Paolo Virzì: «Ella & John, il mio primo film americano, è un atto di ribellione» | Rolling Stone Italia
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Paolo Virzì: «Ella & John, il mio primo film americano, è un atto di ribellione»

Il regista racconta la sua 'pazza gioia' made in USA, un film che è stato "costretto" a girare da due attori incredibili, Donald Sutherland e Helen Mirren

Paolo Virzì: «Ella & John, il mio primo film americano, è un atto di ribellione»

Ella & John è il primo film girato negli Stati Uniti da Paolo Virzì. Basato sul romanzo In viaggio Contromano (The Leisure Seeker) di Michael Zadoorian, la storia racconta il viaggio on the road – da Boston a Key West in Florida – di una coppia prima che il marito, affetto da Alzheimer in stadio avanzato, perda completamente memoria e lucidità, e la moglie muoia per cancro in fase terminale. Una specie di ultima spiaggia in cerca della felicità. Idea meravigliosa, film altrettanto importante che magari parte lento (come dovrebbe) ma poi non si ferma più, fra comicità, recitazione ed umanità. Che dirvi, io ho pianto una montagna di lacrime.

I protagonisti sono interpretati da Helen Mirren e Donald Sutherland, insieme sul set dopo quasi 30 anni dai tempi del film Bethune: Il mitico eroe. Ecco a voi il sorridente (non l’ho mai visto incazzato) Paolo Virzì al Beverly Hills Hotel (quello di Pretty Woman) subito dopo che la British Airlines gli ha perso il bagaglio; ha rimediato i vestiti che indossa da Lorenzo, un amico comune, aiuto regista che sta in quel di Hollywood. Ladies & Gents, ecco il “maestro”, nome con cui è stato apostrofato sia da Sutherland che dalla Mirren.

Qual è stato il motivo che ti ha spinto a voler dirigere questo film?
Era una bella storia d’amore, ma anche un atto di ribellione contro la forza del destino, entrambi si rivoltano contro l’accettare passivamente la fine della loro relazione, che dura da più di 50 anni. Secondo me il loro viaggio è un bel modo per dirsi addio e anche per raccontarsi la verità in modo autentico, senza più paura.

Nessuna paura di girare negli States?
Inizialmente quando mi hanno proposto il film sapevo che potevo realizzarlo, ma non ero sicuro di essere in grado di girarlo in un paese che non conosco, in una lingua che non è la mia. Quindi per essere sicuro, ho accettato il progetto dicendo che volevo due dei miei attori preferiti da sempre, Helen e Donald, sperando che nessuno dei due avrebbe mai accettato. La vera paura è arrivata quando i due hanno amato il progetto e accettato il ruolo! Proprio Donald è stato uno dei punti fermi, mi voleva a tutti i costi. A quel punto era impossibile rifiutare, ma nonostante girassi negli Stati Uniti percorrendo la U.S. Highway 1, ero al sicuro circondato dalla mia troupe, tutta italiana. Ero a casa.

Com’è stato lavorare con loro?
Pretty crazy! Mi sentivo molto sicuro grazie al loro talento, ma ero incerto sul fatto di poter combinare dramma e commedia, non volevo ridicolizzare la tragedia e neanche rendere patetica la commedia. Mi intrigava molto l’idea del viaggio, ma non sapevo come sarebbe stato guidare il camper per 3mila chilometri. Sono stato fortunato a trovare due attori pazzi al punto giusto da risolvere tutti i miei problemi!

Quando hai incontrato Donald?
Donald Sutherland è venuto a prendermi all’aeroporto di Miami alla guida di un pick up truck gigantesco. Conosceva John Spencer meglio di me, sapeva tutto sull’Alzheimer, aveva memorizzato tutta la sceneggiatura e aveva con sé decine di libri, compreso Hemingway e Joyce. Helen è semplicemente la persona più intelligente che conosca. Mi sono fidato di loro e li ho lasciati improvvisare, ascoltando i loro consigli. Era come girare un documentario per National Geographic, tutto fatto con luce naturale, sempre pronti a catturare i momenti magici che erano in grado di creare. In questo film ho deciso di mettermi in disparte, di non fare come i soliti registi europei che vogliono pavoneggiare.

E la scelta dell’itinerario?
Nel libro il viaggio parte da Detroit, verso Disneyland, in California sulla mitica Route 66. Io invece l’ho voluto sulla East Coast, mi interessava usare la casa di Hemingway in Florida come meta culturale e letteraria, la narrativa della beat generation con cui sono nati i primi road movies, oltre che raccontare anche un’America un po’ stereotipata, kitsch e dozzinale, tutto durante la campagna elettorale di Trump, che mai avrei potuto immaginare diventasse presidente!

La cosa più strana, più bella, più schifosa, più difficile e più sorprendente?
Più difficile, far capire agli americani della troupe che anche se la sceneggiatura diceva/richiedeva una cosa, potevamo inventarci sempre di fare qualsiasi altra cosa. Cosa che li/mi ha sorpreso di più, un misto di creatività italiana e razionalismo yankee, loro sono sempre così seri, così inquadrati. Più schifosa? Certe cose fritte che il mio stomaco non ha ancora digerito. Più pericolosa? Donald Sutherland alla guida del camper. Era proprio lui e faceva quel che voleva, guidandolo anche in zone dove non avevamo alcun permesso di girare. La cosa più bella? Che siamo ancora vivi… oltre alla scena di sesso, la scena d’amore finale fra loro due (non vi dico nulla), suggeritami da Donald e supportata da Helen. Avevano ragione loro. Così è molto meglio.

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