora perchè il lavoro di Parker non è presente tra i nove film nominati per l’Oscar? Sembra quasi che i giurati dell’Academy abbiano messo il passato del regista alla berlina, fino alla condanna per violenze sessuali subita dal regista durante i suoi anni al Penn State. Parker è stato assolto da tutte le accuse, mantenendo la sua innocenza – ma a quanto pare non è abbastanza per i giurati degli Oscar, incapaci di separare l’opera dall’artista. (Si, hanno premiato Roman Polanski, accusato di stupro, come miglior Regista per Il Pianista, nel 2003. Ma, ehi, Polanski è un bianco. Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima…) A prescindere dal vostro giudizio su Parker, una cosa è certa: il suo film non ha avuto giustizia.
Miglior Attore: Ryan Reynolds, Deadpool
Mi sarebbe piaciuto proporre Tom Hanks, che ha trovato l’eroismo e la fragilitè umana nel suo pilota-spinto-al-limite in Sully. Ma Hanks ha già vinto due volte, quindi non ha bisogno del mio premio. La mia scelta allora è Ryan Reynolds, un attore che non riceve nessuna celebrazione, e la sua performance in un genere che i giurati tendono a ignorare. (Con la rara eccezione di Heath Ledger e del suo lavoro in The Dark Knight). Deadpool, comunque, è stato un successo incredibile al botteghino. Anche alla critica, pensate, è piaciuto. Ma non riceve comunque abbastanza credito, nonostante sia uno dei migliori film Marvel in assoluto. Guardare la performance di Reynolds, un malato di cancro che diventa un supereroe mutante, è puro piacere. Il rating per adulti del film, inoltre, permette all’attore di prendersi grandi libertè, di rompere la quarta parete e di straparlare come se non ci fosse un domani – è esilarante. Ma al di sotto di tutto questo c’è altro, c’è un uomo che cerca di aggrapparsi alla sua umanità mentre il mondo gli crolla sotto i piedi.
Miglior Attrice: Kate Beckinsale, Love & Friendship
Il grosso delle polemiche sugli snobbati dagli Oscar di quest’anno si è concentrato su Annette Bening (20th Century Women), Amy Adams (Arrival) e Taraji P. Henson (Hidden Figures). Le mie condoglianze, ragazze. Nessuno si è alzato per difendere Kate Beckinsale, che ha incarnato la bellezza, l’eleganza e la deliziosa indifferenza di Lady Susan Vernon, la vedova protagonista dello splendido adattamento dell’opera di Jane Austen a cura di Whit Stillman. Si, è un film in costume, l’Academy non li considera troppo sin dai giorni di gloria di Merchant/Ivory. E, ancora peggio, l’attrice ha lavorato in tutti quei film vampireschi della saga di Underworld, una cosa inaccettabile per i giurati dell’Oscar. Per favore, gente, non facciamo in modo che esploda l’hashtag #OscarSoSnotty (#OscarCosìArroganti). Se a interpretare Lady Susan fosse Meryl Streep, verrebbe ricoperta di polvere d’oro. Kate Beckinsale ci ha regalato l’interpretazione più sublime della sua carriera. E’ davvero un crimine che nessuno se ne sia accorto.
Miglior Attore Non-Protagonista: Triplo pareggio tra Alex Hibbert, Ashton Sanders e Trevante Rhodes, Moonlight
L’Academy ha dimostrato il suo amore per il film di Barry Jenkins con nove meritatissime nomination, tra cui Miglior Film e Miglior Performance per Mahershala Ali e Naomie Harris. E i tre attori che hanno interpretato Chiron, il ragazzo gay e nero costretto a crescere nella periferia di Miami? Niente. Nada. Hibbert, Sanders e Rhodes, gli attori che rappresentano il protagonista del film nei tre momenti più importanti della sua vita, sono il cuore di questo film sconvolgente. Riesci a vivere la storia attraverso i loro occhi. E nessuno spicca sull’altro: i tre si completano tra loro con un grande lavoro di squadra. L’Academy non dà l’Oscar a tre attori che interpretano lo stesso ruolo. E’ contro le regole, ma non contro le mie.
Migliore Attrice Non-Protagonista: Greta Gerwig (20th Century Women e Jackie)
Cosa deve fare questa splendida attrice per essere notata dagli Oscar? Conosciuta più che altro per la sua collaborazione con i registi Joe Swanberg (Hannah Takes the Stairs) e Noah Baumbach (Frances Ha), Greta Gerwig ha provato strade diverse quest’anno. In Jackie, diretto da Pablo Larrain, interpreta Nancy Tuckerman, la segretaria e confidente di Jackie Kennedy (Natalie Portman) che riusciva a capire, forse meglio di chiunque altro, il lato pubblico e quello privato di una donna così complessa. In 20th Century Women, diretto da Mike Mills, interpreta Abbie, una fotografa femminista sopravvissuta al cancro, una punk dai capelli dipinti di rosso che cerca di imparare a sopravvivere l’enorme cambiamento culturale che è arrivato con la fine degli anni Settanta. La scena del suo crollo nervoso sarà ricordata a lungo.
Miglior Regista: Martin Scorsese, Silence
E’ ancora difficile per me capire come e perchè l’Academy abbia deciso di ignorare il progetto a cui Scorsese ha lavorato per decenni. Silence racconta dei missionari Portoghesi che hanno rischiato la vita per portare la Parola del Signore nel Giappone del diciassettesimo secolo – il film, inoltre, permette al regista di combattere con la forza della fede e con quella del dubbio. Scorsese si dimostra ancora una volta un regista immenso, soprattutto grazie alle immagini che mostrano un Dio silenzioso di fronte alla terrificante bellezza della natura. Questo film potrebbe impiegare anni per trovare il suo pubblico. Non importa. Ha tutte le carte in regola per superare la prova del tempo.
Miglior Documentario: De Palma
Qui non ho molte critiche da fare sui film nominati, soprattutto 13th, I Am Not Your Negro e O.J.: Made in America. Ma per gli amanti del cinema il documentario dell’anno non può che essere la pellicola ammaliante che i registi Noah Baumbach e Jake Paltrow hanno messo insieme per celebrare i peccati, le profondità e le perversioni di Brian De Palma. Il film lascia che il grande autore parli da solo mentre la sua memoria, e la nostra, vengono stuzzicate dalle migliori scene tratte dai suoi film. Le opere del regista, soprattutto Scarface e The Bonfire of the Vanities, sono ancora capaci di spaccare in due il pubblico, guardarli è ancora una battaglia adrenalinica, che ti pompa il sangue nelle vene. Non potrei amare questo documentario più di così.