«Sai che sei considerato uno un po’ di rottura nel cinema, vero?»
«Spero non di palle». Ridacchio io e pure lui.
«Di rottura nel senso rock del termine».
«Sicuramente sono un po’ anarchico, uno che fa quello che gli viene in mente di fare, senza seguire le mode». Mentre guardi i film di Paolo Franchi (La spettatrice, Nessuna qualità agli eroi, E la chiamano estate) ti rendi conto di essere davanti a qualcosa di abbastanza unico nel panorama italiano, ma quando poi ci parli, anche se soltanto al telefono, ti rendo conto che è davvero un «battitore libero», come si definisce lui stesso.
Dove non ho mai abitato, il suo quarto (bellissimo) lungometraggio da regista, ti lascia addosso una sensazione di malinconia. «L’hanno scritto diversi critici e quando l’ho letto, ho capito di aver fatto centro. La mia fonte di ispirazione è stata proprio quel tipo di sentimento». Sullo sfondo c’è la letteratura, con i grandi romanzi di Henry James, e il cinema classico, quello hollywoodiano degli anni ’50-60, ma c’è soprattutto la voglia di tradurre in immagini quel sentimento: «È un film doloroso, dove il dolore è sotto pelle. Volevo raccontare una storia dolce e struggente che ruota attorno a un personaggio femminile».
La protagonista, interpretata dall’attrice francese Emmanuelle Devos, è la figlia di un celebre architetto, che ha abbandonato la carriera paterna per trasferirsi a Parigi e sposarsi con un finanziere. Quando torna a Torino per assistere il padre, quest’ultimo le chiede di lavorare con il suo protetto (Fabrizio Gifuni) alla ristrutturazione di una villa per una giovane coppia. E tra i due, piano piano, nasce una grande sintonia che va ben oltre il professionale.
Quale canzone poteva tramettere un senso di struggente malinconia meglio di My funny Valentine? «È un richiamo retrò a quel cinema americano, a quel periodo in cui è ambientato Il talento di Mr Ripley di Anthony Minghella, dove c’è proprio questo brano». Ma i riferimenti non finiscono qui. In una scena del film Franchi utilizza Blues all’alba, il tema principale de La Notte di Michelangelo Antonioni: «È un omaggio a Giorgio Gaslini: era un amico di famiglia, un grande compositore e un gran signore. Quelle assonanze un po’ anni ’60 erano perfette per l’atmosfera che volevo evocare».
La colonna sonora poi è di Pino Donaggio: «Ha scritto dei temi meravigliosi per Brian De Palma, ma mi permetto di dire che questa è la sua colonna sonora migliore perché c’è la sua graffiata ma è riuscito ad andare più a fondo, ha lavorato più sull’armonia che sulla melodia».
L’originalità di questo regista infatti si percepisce anche nella scelta delle musiche, che è curatissima: nel lungometraggio si sentono i DB Boulevard con Point of view: «Inizialmente per la sequenza della festa volevo usare Can’t Take My Eyes Off You perché, soprattutto nella strofa, ha qualcosa di gioioso ma anche l’idea che quella gioia la stai già perdendo. Il brano però costava troppo e mi sono ricordato di questa band veneta». C’è anche un gruppo fiorentino, Luciferme, con un pezzo rock malinconico, titolo Il Soffio, firmato dal produttore dei Litfiba.
Ma Paolo Franchi è fuori dal comune anche per il modo in cui dirige i suoi interpreti: «Gli attori continuavano a dire che erano “stretti” nell’inquadratura perché li ho portati ad un processo abbastanza inusuale: ho cercato di decifrare la loro anima, di stare molto addosso con la camera, di isolarli. Non avevano il controcampo, quindi dovevano fare un lavoro sulla memoria emotiva, che non è per nulla facile ed è una tecnica poco usata nel cinema italiano».
Se Fabrizio Gifuni «ha avuto l‘intelligenza di mettersi al lavoro su questo e, anche se all’inizio non è stato facile, si è molto fidato», con Emmanuelle Devos subito c’è stata un po’ tensione: «ha una grandissima istintualità e tanto carisma. Però la trovavo un po’ titubante, non così diligente. Voleva imporre il suo metodo, che non combaciava con il mio. Ma quella piccola tensione è servita perché tutti quei momenti in cui piange, lo fa perché in realtà si sente sola. Emmanuelle si sente sola in questo film perché gli altri parlano italiano e lei è l’unica che parla francese, si sente inquadrata e quasi obbligata dentro lo schema rigido dell’inquadratura. Quelle lacrime sono autentiche».
Nell’ottimo cast di Dove non ho mai abitato ci sono anche Giulia Michelini, il ronconiano Fausto Cabra, la star francese Hippolyte Girardot, Giulio Brogi, l’interprete greco Yorgo Voyagis, Isabella Briganti. E Valentina Cervi che appare in un cameo. Di lei il regista racconta: «Ci seguiamo a vicenda da tempo e si è prestata con simpatia per quella scena. Per me è una delle attrici più interessanti in Italia e devo confidarti che era la mia prima scelta per La spettatrice, ma era impegnatissima con Jane Campion, con l’America. Stava vivendo un momento molto internazionale e, anche se aveva amato il copione, non siamo riusciti a lavorare insieme».
Paolo Franchi ha la fama di essere uno non facile e, quando glielo faccio presente, non si tira certo indietro: «Credo che la voce nel tempo si sia un po’ gonfiata, però non voglio darti il ritratto di un santarellino. Sono molto onesto, pretendo tanto da me e tanto dagli altri, non è facile fare questo lavoro e c’è tanta approssimazione: io non ho mai appartenuto a lobby, gruppetti, combriccole. Forse la mia vita sarebbe stata più semplice. Perché poi ovviamente ne paghi le conseguenze, vieni visto come un solitario, un outsider. Non è snobismo il mio (o forse anche un po’ sì?) – ride – ma non devo ringraziare nessuno. E credimi che ce ne sono pochi in Italia che possano dire la stessa cosa».